mercoledì 28 settembre 2011

FuoriModaFuoriTempo / 11

Non sopporto il fumo.
Il fumo di chi fuma, il fumo di ciò che brucia e il fumo di ciò che è bruciato, il fumo negli occhi e il fumo in gola.

Non sopporto il sapore di fumo, neppure quando è dolce come quello di certi narghilè che si trovano ancora nel Medio Oriente vero, quello trafitto dalla guerra.

Di conseguenza non sopporto l'odore di fumo che ti si appiccica addosso come una pelle sporca che devi proprio lavarti per mandarla via e tornare a respirare.

Non sopporto neppure i venditori di fumo. Nè quelli da quattro soldi che li riconosci subito, nè quelli abili e ben avvezzi a far sembrare tondo quel che è quadrato.

Non sopporto le cortine fumogene, quelle che puntualmente alza chi deve nascondersi, difendersi, sparire in una nebulosa nera.

Non sopporto i segnali di fumo, troppo deboli e flebili in quest'era iper tecnologica e comunque da sempre fraintendibili, interpretabili, ambigui a seconda del vento.

Il vento.
Ecco, invoco il vento.
Che si portasse via tutto questo maledetto, puzzolente e inutile fumo.
Che rendesse limpido l'orizzonte e che ci portasse in salvo, finalmente.

martedì 27 settembre 2011

Perché? / 9

Perché libertà e amore stanno bene insieme solo nella teoria?
Perché non si crede mai a una donna per quel che e' ma le si crede solo sulla base di quel che ti da'?
Perché se una donna si offre senza condizioni vale subito meno?
Perché ci hanno insegnato a giudicare prima ancora che ad accogliere e a voler bene?
Perché se una persona si interessa di un'altra deve farlo sempre in malafede, mentendo e soprattutto avendo secondi fini?

lunedì 26 settembre 2011

Confessioni di un'anima che pensando alla fine scopre l'inizio

Sono nata in una nuvola di borotalco e baci e coccole. Ero nutrita di latte e amore.
Era bello ricevere, alla fine quasi noioso.
Sono stata da sempre così al centro del mondo, che per me è stato naturale vivere pensando di essere il centro del mondo.
E così sono diventata naturalmente prepotente, arrogante, egocentrica, narcisa.
Se qualcuno non mi dava spontaneamente io mi meravigliavo e prendevo. Con una grande educazione formale, certo, ma con un'enorme violenza di fatto.

Sono cresciuta come una sanguisuga.
Ho spogliato corpi e derubato anime. Ho graffiato cuori e ucciso di indifferenza. Ho lasciato anime morire di stenti, di silenzi, di dolore.
Ho illuso e deluso per il puro piacere di farlo, perché ogni volta ero consapevole di accoltellare qualcuno.
Ho detto "no", anche quando ho detto "si", e ho detto "no" ogni volta che qualcuno mi ha chiesto qualcosa, così, per vedere fino a che punto arrivava il mio potere.
Ho imposto i miei bisogni e i miei desideri anteponendoli a tutto e tutti: prima ci sono sempre stata io.
Prendere o lasciare.
Sono fuggita ogni volta che mi si richiedesse un impegno; o meglio, ho finto di abbracciare un impegno qualche volta, però solo quando ero certa che potevo fuggire di lì quando volevo.
Ho seminato sofferenza gratuita, perché ogni volta che mi trovavo davanti a qualcuno migliore di me, lo manipolavo per poi distruggerlo e il tutto camuffandolo da amore.
Sì, amore.
Perché paradossalmente ho parlato solo d'amore, d'amicizia, di voler bene.
Ho chiamato amore il mio egoismo, la mia avidità, la mia aridità.
Non sono mai stata educata ai sentimenti: ho solo preso. Tanto sapevo che potevo sempre rifugiarmi nel profumo di quel borotalco e nel calore di quelle coccole.

Il bello è che ho scoperto che trattando male gli altri, calpestandoli con garbo e delicatezza ma senza alcuna pietà, torturandoli in maniera implacabile io non "mi perdevo niente e nessuno".
Erano sempre tutti lì. Sorridevano e mi abbracciavano quando volevo.
Sparivano se io decidevo che dovevano sparire.
Ho pensato di essere onnipotente.

Un giorno però ho avuto paura. Paura di morire.
Non sapevo cosa fosse. E ho scoperto che si può star male.
Ho pensato che prima o poi svanirà l'odore di borotalco e il tempo si porterà via la mano che mi ha nutrito di coccole. Non avrò più un nido "sicuro". Avrò delle vere responsabilità dalle quali non potrò esimermi.

Quel giorno ho scoperto di aver vissuto chiamando amore la mia paura di restare sola.
Ho detto ti voglio bene a mille e mille persone, ma non l'ho mai dimostrato a nessuno.
Mi hanno tutti sorriso perché miei "prigionieri" e non perché liberi di scegliermi.

Ho scoperto di essere sola.
Ho scoperto di non avere ricchezze e vestiti.
Ho scoperto di avere fame, di avere sete, di avere bisogno di tutto e di tutti e ho capito che non ci si sazia prendendo e pretendendo.
Ho scoperto di aver perduto molto e molti.
Ho visto il vuoto.
Ci sono caduta dentro.

Ho pensato fosse la fine, ho scoperto che poteva essere solo l'inizio.

Chi mi avvolse in una nuvola di borotalco e baci e coccole, chi mi nutrì di latte e amore, mi aveva messo ai piedi un paio di sandali blu con gli occhi e mi aveva insegnato ad andare da sola, perchè potessi guardare il mondo dagli occhi di quei sandali blu.
Io troppo presa a guardare me stessa, di avere le scarpe non me ne ero accorta.

Adesso mi volto indietro e quei sandali non mi vanno più.
Con umiltà me li lego al collo.
Penso: sarà difficile rifare la strada che non ho mai fatto e farla a piedi nudi. Sarà doloroso, tanto doloroso quanto è stato doloroso il mio incedere nel cammino dei miei compagni di viaggio.
Ma non c'è altro modo.
Devo diventare grande, fosse solo per la felicità di chi mi avvolse in una nuvola di borotalco e baci e coccole e chi mi nutrì di latte e amore.

Non serve chieder scusa. Serve di vivere chiedendo scusa.
Non serve dire ti voglio bene. Serve di vivere volendo bene.
Non serve amare. Serve di vivere amando.
Ora so che serve di vivere. Vivere una vita vera.

sabato 24 settembre 2011

Post-it / 12 la preghiera solida della carne

E' che quando la tua carne è diventata preghiera nella carne di un'altra persona, tu quella persona puoi anche odiarla per il male che ti fa, ma non riesci a permettere a nessuno di toccarti. Quell'unione è respiro sacro. Inviolabile.

E' la preghiera solida della carne.
E' la trascendenza eretica e materiale del corpo.
E' l'energia più pura che sublima ogni più basso istinto elevandolo a misticismo.

La testa può dirti altro, può portarti altrove, farti compiere gesta capaci di corrompere e inzozzare quella bellezza. Può anche manipolare, costringere il corpo. E complicare, rendere difficile la naturalezza, soffocare la gioia dell'esser vivi.

Ma la carne no.
La carne non mente.
Basterebbe ascoltare con umiltà questo nostro corpo e dargli retta per essere un po' più felici.
E davanti a una magia, provare a crederci, senza fuggire altrove.
Semplicemente crederci, come farebbe un bambino.

venerdì 23 settembre 2011

Quando l'amore è pane caldo (Human Touch - Bruce Springsteen)

Lui era appoggiato.
Lui era appoggiato alla piccola porta aperta del piccolo forno.
Quel piccolo forno ancora attivo nel piccolo centro della piccola città.
Quasi l'alba.

Da lì, attraverso l'aria umida e la porta aperta, guardava quei mucchietti ormai ben ordinati di lievito farina e acqua, pronti a diventare pane.
E pensava a quanto si erano dovuti mescolare, amalgamare, confondere, pensava a quanta fatica e quanto amore c'era dovuto volere per mettere insieme un corpo solido e uno liquido e tirarne fuori una cosa tanto bella e omogenea.
Tutta la notte!
Tanto bella e omogenea. Morbida, chiara, appena rotondeggiante, che ricordava certe curve nascoste di Lei.
Lei, eh... Lei era anche nel profumo buono di quell'impasto, in quel già tutto che ancora deve diventare tutto.

Sospirava.

Intanto quei mucchietti erano lì e crescevano a vista d'occhio. Dovevano lievitare diceva il fornaio. Dovevano diventare "pani da un chilo".
Un miracolo praticamente, pensava Lui mentre osservava il compiersi di quel miracolo.

La vita era anche lì e infatti quell'impasto si muoveva.

E già si immaginava la forma che avrebbe avuto dopo la cottura, ne pregustava il sapore, si immaginava quel pane croccante appagare prima i denti, poi il palato infine il naso.
Si, presto sarebbe stato il forno a terminare il miracolo.

E mentre quel profumo era ovunque, ad un tratto Lui pensò a cosa aveva buttato via.
Aveva buttato via tutto il suo pane.
Tutta quella fatica per mescolarsi, capirsi, incontrarsi, tutto quel lavorare per diventare impasto profumato e poi... poi non aveva avuto il coraggio di saltare con Lei fino in forno.
Paura di bruciarsi.
Paura non si sa di cosa.
Paura.
Aveva fatto in modo che tutto restasse per tutto quel tempo a lievitare finchè, alla fine, era andato tutto a male. Tutto a male. E quanto male faceva!

E ora era lì da solo a guardare il pane da cuocere e a cercarvi le forme di Lei.
Capiva che si era perduto metà del viaggio. Quello dei sensi dopo i sensi. Quello dei profumi che appagano denti, palato e naso e tolgono la fame, tolgono il vuoto, tolgono il freddo.

Già faceva freddo ed era quasi mattina. Intanto il primo pane appena sfornato si imponeva all'attenzione. Impossibile non guardarlo e lasciarsi avvolgere da quel profumo.

Chissà come sarebbero stati belli loro insieme se solo... Ma adesso era freddo.
Si tirò su il bavero, si fece mettere dentro una busta di carta un pane intero e, anche se era solo, se lo portò via.

Almeno per un po' fu il caldo di quel pane appena cotto a scaldare i suoi pensieri e la sua solitudine.
Pensò allora di chiamarla per fare colazione con quel pane appena sfornato.
Sì, forse poteva essere una buona idea.

Forse era tempo di mettersi in discussione. 


giovedì 22 settembre 2011

Perché? / 8

Talvolta mi chiedo se esista davvero una versione diversa, migliorabile e infine migliore della mia vita.

Di fatto penso di si. O almeno lo spero.
Ma ho tanti dubbi sul come. Come arrivare fin li.

Si può diventare qualcos'altro, andare altrove, sperimentare, giocare, scegliere, senza far del male a nessuno? Senza "usare" nessuno?

Esistoni interazioni prive di conseguenze?

Si può agire secondo i propri bisogni ignorando i bisogni, le richieste, le necessita' altrui e poi dormire tranquilli la notte?

Il voler bene giustifica ogni nostra debolezza, fragilità, meschinità, piccolezza? Il voler bene può esser usato come nascondiglio e come assoluzione? Il voler bene basta a ripagare i debiti che si contraggono a causa del nostro egoismo? Il voler bene puo' esser alibi per catene e prigioni che infliggiamo a chi ci sta a cuore e a noi stessi?

E i legami ci legano, ci servono per non sentirsi soli o ci danno ali per volare?

E la serenità, la bellezza sono  l'obiettivo di mezz'ora o di un tempo più lungo?

E la tenerezza?
E l'avere accanto qualcuno di importante che per pura distrazione potresti smarrire per sempre non fa paura? E' una cosa così indifferente nel bilancio di una vita?
E perdere la tenerezza di quel qualcuno non merita una riflessione?
Davvero viene sempre prima il nostro ego, la nostra ragione, la nostra grassa e bassa soddisfazione?

Davvero e' sempre più comoda la via più comoda?

E si può scegliere con chi e come spogliarsi nudi, o deve essere un fatto naturale? E si può stare nudi senza provare vergogna?
Ed e' ancora un peccato mortale trovare un corpo che e' perfetto per il nostro corpo, al punto che poi ne fuggiamo lontano e ne proviamo altri per vedere l'effetto che fa?

E delle lacrime di cui - nostro malgrado - siamo causa, ce ne dobbiamo occupare o meglio allontanarsi facendo sparire le tracce?

E la nostra carne e la nostra anima si incastra sempre in perfetta sintonia con l'anima e la carne altrui oppure a volte facciamo in modo che l'incastro "torni", così, tanto per scaldarsi un po' magari approfittando del freddo di chi ci sta davanti?

E come ci si incastra invece con l'anima delle cose?
Come si rispetta l'anima delle cose?

Mi dicono che le cose belle non chiedono troppi pensieri e vanno prese al volo.
E' vero.
Una cosa bella ti accade secondo natura e quindi e' armonica, "fa per te". Ma per prenderla al volo e goderne appieno ci vuole un atto eroico di coraggio, il coraggio di una responsabilità che prevede "presenza".
Il tuo essere presenza, il tuo esserci dentro, ed esserci di fatto. Accada quel che accada.
Altrimenti e' furto, talvolta con scasso.
Altrimenti la vita ci passa sopra, ci scivola addosso, e' solo un frammento di tempo rubato a un'eternita' che non misuriamo, che non contempliamo, alla quale non crediamo.

Presenza. Già...

Talvolta mi chiedo se esista davvero una versione diversa, migliorabile e infine migliore della mia vita.

Guardo la vita che adesso ho e mi dico che si, esiste. Ma come arrivarci facendo un percorso netto, io non lo so. Davvero non lo so.
E certo, una strada va trovata.

So che ogni grande viaggio inizia con un piccolo passo: per intanto cercherò di farmelo bastare.

mercoledì 21 settembre 2011

Confessioni di un'anima centenaria

Ci fu un tempo in cui non sapevo di avere ancora tutto e sorridevo perché sapevo sorridere.
E amavo ogni cosa senza saper amare.

Poi, conobbi l'umanità. Conobbi il peggio del mio essere di carne.
E in nome dell'amore vidi consumarsi i più atroci delitti.
Terribili, indicibili, mostruosi, quelli contro l'umanità.
Brutti quelli contro di me. Su di me, addosso a me, dentro me.
Nel tempo.

Prima qualcuno rubò la mia innocenza e imparai a dire bugie.
Poi un altro mi strappò via il sorriso: la prima volta fu per poco ma scoprii le lacrime e sentii che avevano il sapore del sale.
Ci fu anche chi si prese la mia fiducia e la tradì: mi accorsi di quanto rumore fa il dolore sordo.
Mi innamoravo ancora di tutto e puntualmente venivo delusa: imparai così a "diventare grande" e vidi che era molto faticoso. Rischiai di morire per la fatica.
Ma non mi scoraggiai.

Poi ci fu chi si cibò della mia verginità, chi banchettò con brandelli della mia anima, chi approfittò di me e della mia bontà. Ci fu chi abusò del mio bisogno di affetto. Ci fu chi tentò di strappare e infangare i miei ricordi più belli promettendo un "per sempre" che non è facoltà di nessuno poter promettere. Ci fu chi comprò con astute bugie le mia anima sempre più timorosa. Ci fu chi mi deturpò il ventre e chi mi graffiò il cuore. Ci fu chi mi mancò di rispetto e chi mi ebbe sempre ma non mi guardò mai. Ci fu chi mi ferì a morte con le parole e chi mi uccise di indifferenza. Rischiai di morire per il freddo.
Ma non mi detti per vinta.

Mi sentii vuota, inutile, stolta. Usurpata. Derubata. Incapace, talvolta.
Conobbi la paura, la solitudine, il silenzio che non ti è amico, l'abbandono.
Conobbi i sentimenti di rabbia, di insicurezza. Conobbi la povertà. Rischiai di diventare cattiva. Di vivere esaltando i miei difetti. I peggiori dei miei vizi. Rischiai di morire per il bisogno.
Ma non mi rassegnai.

Fui sempre salva: lontana dall'odio, lontana dal rancore.
Nessuno infatti era riuscito a spegnere quella piccola luce che rischiarava la mia strada.
Quella che ogni volta mi riportava a quando senza saperlo avevo ancora tutto e amavo ogni cosa senza saper amare.
E allora anche senza carne, con il cuore a brandelli, con le cicatrici e le ferite sanguinanti mi rialzavo e mi rimettevo in viaggio.
Dimenticavo il male per un po' e piano piano mi tornava fame. Una fame buona, quella che mi faceva venire la voglia di innamorarmi di tutto a rischio di farmi ancora male.

Sapevo di non essere più innocente, sapevo di non essere più pura, sapevo che non tutto era meraviglioso e pulito, ma ero un'anima luminosa e forte e bellissima ancora capace di amare.
Amare soprattutto la vita.
Ed è per questo amore che dopo cento anni sono ancora qui.
E ancora so vedere la bellezza e l'armonia.
Ed è per questo amore che dopo cento anni sono qui e provo ad imparare.
A vivere soprattutto.
A vivere, nonostante tutto.
Perché di fare questo eterno viaggio, ne vale sempre la pena.

martedì 20 settembre 2011

Epifanie / 7

Arrabbiarsi non vale la pena.
Lo dico io che -per natura- prima mi arrabbio e ci metto la pancia, poi ci penso e ci metto la testa.
Si, ho scoperto col tempo, che di arrabbiarsi non vale proprio la pena.
E' buttar via energie buone per altro.
Ci sono situazioni in cui cercare di far valere le proprie posizioni è inutile. Tempo e fatica buttata via. Ci sono situazioni in cui spiegare è a dir poco impossibile. Ci sono poi persone con cui non ti "incontrerai" mai.
Inutile accanirsi. Meglio soprassedere.
Poi ci sono le arrabbiature che uno si prende con coloro a cui vuole bene.
Li vorresti esser ascoltato e capito "d'ufficio" ma non è quasi mai così: anche l'altro pretende la stessa disponibilità e dopo le prime due parole storte vai con la scintilla.

Ecco, è sulle scintille tra chi si vuole bene che ho messo la mia attenzione. Andare a spiegare arrabbiati perché vorresti più attenzione, delicatezza, rispetto (che poi discuti, discuti, sempre di quello si tratta), è mancare di attenzione, delicatezza e rispetto al nostro interlocutore e -soprattutto- a noi stessi.
Basterebbe far capire con un sorriso che un certo dato comportamento non ti va di tollerarlo oltre e se l'intenditore è buono, si depongano pure le parole.

Le parole arrabbiate inquinano, diventano altro, rimangono attaccate come cicatrici.
Sono brutte, antiestetiche, pesanti. E poi son sempre urlate.

No, non ne vale la pena anche se poi, quando sei lì, il sangue è sangue e l'ira ti rende cieco.

Personalmente ho deciso di diventare un po' più zen, o almeno di provarci.
L'ultima arrabbiatura mi ha tolto troppo sonno. Non va bene.
E allora si cambia...

Tra le tecniche consigliate: contare fino a cento, immaginarsi in un bel luogo a fare belle cose, distrarsi ed estraniarsi dalla contesa o, se siete fortunati, trasportare il corpo a corpo verbale in un piacevole corpo a corpo fisico.
Il tutto, senza dubbio, a vantaggio dell'energia e dal benessere psico/fisico.
E dopo questo, capirsi, sarà senza dubbio più facile.

E' la scoperta dell'acqua calda? Boh, a me pensarci su ogni tanto serve.

domenica 18 settembre 2011

Quando l'amore è soft and hard (Avevi fretta di andartene - Massimo Volume)

Soft and hard.
Questo a Lui piaceva. 
E Lei era così: soft and hard.

Lei era quella che c'era sempre. Quella che "era". Quella che non si metteva in discussione.

Però Lei era anche quella che non si definiva. Per Lei non c'erano definizioni: e alla fine era così speciale che non era niente.
Una regina delusa. Illusa e delusa.
Era tutto un universo ed era un bel niente.
Era amica, compagna, amante, confidente ma finita l'intimità non era niente.
Era quella con cui fare l'amore nei luoghi e nei modi più strani, era quella con cui condividere segreti, ma alla fine non era niente.
Una regina delusa. Illusa e delusa.
Hard quando si trattava di giocare. Soft quando si trattava di raccontare, esser complici. Niente quando si trattava di prenderla in considerazione come essere umano con dei bisogni.

Era un bel dare, ma a senso unico. E alla fine diventò troppo. Soprattutto perché Lui cercava, cercava, cercava e Lei si sentiva una sorta di ostacolo, di peso inutile.
Il bello è che poi, Lui le raccontava delle altre, come fosse normale fare l'amore con Lei, in attesa di incontrare poco dopo nello stesso letto un'altra ragazza.

E Lei era così "narcotizzata" che non si rendeva più conto. Abituata al poco si faceva piacere il meno.
Così, felice che Lui sognasse di trovare la compagna della vita, certa che in quella situazione Lei fosse poco più di niente, girò i tacchi e se ne andò con la dignità e la forza di una regina delusa.

Le fu all'improvviso chiaro che non era solo questione di forma. Si trattava di sostanza.
Può capitare di esser "l'altra donna" se già esiste una donna. Ma esser "l'altra donna" mentre  Lui è ancora lì che cerca una donna no, era troppo anche per Lei (che di idee libertine e libertarie ne aveva molte).
Eppoi, Lui si era convinto che nel cercare cercare cercare ci fosse il segreto per restare sempre giovani e Lui voleva restare sempre giovane.
Lei invece voleva vivere la sua gioventù, tutta, a perdifiato, finchè ce ne fosse stata.

Così scelse. Toccò per l'ennesima volta a Lei e, dal momento che Lui si vantava di non perdersi proprio niente, pensò che di certo non si sarebbe accorto che stavolta aveva perduto tutto di Lei.
Di certo Lui, che non si perdeva niente, non avrebbe perso un istante a chiedersi dove Lei fosse finita.


Per Lei scegliere fu il coraggio di chiudersi la porta alle spalle e sentire la fretta di andarsene.
Andarsene da quella tomba.

Scelse per sé. E scelse bene.
Scelse di esser donna per un uomo che aveva avuto il coraggio di guardarla finalmente negli occhi.
Accadde all'improvviso e fu acqua nel deserto.
Si ricordò cosa fosse il batticuore. Scoprì cosa fosse il rispetto. Venne nutrita da uno scambio maturo che era dare e avere. Soft and hard, giocare ed esser complici, ma tutto in un altro senso. Tutto più semplice, tutto più sereno. tutto meno straordinario ma più vero, di carne.
E per la regina delusa fu rinascere.
Dopo anni erano ancora lì che si guardavano negli occhi.
Un uomo e una donna.





giovedì 15 settembre 2011

Post-it / 11 sulla mia strada (anch'io)

Dicono spesso di me che sono:
- una pessima figlia
- una gran lavoratrice
- una brava madre
- una donna da tenere di scorta se le altre danno buca
- una amica straordinaria
- una scrittrice
- un'amante passionale
- una donna intelligente
- una persona vittimista
- una persona ottimista
- un'inguaribile romantica
- una mentre si attende la prossima fidanzata
- un carico di energia
- un mondo di malinconia impenetrabile
- sono così perfetta che non mi si può amare (ahahah)
- sono un fantino del palio
- sono generosa
- sono rinata
- sono troppo sensibile
- sono l'angelo necessario
- sono indimenticabile
- sono una grandissima stronza
- sono algida
- sono eccessiva
- sono quella, la sola, per la quale non si prenota
- sono una rompi palle
- sono una donna cazzuta
- sono una con cui non impegnarsi
- sono una da rose e violini e lettere d'amore
- sono borsetta (dialetto emiliano)
- sono una troppo diretta che dice troppo la verità
- sono una che si svende
- sono una tanguera
- sono una che fa paura
- sono una donna che ama troppo
- sono sempre qui, a disposizione
- sono lunatica
- sono bisognosa d'affetto
- sono affamata di vita

Poi ne dicono mille altre e ciascuno ha la sua versione di come sono e di cosa voglio e di cosa è meglio. Per me, certo. Talvolta anche per scaricare la propria coscenza.
Sentenze e verità che -lo ammetto- mi hanno condizionato e frastornato come una pallina in un flipper.

Ora, dopo l'ennesima riflessione, ne rido.

Chi mi vuole un po' più... chi mi vuole un po' meno...
Tutti pronti a dire la loro e scommetterci, alcuni abituati a darmi cosi tanto per "scontata" al punto che non mi vedono più. Altri che pensano sia roba così facile che mi usano e abusano a piacere, quando hanno voglia. Altri che mi pensano inavvicinabile, inaccessibile e altri che mi trattano come una minus habens.

Che spettacolo l'umanità...
Intanto io sono altrove e guardo e ringrazio di cuore tutti quanti: chi mi vuole bene davvero e chi vuole bene solo alla propria pancia 

Farò un elenco delle definizioni che, chi mi conosce e mi "ama"  mi cuce addosso. Così, come fonte di ispirazione mente io, quotidianamente, cerco  e continuerò a cercare di essere come mi voglio io e solo io.
Perché alla fine, non c'è proprio niente di così prevedibile in un essere umano. Ed è bene tenerlo a mente.

N. B. chi si riconosce nelle suddette definizioni appiccicate alla sottoscritta è -stavolta- pienamente autorizzato a farlo.

lunedì 12 settembre 2011

FuoriModaFuoriTempo / 10

Chi non ha mai commesso l'errore di togliersi i pantaloni prima delle scarpe, costui non sa niente dell'amore.
Giorgio Gaber

C'è una stagione in cui l'amore ha fretta, è un tutt'uno con la passione, è maldestro, impacciato quasi.
E' quella la stagione in cui l'amore si toglie i pantaloni prima delle scarpe. Ma nessuno ci fa caso.
Perché anche se a vent'anni il tempo non sembra esistere e la vita è ancora tutta davanti, la voglia e la curiosità ti divorano e tu non puoi fare a meno di avere fretta di scoprire, di provare, di vedere se si può volare davvero.
E l'amore (o quella roba che somiglia all'amore e ti scombina gli ormoni) è il miglior carburante per volare. E allora che importa se ti ritrovi le gambe intrappolate da scarpe e pantaloni.
Tu, comunque, voli. Senza pensare. E sorridi. E voli.

C'è una stagione in cui l'amore ha giocato così tanto che paradossalmente non ha più voglia di giocare. Si sente così "esperto" da risultare addirittura annoiato.
Capita però che qualcosa solletichi il tuo naso con il profumo di quella primavera dei vent'anni e tu abbia voglia di dire ancora  sì alla passione.
Dio, che gran fortuna! Perdere di nuovo la testa. Magari!
Da lì a trovarsi con i piedi bloccati dai pantaloni, a loro volta bloccati dalle scarpe, è un attimo.  Un attimo bellissimo di incoscenza.
Però è una fiammata: dopo aver consumato l'amore fatto di carne, guardiamo rapiti gli occhi di quello che "ci ha portato via" e vorremmo dirgli, come facevamo a venti anni: resta qui, resta con me, ricomincia.
Ma non abbiamo venti anni e non riusciamo a non pensare. Allora quella frase ti muore in bocca. E tu non ti senti impacciato o goffo con i piedi nei tuoi pantaloni. No, ti senti addirittura ridicolo.
E in tutto questo pensare a cosa è meglio dire e a cosa è meglio fare ti perdi il volo.
Niente volo, niente testa vuota, niente sorrisi, solo imbarazzo, talvolta sensi di colpa, talvolta egoismo.
Ormai sappiamo che quell'eternità che si promette a vent'anni è una bugia. Ci abbiamo sbattuto la testa e non ci crediamo più.
Anche quando sei davanti a una persona che ti pare giusta perché parla la tua lingua e potrebbe camminare accanto a te, senza chiedere troppo futuro, tu taci. O peggio, fuggi. Guai se il fuoco che accende gli ormoni ti portasse a prendere impegni pericolosi.
Una vocina ti sussurra: "Allora non hai imparato proprio niente da tutte le cicatrici lasciate sulla pelle dalle vampate precedenti?"
Sì, meglio tacere, meglio non farne di niente. Prudenza!
Ti racconti che per innamorarti davvero hai ancora tempo e metti il freno al cuore: la passione si preferisce consumarla come da copione, nudi, senza batticuore, nè frette, senza il rischio di incespicare nei jeans tirati giù alla bell'e meglio.
Un passo alla volta per carità. Prima la seduzione, poi il gioco del potere, poi la voglia della conquista, il servirsi dell'altro corpo per dar sicurezza al proprio corpo e via andare con menate che niente hanno a che vedere con l'amore che accende la passione.
Fine della poesia.
Non amo il pericolo sia chiaro ma trovo che nei sentimenti la troppa prudenza sia "castrante".
Quel volo perdinci, è il volo. 
Perché rinunciare? Rimandare?  Adottare tattiche e/o strategie? Usare e abusare?
Perché almeno per un po' non torniamo ad ascoltare quello che ci dice l'istinto?
No. Prevale sempre la logica. E non ci divertiamo.
O almeno nella maggior parte dei casi...

Ma il sentimento, il sesso, la passione mica son cose che si "pensano". Si "sentono".
Mi sono chiesta come mai nei fatti di cuore invece di imparare, col tempo si disimpara.
Già, perché si disimpara ad amare (qualsiasi cosa questo voglia dire)?
Perché ci facciamo fottere dalla paura del lasciarsi andare? Perché a un certo punto non ci vogliamo proprio mettere in gioco sebbene ci sia piaciuto e magari ci piaccia ancora molto giocare?
Come mai amare qualcuno, innamorarsi di qualcuno significa solo trovare un essere umano che ci faccia compagnia per gli anni che verranno, senza prendersi responsabilità?

Esisteranno da qualche parte occhi ormai adulti capaci di guardare altri occhi ormai adulti che senza pensare troppo siano capaci di lanciarsi in volo con un bel "resta con me".
Oh, attenzione, mica per sempre eh, lo sappiamo bene...
Per intanto.
Sarebbe un bel brivido. Un gran bel brivido.
E allora via coi pantaloni tolti prima delle scarpe. Via con la passione. Via con la fretta che brucia i pensieri e la prudenza e sia quel che sia.
Testa leggera, cuore che batte. In volo.
Perché poi, quante altre occasioni avremo per imparare a capire cosa sia l'amore, anche quello di carne, se non ci sporchiamo adesso le mani?
Quale altra meravigliosa maniera abbiamo per rimanere giovani e vivi il più a lungo possibile, se non quella di sentir battere forte il cuore e tornare ad essere un po' più istintivi e meno razionali.

Istintivi quanto basta per togliersi prima i pantaloni delle scarpe.

Sarà la luna piena di stasera, ma mi viene di pensare alla rinfusa, così.
FuoriModaFuoriTempo. Forse

domenica 11 settembre 2011

*** l'amore è senza ritorno

E poi, per caso, una sera ti trovi a parlare al telefono con una signora che potrebbe essere tua madre.
Accade proprio per caso, quando meno te l'aspetti.
Sono anni che senti parlare di Lei, ma l'hai incontrata solo per pochi minuti una volta davanti a un caffè.
Eppure sono bastati quei pochi minuti fatti di sguardi e sorrisi a farti intuire la grandezza di quella donna.

Lei quel giorno era presa da altre mille questioni e tu ti sei sentita quasi una ladra per aver osservato con tanta curiosità i suoi gesti, il suo incedere lieve e garbato in casa sua e nei pensieri di chi quella casa - grazie a Lei - la abita seppur in fuga da anni. E la sua benedizione per quella fuga verso una libertà che è destino, realizzazione. E nessuno lo sa e lo vede come Lei.

Io. Una ladra. Una ladra d'amore. Perché di amore si trattava in quel via vai di parole pronunciate con un tono gentile e sincero alle quali era impossibile non porre ascolto.
Si parlava di commercialisti e medici ma si respirava miracolosamente amore.
Presenza più che parole.
Solidità. Forza. Certezza.

Adesso, al telefono, la voce di quella donna ti regala ancora "presenza".
Ti par di vederla dove l'hai incontrata anzi no, la immagini sdraiata sul suo letto, con una confidenza che ti sembra naturale. Lei parla e la sua voce compie il miracolo di riportarti lì, in casa sua. E per quanto tu discorra di viaggi e luoghi da visitare, non riesci ad immaginarla altrove, perché Lei è casa.
La sua casa. La sua famiglia.

E dice "famiglia" e tu senti, percepisci, vivi molto di più di quello che recita il Devoto-Oli.
La sua "famiglia" è la sua semenza migliore che cresce nel mondo, attraverso il suo amore, attraverso coloro che ama e attraverso le opere di coloro che ama. E di queste opere Lei talvolta sa, talvolta immagina. Così ti viene di dirle quello che è appena accaduto e che tu hai visto realizzare e che è stato bello: Lei sospira di orgoglio e di pace.
E in quel momento Lei è lì.
Riconosce e benedice la sua famiglia in quello che racconti.

La sua famiglia è acqua che è ovunque e si adatta a ogni cosa.
La sua famiglia è il saperci essere a distanza, il saperci essere sempre, il saperci essere anche quando non si capisce o non si condivide, il saperci essere mentre si lascia liberi di andare.
La sua famiglia è accettazione di ciò che va avanti con la felice consapevolezza che questo accade indipendentemente da Lei.
Ed è proprio in questo suo saper essere anche assente che Lei è splendidamente presente, indispensabile, insostituibile.
Un punto di riferimento. Una luce.

Una "presenza", appunto.
Una "presenza" che sostiene le scelte di libertà. La libertà.

Tu parli di cose quotidiane, niente di così intimo, alla fine l'hai vista una sola volta.
Però con Lei finisce che il discorso diventa personale: Lei è casa, mica c'è da esser formali. E ascolti.

Mi accorgo come una madre vede questo mio tempo, questa mia età e come invece la vedo io.
Mi accorgo che sono due prospettive diversissime.
"Voi ci state ancora in mezzo" dice Lei, e si riferisce a una generazione di figli, tanti figli, che forse hanno proprio paura di starci in mezzo e così se ne dimenticano inventandosi montagne di alibi.
Figli che pensano con terrore alla fine, senza aver ancora assaggiato il principio.
Figli che non vogliono responsabilità, perché crescere è scomodo.
Figli che quando stanno bene non vogliono fermarsi, perché fermarsi per loro è un po' come morire.
Figli che quando stanno male, fanno finta di nulla perché così evitano di pensare al tempo che è passato anche per loro.
Figli che quando vanno avanti non si concedono la giusta soddisfazione di dire: questo l'ho fatto io da solo e son stato proprio bravo.
Figli che non vedono più la bellezza, la loro bellezza e cercano, cercano, cercano ma non si sa più cosa.

"Voi ci state ancora in mezzo" dice Lei.
E con questa sola frase ti riporta coi piedi a terra.
Ti rimette al mondo.
Ti riconsegna alla responsabilità della tua vocazione.
Ti dice che una vita ce l'hai e questa vita ogni giorno può essere bella, semplicemente perchè vissuta davvero e non immaginata, sognata e rinviata a un domani che forse non sarà mai.

"Voi ci state ancora in mezzo" dice Lei.
Con dolcezza a svegliarti da un torpore di bugie che ti racconti: sii presente figlio mio, c'è da fare. C'è ancora da fare un bel po'.
E allora pensi che bisogna davvero starci in mezzo, esserci, essere "presenza" come Lei.

Mai ho avuto la fortuna di parlare così con una madre.
Ma poi capisco che questa non è una madre, è una mamma.
E mi commuovo un po'. Non ce ne sono poi così tante.
Capisco che è una donna, una di quelle che "genera" perché Lei è, e c'è.

E mentre leggo Dino Campana la ritrovo in un verso: "L'amore è senza ritorno"

Si, l'amore è senza ritorno.
Presenza che ama senza ritorno.

Grazie.

venerdì 9 settembre 2011

RIFLESSIONI 32 / donna, è perché non gli piaci abbastanza

Apro facebook e vado direttamente alla home. Ho un pc vecchio e gli aggiornamenti arrivano piano così mi scorrono davanti diversi post.
Mi soffermo su quello di un'amica che ripropone una pagina tra le più gettonate della nuova letteratura "al femminile".
Eccola qui:


E la regola dice che se un uomo non ti chiama, è perché non vuole chiamarti. Se ti tratta come se non gliene fregasse un cazzo, è perché non gliene frega un cazzo. Se ti tradisce, è perché non gli piaci abbastanza.
Non esistono uomini spaventati, confusi, disillusi. Non esistono uomini tragicamente segnati dalle passate esperienze, bisognosi d'aiuto, bisognosi di tempo. 
Gli uomini si dividono in due categorie soltanto: quelli che ti vogliono. E quelli che non ti vogliono. 
Tutto il resto è una scusa. E tu, tu donna, di mestiere fai l'avvocato, la commessa, la cameriera, l'insegnante, la casalinga, la commercialista, la modella, la ragioniera, l'attrice, la studentessa. Non la crocerossina. Quindi. Aspetta che sia lui a chiederti di uscire. Perché va bene la parità dei sessi, le quote rosa, e l'eguaglianza dei diritti. Ma i tempi non sono poi così cambiati. Gli uomini restano pur sempre dei cavernicoli, sia pure incravattati, e come tali adorano il sapore della conquista. Tieniti lontana dagli uomini sposati. Non lasceranno la moglie per te. Meno che mai lasceranno i figli per te. 
E non credere alla storia dell'amica della sorella di tua cugina, appena convolata a nozze con quello divorziato. 
Tu non sei l'eccezione. Tu sei la regola.
Al bando quelli che ti costringono ad aspettare ore accanto ad un telefono che non suona. Non hanno perso il tuo numero. Non hanno investito un cane. Non hanno appena scoperto di avere un tumore alla prostata. 
Probabilmente sono al telefono con un'altra.
Oppure sono gay.
Fanculo quelli che non declinano i verbi al futuro. 
Non sono analfabeti. Semplicemente non vogliono impegnarsi. 
Perché non gli piaci abbastanza. 
Li riconosci facilmente. 
Girano con un cartello appeso al collo, e la scritta: "Ci stiamo frequentando". Quando la senti, scappa.   
Non consumare le tue belle scarpe nuove (e neppure quelle vecchie) per correre dietro un uomo che non ti vuole. 
Usale, piuttosto, per prenderlo a calci in culo. Impara l'arte dell'essere donna. Impara l'arte di ottenere dagli uomini quello che desideri, non sbattendo i piedini, ma facendogli credere che siano stati loro a decidere.   
Impara a scegliere, invece che essere scelta.


Amiche, provate a dire che non è così.
Provate a dire che non passiamo ore a cercare di capire il nulla, ragionando di maschi e dei loro comportamenti.
Provate a dire che non diventiamo le crocerossine di chiunque ci piaccia un po' soprattutto di quelli che, maledetti e disperati per vocazione, usano il "non voglio proprio esser salvato" come arma di seduzione. 
Provate anche a dire che - appena coinvolte - non cerchiamo di trasformare in principe azzurro ogni essere maschile, persino quello che si dà una brutale aggiustata ai coglioni con le mani e con l'altra si gratta le mele. 
Provate poi a sostenere che, anche quando sappiamo che uno ci usa e ci getta, noi da brave eterne romantiche non lo psicanalizziamo cercando di giustificare l'ingiustificabile e cercando di far collimare i suoi comportamenti con i nostri bisogni. 
Provate a ricordare se l'ultima volta dentro un letto (a meno che non fosse stanco morto e svogliato), lui vi ha tenuto sopra o un certo punto vi dominato come solo la natura suggerisce di fare. E già che ci siamo, provate a ricordare se vi è piaciuto o no.
Provate cioè a dire che non vi piace essere "femmine", ovvero prima prese come si deve, poi forse comprese (ma se ne può fare a meno).
A questo però, non negate che volete segua un dopo, fatto di coccole e se il dopo non c'è, utopicamente ve lo inventate, mettendovi al centro di un universo che esiste solo per pochi minuti nella vostra fantasia (perché lui ti guarda con più o meno intensità ma che ne sai cosa sta pensando se non te lo dice?).
Provate poi a raccontare e raccontarvi la bugia più grande di tutte ovvero che vi piace da matti il sentirvi dire: "io e te scopiamo, ma siamo solo amici...." (e questo anche se di quest'uomo non siete innamorate). Perché magari vi capita e lo fate pure volentieri (di far sesso senza impegno dico), ma sentirvelo sbattere in faccia a mo' di precisazione contrattuale, è davvero faticoso da sopportare, addirittura svilente per chi è cresciuta in attesa di diventare "quel gran culo di Cenerentola".
Ci portiamo dietro un bagaglio culturale che ci rende ancora incomprensibile la fredda insensibilità dei maschi, anche dei più dolci e sensibili.
E allora diventiamo aggressive o remissive. Stronze o troppo buone. Difficilmente in equilibrio. Vulnerabili.
E loro lì, un esercito di uomini non più machi, in bilico tra la difesa e l'attacco, la fuga e la resa ma certo con le idee più chiare di noi: "se ti scopo senza impegno vuol dire che non voglio impegno"; "se non ti chiamo è perché non voglio chiamarti"; "se ti tradisco è perché quell'altra mi piace di più"; "se non ti cerco non mi piaci abbastanza!"
Non fa una grinza. 
Facile, banale perfino.

Ragazze, lasciate da parte Freud e Jung e tatuatevi da qualche parte "impara a scegliere invece che essere scelta". Io ancora non so che vuol dire.  Ma essendo certa di essere la regola, so che alla fine serenamente imparerò.
E da qualche altra parte fatevi tatuare anche "se qualcuno non ti vuole, vuol dire che non gli piaci abbastanza". 
E' tutto detto qui. 
Lo sport del "lui non lo sa ancora ma mi ama, io l'ho capito perché fa così è l'ex, la mamma, la sorella, la figlia" è stato abolito. 
Tu, ragazza mia, pensa a te. 
Se fai di questi pensieri, vuol dire che sei bella abbastanza. Non affaticare inutilmente i tuoi neuroni.
Gira le tue scarpe tacco 12 e fatti inseguire da qualcun altro. 
La mia amica Giulia che si occupa di alta moda, saprebbe anche dirti quali scarpe ci vogliono per aver sempre i piedi nel posto giusto!
Good luck!

Secondo le donne quando ci scelgono non amano proprio noi... forse una proiezione, un sogno, un'immagine che hanno dentro. 
Ma quando ci lasciano siamo proprio noi quelli che non amano più.
Giorgio Gaber
uomo che aveva capito tutto...



lunedì 5 settembre 2011

*** e vado

Ho percorso quasi duemila chilometri dentro una macchina incandescente. Un viaggio fatto di benefico sudore attraverso l'Italia bella ovunque. Un viaggio per capire che si è vivi ogni attimo e si sceglie ogni attimo. Ho scelto me. Lascio agli altri i loro inferni e i loro voli pindarici, le loro distrazioni e i loro silenzi. I "ciaooo, come va?" e i "ma sei in forma splendida, ci sentiamo presto!". Lascio agli altri le parole che non sanno e non riescono a dire, quelle aggressive o incomprensibili e quelle di circostanza. Le loro incompletezze e solitudini. I loro buoni propositi e il loro andare sempre senza muoversi di un passo se non con l'immaginazione.
Ho preso la macchina, ho messo su un cd, uno solo, e son partita.
Lascio a chi, fingendo di improvvisare, organizza ogni attimo del suo viaggiare, a questi lascio la gabbia di una falsa libertà, fatta di paure.
Per quasi 20 ore, pur viaggiando per necessità e dovere a una temperatura di 42 gradi, ho guardato la strada. E lì sopra c'ero proprio io. Così bella e brutta come sono. Tra i clacson dei camionisti che salutavano le mie gambe scoperte, con i miei segni sulla pelle, con un telo di spugna bagnato d'acqua fredda all'autogrill e stretto attorno al corpo per abbassare la temperatura, le prostitute nelle stradine di campagna dove capitava di fermarsi a far pipi. E sentivo fatica. La mia fatica dell'andare.
E andavo. E vado.
E ancora vado.
E vado.