domenica 30 ottobre 2011

Per l'anima / 14

Il balcone

Pareva facile giuoco
mutare in nulla lo spazio
che m'era aperto, in un tedio
malcerto il certo tuo fuoco.

Ora a quel vuoto ho congiunto
ogni mio tardo motivo,
sull'arduo nulla si spunta
l'ansia di attenderti vivo.

La vita che dà barlumi
è quella che sola tu scorgi.
A lei ti sporgi da questa
finestra che non s'illumina.

Eugenio Montale

sabato 29 ottobre 2011

RIFLESSIONI 34 / credo ci voglia...

Credo che ci voglia pazienza.
Credo che ci voglia maturità.
Credo che ci voglia senso di responsabilità.
Credo che ci voglia curiosità.
Credo che ci voglia fame e sete.
Credo che ci voglia speranza.
Credo che ci voglia poca memoria al momento di dimenticare.
Credo che ci voglia poca superbia e molta umiltà.
Credo che ci voglia passione, amore, desiderio, capacità di sognare, costruire, immaginare.

Credo che tutto questo e molto di più sia indispensabile quotidianamente per provare a vivere davvero e finalmente provare a diventare uomini.

Per questo, rispetto a questa fatica immane, credo che ci voglia proprio poco a chiedere scusa, a porgere la mano, a dire sorridendo... "ehi, forse stavolta ho esagerato".

E invece... quanto siamo bravi a complicare la nostra vita già di per sé complicata.
Anche quando a fine ottobre c'è ancora il sole e l'estate sembra non essere così lontana.
Ferire e incassare.
Ora, sebbene sia la cosa che sappiamo fare meglio, mi chiedo, è davvero questa la nostra missione?
Ne vale proprio la pena?

mercoledì 26 ottobre 2011

Quando l'amore è aiutarsi a capire (Amarsi un po' - Lucio Battisti)

I suoi occhi alla luce dell’alba erano bellissimi, magnetici.
Parlavano, pregavano, imploravano, desideravano ancora come se non ci dovesse essere un domani: “Io non ti lascio andare via” ripeteva Lui.
E con le parole diceva solo questo, ma i suoi occhi... E le sue mani la trattenevano con forza.
Lei invece doveva proprio andare ma avrebbe voluto restare lì per almeno un'eternità e chiudendosi la porta alle spalle pensò: “Non ci sarà un altro incontro così”.
Era stata la carne a parlare tra loro. Poche le parole. Un’intensità indescrivibile.
Lei lo conosceva da lontano, quanto bastava per evitarlo. Lui non la conosceva affatto. Si erano incontrati al matrimonio di amici comuni e lì avevano avuto modo di parlare un po', degli sposi, della festa, dei loro lavori. Facevano un lavoro simile. E Lui alla fine non era così antipatico. Si scambiarono idee e telefoni, e decisero di rivedersi per capire se potevano fare cose insieme.
Così, nei giorni seguenti, si concessero due caffè: il primo in piedi, veloce e pieno di parole che dicevano tutto e niente. Lui era addirittura imbarazzato. Impacciato. 
Il secondo pochi giorni dopo, seduti in un bar: quindici, venti minuti strappati al lavoro per parlare di lavoro ma il discorso si spostò subito su altro.
Lui l'aveva definita "pericolosa".
Lei cercava di spiegare che non c'era nulla da temere e cercava di parlare di una sorta di situazione che si avvertiva nell'aria e preannunciava tempesta, ma Lui era abile a cambiare argomento, a non ascoltare ciò che non voleva sentire. E quando non voleva sentire, con la mano le spostava i capelli dal viso la zittiva.
Lui aveva capito molto di ciò che Lei non le aveva detto ed era premuroso, protettivo, cercava di non toccare le ferite ancora aperte. Cercava di non sapere da dove venisse Lei per non soffrirne. Si capiva che la desiderava. Ma la evitava, mettendo distanza tra Lei e le premure che aveva per Lei. 
Di fatto aveva una donna e sapeva amarla felicemente, ma per Lui era difficile fermarsi lì. E così da sempre combinava guai: finché erano voglie "passeggere", i guai erano passeggeri. Ma quando c'era qualcosa di più importante in gioco Lui aveva paura di perdere. Di perdere tutto. Stavolta aveva molte remore e paure. Poca fiducia in sé stesso. E paradossalmente aveva paura di perdere tutto prima ancora di avere qualcosa, perché sentiva che quella roba era roba sua da chissà quanto tempo. E di perdere no, proprio non ci stava.
Lei aveva capito molto di ciò che Lui non le aveva detto e cercava di non far precipitare gli eventi, lasciava al momento, alla libertà di essere come ci si sente di essere, senza giudizio. Non era caso di creare inutili complicazioni. Non si sentiva attratta, semmai coinvolta. Non voleva avventure. Non voleva storie. Non voleva niente.
Non voleva l'ennesimo problema da gestire.
Non voleva neppure divertirsi per un po'.
Lui era una persona interessante, meglio sgombrare il campo da equivoci, tranquillizzarsi e finalmente conoscersi. Non voleva sofferenze e drammi più o meno deliranti che poi alla fine son solo capaci di rivelarti la miseria di chi hai davanti.
Alla fine era facile: ci sarebbero state mille cose da dire, da raccontare. Cose su cui ridere, e su cui esser seri. E invece non ci fu bisogno.
Sedevano accanto in quel bar e sembrava che tutto fosse stato già detto.
Lo stesso accadde quella sera quando avevano deciso di prendersi un caffè più lungo e far due chiacchiere chiarificatrici su di loro e sul lavoro.
Potevano usare parole, disegni, musica: invece fu la carne a parlare per loro.
Nessuno dei due cercava quello che accadeva eppure stava accadendo.
E sembrava la cosa più naturale del mondo.

Forse era vero che si conoscevano da sempre, come a un certo punto disse Lui.
Lei non disse niente. Dimenticò il mondo.
Non ci furono copioni di seduzione da recitare, né frasi ad effetto da dire.
Non erano affatto preparati ad un incontro galante.
Erano reduci dal lavoro, stanchi, in disordine.
Ad un certo punto Lui decise di fare la cosa che temeva di più: guardare negli occhi Lei. Prese il coraggio a quattro mani e si mise in gioco: per qualche ora, per un po’di più, per non si sa quanto.
Fu come scatenare il temporale e poi fu la quiete per un attimo e ancora il temporale. E così via. Senza sosta. Ci fu una fame che non fu saziata. Ci fu una pace di cui entrambi provavano nostalgia.
Poi magari ci furono i pensieri pesanti di chi fa i conti con il ritorno al piccolo inferno quotidiano. Ma a questo furono dedicati pochi minuti che ciascuno sospirò per proprio conto.
A quel punto era Lei a non staccare gli occhi da Lui: un uomo così forte.
Si erano detti un sì pieno, senza filo spinato e linee di confine invalicabile, un sì che prometteva solo ciò che era possibile: io ci sono e voglio conoscerti.
Senza progetti, senza impegni, senza bugie, col solo impegno che è il vivere.
Una donna che si era presentata senza maschere e senza aspettarsi niente.
Un uomo che si era offerto lasciando da parte le sue remore e accettando il fatto che davanti a lei doveva venire a patti con il sé stesso che detestava.

Lei, che aveva perso da tempo i suoi riferimenti, tornò a casa certa che sì vuol dire sì. E che il bene non si dimostra con il silenzio o con le parole ma con i fatti.
Con la presenza.
E da troppo tempo le presenze nella sua vita erano quelle di fantasmi.
Lui che combatteva con i suoi turbamenti e con i suoi sensi di colpa, capì che ci sono incontri che viaggiano su binari paralleli alle nostre paure ed esser coerenti e crescere talvolta è anche dover accettare di essere intimamente diversi da come ci immaginiamo.
E così, al di là delle regole che il nostro piccolo mondo borghese impone, il perbenismo, la moralità/amorale, la perversione della perfezione, entrambi furono felici di essersi aiutati a volare nel vuoto. Furono felici di essersi aiutati a capire in un modo bellissimo e naturale che amare non è un verbo, ma un modo di essere, di accogliere, di comprendere, di comunicare, di accettare. Magari talvolta faticoso ma che non può far male a nessuno. 

Soprattutto a chi ama. Se davvero si mette in gioco e ama.
Non per sempre, almeno per un po'.



domenica 23 ottobre 2011

Per l'anima / 13

... C'e' un amore che non muore mai
Più lontano degli Dei
A sapertelo spiegare
Che filosofo sarei

 (Francesco Bianconi - Baustelle)

sabato 22 ottobre 2011

Confessioni di un'anima sempre più stanca, sempre più forte

Ho accolto prima i tuoi occhi, poi il tuo sguardo. Mi sono lasciata denudare, in fretta.
Poco importava se il luogo era freddo o squallido. Era lì che doveva accadere, ed è stato bellissimo.
Ho accolto prima la tua voce, poi le tue parole. Mi sono lasciata sedurre, subito.
Poco importava se erano pasti mai consumati del tutto. Me li son fatti bastare, sapevo che c'era di più.
Ho accolto prima il tuo respiro, poi la tua bocca. Mi sono lasciata mangiare.
Poco importava se i morsi facevano male. Me li son fatti piacere, perchè poi c'erano labbra che lenivano.
Ho accolto prima la tua pelle, poi il suo calore. Mi son lasciata abbracciare e mi son perduta e ritrovata mille volte in quell'abbraccio.
Poco importava se questo fosse sconveniente o indecente. A me sembrava splendidamente naturale.
Ho accolto prima la tua carne, poi il tuo corpo. Mi son lasciata consumare.
Poco importava se questo avesse un senso o meno agli occhi del mondo. Per me era preghiera.
Ho accolto prima il tuo sangue, poi la tua anima. Mi son lasciata abitare.
E' stato imparare di nuovo a credere di poterci sfiorare la meraviglia.

Ho toccato con le mani nude la bellezza e lo squallore. La gioia e la tristezza. La ricchezza e la miseria. L'umiliazione e l'unicità.
Sono sprofondata dentro mari d'amore camuffato e mari di inquietudine travestita.
Son sempre rinata: cambiata, diversa. Ho imparato a cercare e ancora "tendo a..."

In questo mio andare ti ho trovato per caso e adesso che mi fermo a pensarci mi dico che è stata una gran fortuna.
Quello che è accaduto lo amato tutto. Sì, l'ho amato tutto come sacro.
Ho rispettato rumore e silenzio.
Ho camminato scalza e vagato nuda per un bel po' tormentandomi di domande.
E alla fine ho creduto a tutto: ai tuoi occhi, al tuo sguardo, alla tua voce, alle tue parole, al tuo respiro, alla tua bocca, alla tua pelle, al tuo calore, alla tua carne, al tuo corpo, al tuo sangue, alla tua anima.
E ho creduto soprattutto alle tue bugie. A tutte le tue bugie. Perché sentivo di poterci credere.

Ho avuto sempre totale e piena fiducia. Ho imparato la fiducia e ho vissuto la fiducia.

Per questo adesso non riesco a credere a questa sorta di indefinibile crudeltà, o assurda punizione.
Per questo, anche adesso, anima mia adorata ti abbraccio con tutta la dolcezza, la compassione e la comprensione che ho e che posso.
E continuo ad andare, perché siamo ancora là in mezzo e c'è ancora tanto da fare.
E continuo ad andare.
Sempre più stanca, sempre più forte.

giovedì 20 ottobre 2011

***due caffè pagati

Arrivo, cambio valigia e riparto. Distratta, mentre percorro sul mio "ciao" la discesa verso il garage, mi colpisce un nome su uno di quei manifesti che sancisce il silenzio e l'addio.
Freno. E non ci credo. 
Mi hai rimproverata di non aver ancora bevuto il caffè che mi hai lasciato pagato al bar dove mi hai "abbordata", mi hai addirittura detto che per dispetto me ne hai lasciato anche un altro già pagato...
Mi hai detto che non ci sono mai, manco per un maledetto caffè e che l'ultimo, seduta con te, risale al marzo forse aprile scorso.
Mi hai detto che ti sarebbe piaciuto farmi cantare nel tuo gruppo (ora si chiamano band).
Mi hai detto che stava per uscire un nuovo libro. Volevi una mano.
L'ultimo dolce rimprovero dalla finestrina che si affaccia sulla via principale. E i tuoi occhi blu che non lasciano scampo.

E oggi di te mi restano appunto i libri, le tue dediche, una poesia che hai scritto per me e che hai confessato aver proprio scritto per me e delle lettere che io ti ho scritto e non ti ho mi dato forse per pudore, forse per pigrizia, pur annunciandotele.
E sì che tu le desideravi, me lo avevi detto tante volte. E sì che poi son timida.

E adesso che io parto di nuovo e che tu sei partito per sempre, di cosa me ne faccio delle parole che non ti ho mai detto?
Manco il tempo di dirti ciao. Manco il tempo di un biglietto scritto con l'inchiostro colorato della stilografica che tanto piace a noi. Manco il tempo di capire dove sei, dove ti porteranno. E non lo chiederò, lo sai.

Che scherzo il tempo, il silenzio, la luce.
Quanta arroganza e supponenza e superbia nei nostri: lo farò, te lo dirò, lo vedremo, lo faremo.
E io adesso mi sento più sola e più stupida per una serie di motivi che vedi ora ti direi e che invece non saprai mai. Maledette parole!
Il bene lo si deve dimostrare coi fatti e io so di non esserci riuscita con te. Ti ho sempre fatto attendere, e con quale diritto?
Tu hai atteso me, tu che mi hai insegnato tanto e a cui devo moltissimo.
E adesso mi tormenta il pensiero.

Volendo, mi restano quei due caffè pagati.
Sai che il caffè lo bevo solo amaro, ma adesso mi sembrerebbe fiele.

lunedì 17 ottobre 2011

Per l'anima / 12

C'è nelle cose umane una marea che colta al flusso mena alla fortuna: perduta, l'intero viaggio della nostra vita si arena su fondali di miserie.
Ora noi navighiamo in un mare aperto. Dobbiamo dunque prendere la corrente finché è a favore, oppure fallire l'impresa avanti a noi.

William Shakespeare

domenica 16 ottobre 2011

Epifanie / 9

Perché poi non è mica vero che la parola gioire significa per tutti la stessa cosa...
E non è vero neppure che la parola felicità significa per tutti la stessa cosa.
E non è vero che la parola libertà significa per tutti la stessa cosa.
E così via.
E spesso invece è vero che ti vengono inflitte punizioni solo per far star meglio chi te le infligge. 
Ma è un meccanismo antico. 
La pelle delle donne lo sa.

A questo pensava mentre in testa risuonavano le parole "tu sei importante",  "ti voglio tanto bene", "sei parte della mia vita" così, abbandonate ad un assurdo silenzio in attesa della rivelazione di un nulla sensazionale.

E quel silenzio proprio non lo concepiva. 
Non lo concepiva mai, figuriamoci nei giorni dei vivi. 

La ragazza puntò gli occhi nello specchietto retrovisore della sua auto. 
Forse passò un secolo. E per tutto quel tempo rimase a guardare quei suoi occhi.
Era certa di non conoscerli più.
E c'erano cose in quegli occhi cose, così uniche e speciali che nessuno avrebbe visto più.

Si rassettò. Dalla sua borsa mancavano cose, alcune trascurabili a dire il vero, altre più importanti. 
Poi frugò a lungo e si accorse di una perdita irreparabile: non c'era la fiducia.

Pensava di essere molto stanca.
Capì che aveva appena iniziato a camminare.

mercoledì 12 ottobre 2011

***i trasgressivi animali metropolitani

C'è chi dev'esser trasgressivo e sprugiudicato per contratto.
Son quelli nati e cresciuti nei posti trendy, quelli che stanno tra gente figa, quelli che fanno mestieri cool, quelli che sono così oltre le mode che non badano al look, quelli che sono intellettuali alla maniera dei "radical chic" di vent'anni fa.

E' gente nata solitamente nelle metropoli, perché se viene dalla provincia hai voglia a vestirla a festa, si vede.
La provincia è un peccato che non si lava facilmente. Ti rimane addosso e in certi ambienti ti rende inadeguato.
Devi metterci molta creatività per far diventare questo diffetto un pregio, se ci riesci è fatta: ottieni di risultare simpatico/a.
Ma resti un provinciale, l'animale metropolitano è ben altro. Altro passo, altra falcata, altro sguardo sulle cose.

L'animale metropolitano muore di disperazione per la sua solitudine ma ti racconta che è felice e pieno di amici, fa un sacco di cose belle, sta sempre bene e che il viver solo è una sua precisa e voluta scelta di vita. (Peccato non abbia mai provato la compagnia).
Non ha orari, passa da un aperitivo a una festa, da un concerto a un cinema, da un dibattito a una presentazione.
La vita è un "vernissage" o meglio, una "vernice"  di piccoli sensazionali nulla progettati con un incredibile dispendio di energie.
Il frigo vuoto, giusto un po' di alcol. Il letto sempre pieno di carne, ma mai di corpi. 
Dai trenta ai quaranta devono conquistare il mondo ad ogni costo.
Dai quaranta ai cinquanta se non li hanno rimpiangono di non aver figli, come si rendessero conto che quella potrebbe essere una ipoteca sulla morte. Poi se ci pensano sul serio, son ben felici che il mondo finisca attorno al loro ombellico.

E poi sono esauriti.
Uhhh, come sono stanchi gli animali metropolitani!
Lo stress è la loro malattia che alimentano con uno spregiudicato egoismo e un'insanabile solitudine che li rende financo aggressivi.
Ma vanno compresi: sopportano ritmi inumani, ergo possono essere disumani, talvolta. Chissenefrega tanto!

Tra questi i casi più degni della "pietas" di classica memoria, sono coloro che devono esser trasgressivi per contratto ma non lo sono di natura.
Magari son persone molto dotate, brillanti, intelligenti, ma starebbero meglio a produrre nella quiete di una vita a ritmo lento, fatta di buon vino e niente superalcolici, pochi lustrini e pochi stravizi, più coccole e meno pornografia.

Perché anche se non è sempre vero che la droga va a braccetto col sesso e il rock'n roll, questo mito tarda a morire.

Se sei una persona perbene e vivi nello zoo degli animali metropolitani, fai fatica ad accettare di esserle perbene. Un pochino maledetto devi esserlo per forza no?
Hai paura di coltivare affetti veri che pure provi, ma che rifuggi come fossero il demonio. Pensi di essere eterno, ti convinci, malgrado lo specchio, di essere bellissimo, fighissimo, indispensabile e molto amato. E sei nel delirio di onnipotenza travestito da simpatica, cordiale, amicale, modestia.
E così qualcuno ti prende sul serio, vede in te quello che non c'è e tu osi, e osi, ti proponi anche spettinato, sgradevole ma il tuo motto è: io sono così, costi quel che costi. Son pronto a perdere tutto. Io mi basto!

Poi, se trovi qualcuno che ti ama e che ti offre bellezza, lo distruggi, perché sotto sotto, non ti senti degno.
E lo fai con un piano perverso che alterna puntate di bieco e cattivo abuso a puntate di francescanesimo e flagellazione.
E come dice il poeta "non riesci più a volare". 
O meglio: non sei mai riuscito a volare, incapace di toccare almeno per una volta con le tue nude mani prive di protezione il dolore, l'amore, la speranza, la gioia, una qualsiasi emozione.
Inadeguato alla vita, non vivi se non perennemente protetto e quindi costretto da un preservativo.
E siccome sei animale metropolitano, diventi un animale metropolitano che a tratti è anoressico del jet set, a tratti è bulimico di stravizi per recuperare le assenze da quel mondo in cui tutti vogliono bene a tutti perchè nessuno sa voler bene manco a se stesso.
Un essere bi-polare. Perennemente dibattuto tra il vorrei e non vorrei. Tra la bellezza di ciò che potresti essere e la falsità di quel che ti costringi ad essere. 
E attorno il vuoto è sempre più cosmico.
Perchè attenzione: quando sbagli, non è mai colpa tua, dipende sempre dall'altro. Dai complessi dell'altro, dai problemi dell'altro, dal suo modo di farti sentire in colpa. E tu, di sentirti in colpa non ne puoi più.. 
E allora continuerai a voler bene, tanto non sai che cazzo vuol dire, ma da moooltoo lontano.
L'importante è che tra un paio d'ore ci sia una nuova festa, un nuovo aperitivo, un altro vernissage...vai col circo e che ci sia un buon drink.

Poi, ogni tanto, qualcuno come te ci tira il calzino.
Mica per finta eh... per davvero.
E lì a metter le ceneri in un urna ci si ritrova magari in due: un parente e una ragazza di provincia.
Il circo continua a brillare, ma altrove.
Sì, alcuni scrivono parole che suonano dolore di circostanza, ma non di partecipazione. 
Nessuno si sporca le mani. Nessuno si sporca le scarpe con la terra del camposanto. Al camposanto non ci sono drink e lustrini, musiche a palla e gente che ride. E all'animale metropolitano le lacrime e il silenzio fanno terrore.
E allora via dalla malattia, via dalla morte. Guai a chi ne parla. Guai se ne hai condiviso talvolta qualche dettaglio con qualcuno: quel qualcuno diventa un testimone scomodo che ti tiene in scacco.
E quanta sfiducia in sé stessi e nel prossimo.
Ecco il lato triste della bella favola.
Che brutta vita deve essere quella dell'animale metropolitano. 

E tu, animale metropolitano che hai vissuto la trasgressione per contratto e non per natura, che ti si violentato fingendo di piacerti ma in realtà volendo piacere agli altri, e che ti sei proibito emozioni e sentimenti, e che ti sei raccontato tante bugie al punto di allontanare da te chiunque ti abbia carezzato con amore sincero e gratuito, adesso che sei freddo dimmi: ne è valsa la pena?

E soprattutto, dopo tanta ingrata e ingiustificata e immatura strafottenza, avresti mai pensato di trovarmi qui?
Difficile mettersi nelle scarpe di una ragazza di provincia senza offendere e saltare a conclusioni banali da filmetto rosa, eh?
Difficile credere ad interessi diversi da quelli materiali? 
Difficile accettare che c'è chi si sforza di vivere mettendo al primo posto l'anima nuda com'è e poi il resto? 

Quante cose vorrei sentirti dire adesso se non fosse già tardi.
E poi qui c'è un silenzio che suona, fa freddo ed è quasi buio... 
E tu, che non hai mai pianto neppure al telefono, sapresti parlare al freddo e al buio e in questo silenzio che suona?

lunedì 10 ottobre 2011

Epifanie / 8

C'è chi è impotente sessualmente e chi è impotente sentimentalmente.
Penso sia terribile in entrambi i casi, ma dovessi scegliere preferirei non riuscire a far sesso.
Tremenda condanna è la solitudine vestita a festa, di chi non sa relazionarsi al prossimo.

sabato 8 ottobre 2011

Quando l'amore sembra un regalo di Natale (Sapevo il credo– Cristiano De Andrè)

Ogni volta che si incontravano era come se si vedessero ogni giorno: tutto naturale, senza filtri, “come veniva”. Era stato così difficile lasciarsi che alla fine non si erano lasciati mai.
Si conoscevano da una vita, erano stati sposati e quando avevano deciso di separarsi in nome della reciproca libertà, lo avevo fatto sapendo che del tutto separati non sarebbero potuti restare. E infatti...

Era quasi il 25 dicembre.
Quel Natale Lui correva dai suoi e da quella nuova donna di cui forse era innamorato ma che gli dava il tormento.
Lei cercava rifugio tra le belle (troppo belle) braccia amiche (troppo amiche) del suo nuovo, diciamo, “fidanzato” e forse per questo aveva in testa quella canzone popolare che fa “...meglio sarebbe se non t'avessi amato...

Non erano contenti di questi amori che non erano come volevano loro e se lo raccontavano.
E se lo raccontavano ogni volta: al telefono, via mail, ad ogni incontro.
E se lo raccontavano mentre facevano l'amore.

Si perchè quando si incontravano era naturale fare l'amore. E si arrabbiavano per le loro storie, come a sfogare l'uno con l'altra le reciproche e personalissime insoddisfazioni.

Poi, dopo le lamentele e la passione oppure la passione e le lamentele, si mettevano a ridere e Lui faceva per Lei l'attore, imitando chiunque. Sapeva di farla ridere e a Lui dava gioia il suo sorriso. Ed era bravissimo: avrebbe potuto viver di questo, altro che attraversare su e giù il paese a far riunioni noiose in giacca e cravatta....

Lei rideva, ma non sapeva proprio ridere; era proprio ridicola nel ridere. Le usciva una vocetta stridula vagamente isterica... proprio non c'era abituata. Ma con Lui aveva sempre riso e rideva ancora, nonostante tutto: le ridevano gli occhi.

Giovanottino tu mi piaci tanto...” canticchiava Lei quando quella notte arrivò all'hotel vicino a un'autostrada qualunque. Era disperatamente felice.

Non si aspettava nulla.
Non si aspettava neppure che la camera di quell'hotel, che su internet si dava tante aree e vantava 4 stelle, fosse tanto brutta.
Ad un tratto si chiese perchè fosse lì, ma non si dette il tempo di trovare una risposta e si rimise a sussurrare quel motivetto “... e non sapendo neppure l'Avemaria...”

Lui aveva telefonato, era ancora in viaggio.
Lei era già dentro quel letto della camera brutta con quei bruttissimi quadri che solo gli alberghi non si vergognano di esporre. “...come farò a salvar l'anima miiiiiaaaa...”

Sul comodino c'era anche la Bibbia, notò.
E questo le strappò una sorriso.
No, non si aspettava davvero nulla, non pensava a nulla. Si sentì sollevata.
Le venivano in mente tanti pensieri, proprio come quando non si pensa a niente.

Guardando il televisore spento le passò davanti agli occhi la loro casa, quella casa che avevano messo su insieme con tanto entusiasmo e che ancora oggi esisteva in quella grande città che per un po' era stata anche la loro città. Raramente però capitava che si incontrasserò lì: o c'era Lui o passava Lei perchè anche lei aveva un bel daffare con il lavoro che la portava in giro.
Sospirò ad alta voce.
Chissà, forse per questo non avevano avuto figli, forse per questo non riuscivano ad avere altre storie che durassero più di 8/9 mesi.
Tutte uguali: un po' di passione, un po' di innamoramento iniziale, poi la crisi e la paura di trovarsi in trappola. Già, la libertà. E per preservare la libertà, entrambi cercavano vie di fuga.
Due anime perennemente in fuga, anche l'una dall'altra, per poi comunque essere sempre insieme.
Lui poi era specializzato nel cercare donne che sin dall'inizio presentassero qualche “incompatibilità evidente” con la sua indole. Ma, testardo e orgoglioso, doveva batterci la testa prima di mollare.
Era comunque un modo sicuro per mettersi in salvo ancor prima di correre il rischio.
E quasi quasi Lei lo invidiava per questo.

Sì, perchè invece Lei, che giurava e spergiurava di non voler “mai più” innamorarsi, alla fine si innamorava sempre e sempre di tipi tragicamente sbagliati. E giù lacrime e sangue.
Ma alla fine anche questo era un modo sicuro per mettersi in salvo ancor prima di correre il rischio.
Qualche volta ripensava al suo matrimonio.
Ma sì, era giusto che fosse così. Almeno con Lui non aveva rimpianti.
“...sì come piace il mare alle sireneeee...

Lui finalmente bussò alla porta. Si mise sotto la doccia, poi provarono parlare. Dopo il “beh, allora come va?”, erano già uno appiccicato all'altra. Era sempre stato così, anche quando litigavano. Era sempre così.

Il resto poteva aspettare. E infatti aspettò.

La luce del mattino era color rame. C'era un'atmosfera irreale, fuori.
Dentro quella camera, dentro quel rapporto indefinibile, c'era molta realtà invece.
Ormai era quasi Natale e presto dovevano ripartire.
Lui, che adorava il Natale, le aveva preparato tre regali, uno più bello dell'altro e tutti come sempre azzeccati: nessuno la conosceva meglio di Lui, manco sua madre!
Lei non regalava nulla a Natale e infatti nulla gli regalò. Anche Lei lo conosceva meglio di come conosceva se stessa. Lo avrebbe giurato.
Fu per questo che si sorprese tanto di quella scoperta.
Avvolti da un'irreale luce color rame, dentro quel letto della camera brutta con quei bruttissimi quadri che solo gli alberghi non si vergognano di esporre, parlavano vicini vicini.
Lei lo carezzava mentre Lui parlava.
Fu allora che Lei scoprì che la pelle di Lui subito sotto la curva dell'addome e subito prima dell'osso femorale era come la seta. Mai se ne era accorta prima.

Dovette fare uno sforzo per continuare ad ascoltarlo, perchè mentre Lui parlava, Lei si era distratta. Aveva chiuso gli occhi e continuando a carezzare quel preciso punto del corpo di Lui, le era sembrato di essere al mare e di giocare con quella sabbia sottile che solo raramente si trova. Sì, indugiava su quel piccolo lembo di pelle e le sembrava proprio di essere al mare, distesa ad occhi chiusi sulla spiaggia, con la mano che s'attarda dentro la sabbia calda, finissima e accogliente, per poi farla scivolare via. E con la sabbia, via anche i pensieri.
Una sabbia impalpabile.
Impalpabile.
Im-pal-pa-bi-le...ripeteva dentro di sè lentamente, mentre quella mano che toccava Lui la portava immediatamente al mare.
Ecco - com'era il loro rapporto –  im-pal-pa-bi-le, di grana extra fine, necessario, confortevole, caldo quanto basta per essere a casa.
Im-pal-pa-bi-le.
Sorrideva, perchè a Lei non era mai importato di definire con un aggettivo la loro vicenda strampalata. Eppure in quell'aggettivo c'era caduta per caso come per caso la sua mano aveva inciampato in quei 20 centimetri del corpo di Lui mai esplorati prima.
Una cosa strana davvero, pensava Lei, dopo tanti anni e tanti chilometri fatti insieme e nei modi più consueti e inconsueti.
“Ma mi stai ad ascoltare?” le chiese Lui.
“Si, certo” fece Lei e dovette compiere ancora una piccola fatica per tornare alla realtà.
“Sai che questo pezzettino di pelle non lo conoscevo ? – disse fuori tempo Lei – sai che l'averlo scoperto è un vero regalo per me?”
Lui sorrise ma non le dette molto peso.

A Lui capitava di cogliere questi momenti di Lei, senza poi capirli fino in fondo.
Lei pensò che quella sensazione era la più bella sorpresa di Natale, un regalo inatteso.
Si accorse solo allora che in quel preciso momento era Natale anche per Lei.
Poi arrivò l'ora di andare in quell'aria color rame.
Questa volta era stato speciale: Lui le aveva regalato il Natale.
Raggiunsero le loro auto.
Lui la baciò e partì verso i suoi disastri.
Lei lo baciò e partì verso i suoi disastri.

Sì, si sarebbero rivisti presto, chissà dove, ancora così.
Per tutta la vita.


lunedì 3 ottobre 2011

RIFLESSIONI 33 / cielo stellato e riflessioni scollegate

Il cielo pieno di stelle. 
La terrazza sul tetto del mondo è buia abbastanza da poterle vedere tutte. La luna ci ha concesso uno spicchio di volto ed è passata sulle nostre teste, così mentre con le nostre chiacchiere passava il tempo.
Ho mangiato tantissima pasta. Il mio amico ha cucinato con amore per me. Evidentemente non mi sopporta dimagrita, ed ha esagerato. Però era buonissima. Ho anche bevuto vino. Un evento. Poi mi ha servito il caffè. Poi anche una tisana.
Mi ha preparato il letto con due cuscini e due coperte. Come si addice a me, che quando voglio son peggio di una principessa quanto a vezzi e vizi. 
E lui che lo sa, mi tratta da vera principessa.

A casa sua, tra pareti di libri e dischi trovo recensioni scritte da "mani" amiche.
Ce n'è una del 1997 apparsa su "Il mucchio" dedicata a un libro. Mi viene da sorridere: com'eravamo acerbi allora.
Come passa veloce il tempo e come certe parole restano uguali.

Oggi, prima di intraprendere il viaggio fin qui, ho conosciuto di persona personalmente, l'eroe di uno dei miei temi del liceo. E il fatto fantastico è che esiste davvero, mi ha offerto un caffè e mi ha scritto SMS.

Solo adesso scopro sul mio braccio destro un'evidente macchia scura. Provo a tirarla via. Fa male. E' un bel livido.
Devo aver preso una bella botta per essermi conciata così e invece non ricordo.
Non ricordo proprio. E mi dico: passerà, tutto passa. 

Ci son cose che vale la pena di ricordare, altre da dimenticare, altre da ritrovare, altre da scoprire, altre da lasciar proprio perdere.
Perché il tempo ha un senso. E lo ha di più se è speso bene.
Ecco che ha un senso bellissimo anche questa notte di stelle su questa enorme città.
Una notte di riflessioni scollegate e pensieri e segni da capire e far propri.
Ma adesso, che tra poco sarà giorno.
E sarà un altro tempo.