lunedì 23 gennaio 2012

Quando l'amore è un gioco rotto (Lunedì - Virginiana Miller)

Lui si presentava come un tipo molto sicuro di sé. 
Aveva la faccia di dire quello che pensava e pazienza se faceva male (ma poi male a chi?). 
Comunque Lui se c'era da dire, poche storie: diceva. 
E pazienza se faceva male: era una ruota...prima poi faceva male a tutti. Lui stesso, pensa un po', era stato male. O almeno così diceva.
Lo diceva sempre con estrema e durissima sicurezza. Era bene esser precisi e ristabilire ruoli e paletti.
Sicuro che poi, quella roba lì importasse davvero, anche a chi lo stava a sentire.

E sempre con estrema sicurezza Lui pensava "non ci perderemo mai". Era proprio convinto di avere un potere assoluto su di Lei. Un potere costruito su un gioco fatto di "ora ci sono e ora non ci sono più" che lo aveva reso inafferrabile, irraggiungibile, mitologico. Che poi al momento opportuno sapeva esserci, eccome!
O almeno Lui di questo era sicurissimo.

Lei invece gli aveva detto che non lo percepiva proprio così e che non ci credeva del tutto a tutto quello che Lui le diceva...
"Beh, Lei ogni tanto fa la scorbutica, fa l'offesa ma gioca... ovviamente. So che basta una carezza per tenerla buona". Così si rasserenava. A dire il vero, ogni tanto nella sua testa "balenava" il dubbio, ma Lui non cedeva e sospirava compiaciuto. Poi guardava il cellulare dove stranamente non arrivavano "lampi" di Lei come accadeva un tempo.
"Ma sì, fa la sostenuta, è una tattica. Ha sempre usato le sue tattiche la signorina... Ma dove vuoi che vada. E' così innamorata..." e tra lampi e balene sorrideva soddisfatto guardando una foto di qualche anno prima dove Lei era bellissima.

E Lei era ancora bellissima. Era molto insicura e bellissima. Molto incostante e bellissima. Molto malinconica e bellissima. Era bellissima nonostante fosse ormai logorata da tutto quel tira e molla. Ed era bellissima anche se era stanca di essere bellissima e basta.
Lei adesso vedeva con chiarezza che tra loro era sempre stato così: intensità, passione e poi lacrime. Un via vai che Lei accettava perché era certa che prima o poi si dovesser risolvere in qualcosa di un po' più concreto che non un gioco al massacro dove Lei era perdente, sempre, perché sempre in buona fede.

E la buona fede di Lei si basava sul fatto che lo vedeva confuso, contraddittorio, spaventato. Spaventato dal tempo che passava talvolta invano. Occasioni perdute. Tante, troppe.
E ormai mal tollerava quella sua esasperata sicurezza per mascherare altrettanta solitudine. Una solitudine che Lui aveva fatto bandiera di libertà, ma che poi gli era pesante da sopportare. 
Pesante soprattutto adesso, nella stagione dove il solleone lascia il cielo alle prime luci di un settembre in cui necessariamente bisogna far scorta di provviste per i primi freddi. 
Ma Lui non ci pensava ai primi freddi, convinto com'era che la sua adolescenza non fosse ancora finita. 
Già. Lui ancora aspettava che finisse la primavera per sentir cantare le cicale, aspettava di diventare bello: un bel giovanotto non più goffo e finalmente senza brufoli, sicuro di sé, maschio, molto maschio perché capace di grande tenerezza.
Si guardava allo specchio passava la mano tra i capelli ma non ne vedeva il grigio. Era ancora quel ragazzone timido e impacciato, di certo non bello, che era diventato bravissimo a tenersi le ragazze perché capace di "conquistarle" sul piano psicologico. 
E le voleva tutte, voleva piacere, voleva sedurre. E seduceva anche là dove non era necessario, dove la preda non era di suo interesse. Chissenefrega se poi quella ci cadeva, ci sbatteva il muso, si innamorava.
Lui non ce la faceva a "trattenersi". La voracità del suo ego era spaventosa. Poi magari si pentiva, ma durava poco: era bravissimo Lui, con il suo flacone di lacrime di coccodrillo sempre in tasca. Così restava amico di tutte e quanti amiche aveva! Tantissimi amiche e sempre solo.
E Lei, la sua ultima conquista/vittima era senza dubbio la prova provata che funzionava così. Un giorno era la donna più speciale e unica dell'universo il giorno di poi un'amica qualunque. "Fidata - precisava Lui - molto sexy, ma qualunque".

Lei ormai aveva altri pensieri. Con Lui aveva avuto una storia divertente anche intensa e piena di compassione oltre che di passione, ma adesso non si divertiva più. 
E l'aveva capito quando Lui l'aveva chiamata per dirle: "io tra mezz'ora sono al solito posto. Fatti trovare lì, ti va?"
"Si, va bene" aveva risposto Lei. Ma poi si era chiesta: "perché deve andarmi bene? sono giorni che non ho sue notizie..."
Quelle giornate di silenzio prima l'avevano frastornata poi l'avevano illuminata. No, non era più un gioco. Ed era anche inutile aspettare che a Lui venisse voglia di smetter di giocare. Si erano attraversati in lungo e largo. Si sapevano bene e ciò nonostante ancora se la menavano. Non sapevano viversela fino in fondo. nessuna responsabilità, per carità! Così giocavano. E se doveva finire il gioco, come al solito, doveva deciderlo Lei.

Pensò che era un vero peccato risolverla così. Ma non aveva più voglia di tira e molla, di attese di inviti, di cambi di programma, di racconti di altre conquiste come se Lei non dovesse mai esser conquistata, mai esser invitata, ma essere attesa, mai esser corteggiata, manco prima di un po' di sesso.
Sì, Lei per Lui era bella. Era il massimo che sapesse dirle oltre alla lista dei difetti. Eccheduepalle!!!
Non aveva più voglia di essere solo bella. Non aveva più voglia di essere solo un gioco. Voleva essere importante davvero per qualcuno. Voleva un bene concreto da dare e da prendere.

Il volersi bene...loro di bene se ne volevano davvero. 
Si volevano molto moltissimo bene e nei rari momenti di verità lo avevano toccato con mano. Ma quel bene non riusciva a liberarsi dall'egoismo.

E adesso Lei non aveva più voglia di un bene che si pensa ma non si dimostra. Che si vive come una pena. Che diventa strumento di tortura.

E allora sentì freddo e sentì una fitta sorda allo stomaco.
Pensò anche che no, non si sarebbero perduti mai perché alla fine non si erano mai posseduti davvero: e questo sì che fu un pensiero triste, di quelli che fanno male. La fitta diventò insopportabile, le salirono le lacrime agli occhi e  allora cacciò via quel maledetto pensiero.

Lei lo possedeva, sapeva il codice genetico della sua anima e Lui la possedeva sapeva la password di ogni suo respiro. Si conoscevano, si riconoscevano, si sapevano a memoria. Si volevano bene.
Ma vivere tanta intimità negandone la bellezza in nome di una falsa "libertà" del vivere, era un delitto. Uccidere tanta appartenenza in nome dell'egoismo che salva solo il sé era inaccettabile. Essere incapaci di accettare l'amore con amore era un bestialità, negazione della vita che scorre.

E così, mentre finiva un altro week end, tra mezz'ora al solito posto non si sarebbero mai incontrati.
Lei non sarebbe andata. Già, per la prima volta non sarebbe andata. E non avrebbe manco avvisato.

Si celebrava così la festa dell'ennesima occasione perduta. E nessuno, per una volta, avrebbe potuto dire con certezza cosa, da lì in poi, sarebbe successo e come sarebbe andata a finire.

Ormai era già lunedì.
E quello sarebbe stato il primo lunedì del mondo.





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