giovedì 28 marzo 2013

Epifanie / 27

Esiste una parola molto, molto potente, capace di far paura eppure trattata con disinvoltura, quasi buttata via, sottovalutata:  NO

Proposito: ricordarsi di dare giusta dignità alla parola NO



mercoledì 27 marzo 2013

Poi viene il giorno / 18

Poi viene il giorno che finalmente capisci con chi hai avuto a che fare e con chi hai ancora a che fare.
Guardi andar via chi ti volta le spalle e ti manca di rispetto, mentre invece dovrebbe solo dirti grazie di portare buona parte dei suoi pesi.
Quel giorno il bilancio è uno solo: dopo che ti sei incazzata bene bene, non ti resta che accettare che sei una perfetta cogliona.

Poi leggi sfoghi pilotati di lupi travestiti da agnelli e ascolti i falsi i clap clap clap della corte dei miracoli che gli vive attorno e ti rincazzi.
Non ce n'è di buona fede. Hai voglia a cercare. 
NON-CE-N'E'
Così viene la sera di quel giorno e ti dispiace non esser più babbea, di non credere più alle favole e agli asini che volano, ti dispiace di non riuscire più a credere che hai capito male. 
No, non hai capito male. 
Sei nel bosco, ci sono i lupi e anche le vipere.
Il peggio è che tu non sei né il cacciatore, né cappuccetto rosso.

Magari io cambio. E prima o poi, fosse anche solo per una volta, magari cambio davvero. 
Magari per una volta decido che di farmi prendere per il culo ne ho abbastanza.

Voi stavolta avviatevi... E che sia un buon viaggio!


martedì 26 marzo 2013

***da un articolo a una preghiera

Leggo un articolo. Si parla della mia musica. Una frase di quello scritto mi distrae. 
Mi suona in testa altro e così quel pezzo per me perde di senso e di interesse.

Lo mollo lì e mi ritrovo davanti una scena che ho visto tante volte: "Ciccino e Ciccina" o anche "Amorina e Amorino" e giù valanghe di cuori.

Così penso a come sia tenera, buffa e molto molto ridicola la perdita di ogni dignità che talvolta consegue l'innamoramento. Soprattutto se è un innamoramento "epidermico" di quelli che durano una breve stagione.

Come per magia all'improvviso ciò che piace a lui, piace per forza anche a lei e viceversa. 
Le parole diventano le stesse: lei parla imitando lui e lui dice imitando lei. Si ride e si mangia dalla stessa bocca e anche le canzoni preferite diventano le stesse. 

Ecco cosa mi ha distratto dalla mia lettura: l'immagine triste di un adulto che si muove come un adolescente solo perché rimbecillito per una cotta.

Ora se ragazzini innamorati suscitano tenerezza, dolcezza, speranza, a due adulti si richiederebbe almeno un po' di riservatezza nelle forme esteriori e pubbliche onde evitare di rasentare il rincoglionimento. 

Di qualunque cosa si tratti, l'amore è amore ed è uno degli spettacoli più belli che ci concede la natura. L'amore, appunto... E che sia buffo, comico o tragico poco importa.
Questo è fuori discussione.

Ma il che il dio di ogni amore ci liberi dal rincoglionimento patetico!

E dal momento che non ho sonno e il mio amore invece dorme, leverò al cielo una laicissima e personalissima preghiera.

Oh dio di ogni amore alla mia veneranda età preservami, ti prego, dalla voglia di vivere una sorta di adolescenza tardiva attraverso l'innamoramento. Se proprio amore deve essere, che amore sia, e che abbia tutti i brividi e i batticuori di un amore giovane e sfrontato e forte. 
Ma ti prego, fai che sia da me protetto, così che abbia casa e che rimanga intimo, segreto, mai becero e soprattutto mai ridicolo. 
Che questi anni vissuti con tutti i loro amori, non siano stati vissuti invano. Grazie.



venerdì 22 marzo 2013

***carezze di primavera

Stasera il pretesto mi riguardava in maniera personale: si doveva fare un brindisi al quale non potevo mancare. Altrimenti alle nove, sarei andata dritta a casa. 
Non ho affatto voglia di uscire in questo periodo: non sono dello spirito adatto. Ma c'erano tre compleanni da bagnare col vino e tra quelli c'era anche il mio. Non esserci non sarebbe stato giusto. 
Eppure in questi giorni di rabbia, malinconia e tristezza c'è stato un attimo in cui ho pensato che era meglio evitare di rovinare la serata ad altri.

E invece no. 
No perché Raffa ha lanciato l'idea e con Sabry hanno organizzato, no perché le altre si sono liberate e no perché Laura che non poteva venire mi ha scritto parole dolci e mi sono ritrovata a pensarla molto. E stasera che ho brindato anche per te e con te Laura e al tuo modo raro di esser preziosa. In qualche modo c'eri, almeno nei miei pensieri.

Non ce la faccio ad esser lì per le 20 e salto la prima tappa della serata: il saluto a Silvia (che è a lavoro in hotel). Oltre al dispiacere di non salutarla, mi perdo una specie di "esproprio proletario" di ogni sorta di gadget da albergo (dal set per radersi alla spugnetta per pulire le scarpe). Ora, Silvia è generosa. Pare non abbia consentito l'assalto alla sala colazione con le micro nutelle da portar via, ma quanto al resto -dalla penna allo shampoo- ha regalato di tutto. 

Poi il gruppo si è spostato per l'aperitivo. 
Arrivo tardi e vado direttamente al locale. Loro sono tutte lì.
Non manca nulla: il vino è aperto e i taglieri sono pronti tranne il mio; Lella mi dice che ha ordinato per me cibo vegetariano. Mi commuove quasi il fatto che si sono anche ricordate che sono "vegetabile" (neologismo coniato per me da un noto critico enogastronomico italiano).

Le guardo: sono tutte belle. Raffa con i suoi occhi grandi e trasparenti. Antonella con i suoi silenzi pieni. Giusy che invece è tutta energia. Paola con cui ne ho vissute così tante che basta uno sguardo e siamo già dentro. Lella con la sua "irrequieta" forza creativa. Giovi solare sempre, anche quando è difficile trovare parole. Sabry che stasera ha una luce speciale, forse sono i capelli così ben sistemati o i recenti tormenti, ma è particolarmente bella. E Leti che appena arrivo mi carezza e mi scalda le mani. Leti è così, una mamma.

Le guardo, mentre scherzano sul vino e sull'età e cercano di ricordare serate in discoteca che hanno avuto luogo forse ai tempi dei brontosauri. 
Le guardo. Sono proprio belle; mi dispiace non essermi manco pettinata.
Le guardo e penso che mi piacerebbe trovate un aggettivo per cogliere l'anima di ciascuna di loro, ma è difficile.

Raffa mi vede stanca e il discorso scivola dentro i dolori di questi giorni, ma stasera quella roba deve restare altrove.
Meglio godersi la dolcezza del vino e della compagnia  e a tal proposito, siccome le festeggiate (io in primis che fra l'altro ne vado pazza) non hanno pensato ad ordinare un dolce, si banchetta con le brioche che il locale non ha venduto durante la colazione del mattino.
Peccato non aver fatto incetta di nutella all'hotel di Silvia...  Ci sarebbe stata bene.

A proposito...
Giovanna mi mostra il suo "bottino di guerra". Sono fiera di lei: ha preso di tutto. Come Sabrina, che ha anche portato via foglietti per appunti. Giusy e Paola mi regalano un po' della loro refurtiva i coupon per avere sconti negli hotel della stessa catena... ma è Lella che mi lascia senza parole offrendomi l'imperdibile bustina con tutto il necessario per cucire, oggetto fondamentale per quando perdi bottoni (che comunque non cucirai mai, sia perché non sei portata per ricucire bottoni o altro, sia per il dispiacere di usare quel miracolo di ago e filo così ben sistemato dentro quella bustina che a consumarlo sarebbe un delitto).
Diciamo che pur avendo tutte trent'anni, ancora dobbiamo per fortuna superare la fase adolescenziale...e quando arriva il momento di salutare ti dispiace quasi che quelle due ore siano volate via.

E mentre torno a casa mi trovo a pensare che anche nei periodi più brutti e bui, la dolcezza di chi ti vuole bene sa farsi strada e riesce a insinuarsi oltre le porte che hai chiuso e le trincee che hai alzato per difenderti da un quotidiano che non ti piace.

Se non si possono dimenticare i dolori, neppure si possono dimenticare le carezze che li rendono più sopportabili.
Stasera ho ricevuto una di queste carezze. La prima carezza di primavera. Sono fortunata. 
Grazie citte. Questa canzone parla di me, ed è per voi.










mercoledì 20 marzo 2013

RIFLESSIONI 50 / degli incontri

Come su un treno, chi sale chi scende...

Da bambina pensavo che certi compagni di giochi fossero tutto il mio mondo. Di loro adesso ho a mente giusto il volto di quando erano bimbi come me e con me: non saprei riconoscerli dopo tanti anni e tanta distanza.
Degli anni dell'adolescenza ricordo la mia prima vera compagna di avventure, "la mia migliore amica". Con lei dividevo ogni mio attimo. Poi strade diverse, esperienze diverse. Resta solo il supermercato a riunirci quando capita e una felpa che lei mi regalò. Invece ho ritrovato il fidanzato che dopo mille traversie mi ha di nuovo abbracciata, e che bella la sua presenza nella mia vita.


Come su un treno, chi sale chi scende...

C'era un ragazzo che mi stava antipatico; ed era reciproco. Ci odiavamo. Adesso siamo molto uniti e ci vogliamo un gran bene. 
C'erano poi i miei compagni di classe: gli anni del liceo ci avevano fatto gruppo, casa. Con alcuni di loro poi siamo cresciuti e invecchiati insieme. Abbiamo diviso matrimoni, battesimi e funerali. Dolori e gioie. Poi il tempo che manca, gli incastri che diventano difficili e quel rassegnato progressivo perdersi di vista che fa male. Perché loro sono tanta parte di quello che io sono oggi.
Avevo un'amica che mi è stata accanto da quando a perso un amore a quando non ne ha trovato uno 
nuovo: ma le voglio bene. Lei è così. E come lei tante altre che comunque son parte dei miei pensieri.
Fino a qualche mese fa una persona che considero speciale che mi raccontava ogni dettaglio della sua vita. Adesso non so più niente. E forse c'è da sapere solo che non c'è niente di così speciale, se non i miei pensieri.
Ci sono stati amici che vedevo o sentivo ogni giorno. Adesso giusto un sms a natale.
C'era una ragazza che mi confidava ogni suo desiderio, sogno, progetto. Si fidava di me, mi voleva bene. Io l'avevo accolta nella mia più intima casa. Mi ha tradita nell'affetto profondo che ho sempre nutrito per lei. 
C'è poi qualcuno che mi ha amata fino ad odiarmi e cancellarmi dall'elenco dei vivi e di facebook (che ormai son quasi la stessa cosa).


Come su un treno, chi sale chi scende...

Ho avuto maestri che mi hanno fatto crescere e che mi hanno aiutata e che porterò sempre nel mio cuore, altri che mi hanno insegnato cosa non voglio essere.
Ho e ho avuto amici speciali con cui ho diviso il lavoro e che sono diventati per me fratelli: parte di una famiglia cresciuta nella voglia di costruire tra mille difficoltà e tante soddisfazioni. Una famiglia adesso inspiegabilmente mutilata, perché la vita talvolta sa essere spietata.
Ho da sempre accanto amiche e amici dolci con cui condivido passioni e a cui davvero dò poco di tutto (tempo, incontri, parole) che al momento giusto sanno però come parlarmi, cercarmi, regalarmi felicità. Da loro imparo cosa può voler dire accoglienza.
Ho incontrato angeli sulla mia strada, e di alcuni di loro non saprò mai il nome, che in certe sere con un po' di amore, di pazienza, di voglia di ridere, mi hanno salvato la vita.
Tra questi un giorno ho visto un paio di giovani occhi; mi sono piaciuti. Mi sembrava di vedere la me di 20 anni fa e mi sono fidata e adesso quegli occhi attenti e premurosi fanno parte del mio quotidiano, dei miei progetti per il futuro e mi guardano con rispettoso affetto sincero. A loro devo moltissimo. Mi insegnano coraggio, passione e voglia di lottare.










E poi ci sono sempre state quelle rare anime gemelle che sai di poter chiamare ad ogni ora del giorno e della notte perché ci sono e basta. Loro sono libertà.




















Come su un treno, chi sale chi scende...












E così c'è chi ti chiede il permesso di occupare il posto accanto al tuo, chi se lo prende e basta. Chi è gentile e chi sgarbato. Chi sarà un buon compagno di viaggio, chi invece guasterà il tuo andare.




Ogni incontro è un mistero, ogni persona è un mistero. 




Noi siamo misteriosi per noi stessi e ci riveliamo grazie agli incontri che facciamo e che andrebbero vissuti senza paura, con la curiosità di scoprire di quanto amore e di quanto dolore arricchiranno la tua vita. 




Perché è anche grazie a questo strampalato equilibrio di pieni e vuoti che si va verso a quello che saremo. 




Senza gli altri non siamo niente.




E poco importa se chi è stato o ancora è parte della tua vita si ricorda o meno il tuo nome. Se fino a ieri ti amava e oggi ti disdegna. Se prima ti abbracciava e adesso a malapena ti stringe la mano.












Benedetti tutti gli incontri che ci forgiano, ci arricchiscono, ci mettono in discussione e soprattutto ci costringono ad avere dubbi.




Con i dubbi si cresce. Con i dubbi si cammina. 












Grazie cari incontri, che mi avete portato fin qui. 




Solo stanotte mi accorgo che vi ho ancora tutti - e per fortuna - con me.


lunedì 18 marzo 2013

Poi viene la notte / 10

Poi viene la notte. La notte che non ti riesce più di dormire. La notte che provi a rilassarti ma non ci riesci. I pensieri si accavallano ai ricordi e inseguono i progetti.
Com'è difficile talvolta restare qui e ora. Soprattutto quando il qui e ora è freddo, vuoto e fa male.
Perché viene la notte in cui la vita ti chiama e tu non hai voglia di rispondere. Preferisci restare sotto il plaid rosso ad aspettare.
E aspetti. Aspetti che passi e che intanto finisca almeno il fastidio.
Il fastidio di certe facce e parole che non riesci a dimenticare.
Il fastidio della lingua che indugia su quel dente che ha perduto un pezzettino di otturazione.
E intanto aspetti che smetta di piovere. 
Non ami il caldo ma almeno un po' di sole si, quello adesso ci vuole. Ad asciugarti le ossa e dare colore alle idee.
Nuove idee ci vogliono. 

E allora ti aggrappi alle parole che ti ha scritto una signora che potrebbe esserti madre, con la quale senti di avere un feeling naturale perché in comune avete il compleanno. 
Parole che fanno bene: "credi in te e credi nel futuro, i momenti sono proprio brutti, ma proprio perché lo sono avvisano già un cambiamento e un rinnovamento che ci toccherà tutti. Ancora un po' di tenacia e il domani è già lì". 

Il domani è davvero qui. 
Grazie, cara e dolce amica. 


martedì 12 marzo 2013

***David, "bibbo bibbone"


Riuscire a spettinanti, magari in Piazza del Campo, era come toccare la sacra sindone.
Aspettare i compleanni, le festività o una qualsiasi altra occasione (tutte circostanze alle quali peraltro noi non davamo alcun valore) per venire a darti un bacino, mi dava una soddisfazione infinita.

Erano quelle le mie personalissime "vendette" nei confronti di una tua riservatezza che ti sapeva rendere anche antipatico.
Tu proprio ci soffrivi: in generale detestavi la "confidenza" e quella "fisica" era per te proprio una tortura.
Ma da gentiluomo, con me "incassavi", ti inibivi, non dicevi. E in quel breve momento di tuo imbarazzo, ti prendevo in giro per 30/35 secondi (non di più) e alla fine un sorriso ci scappava sempre, magari dopo una delle tue battute laconiche che non davano possibilità di replica.

Come all'ultimo natale, quando ti dissi "su, fai il tuo fioretto annuale; vediamoci per un caffè e il bacino di auguri". L'appuntamento saltò e lo "recuperammo" dopo le feste quando ormai gli auguri di rito non si fanno più. Ti aspettavo per strada, fuori dal tuo ufficio e appena arrivasti, proprio lì per il Corso, ti appiccicai un paio di baci sulle guance molto soddisfatta della tua smorfia di disappunto: "Pensavi di averla scampata, ma questo era il caffè che dovevamo prendere prima di Natale, baci e auguri te li becchi anche adesso".
Pronto il tuo contropiede: "Tieni, forse te lo avevo già regalato, ma leggilo o comunque rileggilo. Magari anche solo il titolo. Mi pare sempre più necessario".
Nel pacchetto tirato fuori dalla tasca un piccolo libretto che si, mi avevi già regalato. Il titolo eloquente: Cavalcare la propria tigre.
"Dici che devo imparare a contenermi?"
"Prendiamo il caffè vai testina.."

Ecco, a quel punto erano ammesse anche domande private, intime.

Avevo impiegato un bel po' a trovare un modo per arrivare a un dialogo personale e non superficiale con te, quell'amico che spesso difendevo da chi lo considerava inavvicinabile, distante, algido, quasi anaffettivo: "Non lo conosci affatto, è una persona straordinaria".
Ed eri straordinario davvero. Poco ordinario in tutto, molto speciale in tutto.
Meraviglioso quando si parlava di noi e di chi ci stava a cuore, perché eri sempre molto puntuale nei consigli, nell'ascolto, nell'analisi. Io mi raccontavo a ruota libera perché sono fatta così, per te invece preparavo un'interrogazione come a scuola, perché di te parlavi a fatica. Ma io facevo domande dirette e tu mi dicevi dimostrando una fiducia che mi commuoveva.

Chiedevi a me come stavano i più cari amici comuni perché magari a loro -per pudore- non lo avresti mai chiesto.
"Che fa quell'altro David?". Questa una domanda che non mancava mai. Magari lo avevi incontrato il giorno prima, ma volevi il mio punto di vista.
E poi, se di lei nei miei discorsi non avevo detto niente, te ne uscivi con un: "Che fa la lingua?"
La "lingua" era quella mia bambina (ormai ragazza) a cui per fare uno scherzo una volta avevi strizzato in faccia all'improvviso una di quelle faccine di gomma che tirano fuori la lingua.
La volevi sorprendere ma lei con una freddezza che sembrava la tua, dall'altro dei suoi tre o quattro anni, non aveva fatto una piega commentando: "Ma questa è una lingua. Anche se tu strilli, mica fa paura".
E a te, che non avevi propriamente la vocazione a trattare coi bambini, lei stava simpatica.

Sin da quando vi incontrasti la prima volta.

Aveva forse due anni quando la trovasti accanto a me nel nostro ufficio in via Diacceto, scarabocchiava su un foglio e smise vedendoti entrare. Tu la ignorasti, come non esistesse. Lei, che era abituata ad incontrare solo adulti che le dicevano quanto fosse bella, ci rimase male. Ti piantò gli occhi addosso come a dire: "oh, ma mi vedi?".
E tu a quella richiesta di attenzione dopo un bel po' rispondesti: "Madonna quanto sei brutta! Che ci fai qui? Vai via".
I suoi occhi divennero enormi e pieni di lacrime; si girò verso di me ed esclamò: "Mamma, ma lui è bibbo bibbone". Scoppiasti a ridere. E da allora un soprannome lo avesti anche tu che eri solito darne a tutti. Per di più ti calzava da dio: bibbo bibbone, perché birbo è davvero il modo più affettuoso per indicare il tuo acume, che sapeva diventare sarcastico, corrosivo ma che nasceva sempre dall'affetto e dal rispetto.

Di qualità ne avevi tante: quelle professionali erano sotto gli occhi di tutti ed era impossibile non riconoscerle. Quelle umane forse riuscivi a nasconderle meglio per un tuo pudore innato, per una forma di timidezza che talvolta ti rendeva brusco.

Ma dietro questa maschera di riservatezza, tu c'eri sempre e comunque in tutta la tua bellezza.
Una bellezza fatta di curiosità per la vita, di attenzione, coerenza, lealtà, ironia, correttezza, disponibilità, tenerezza.
Tenerezza perché ho sempre trovato estremamente tenero il tuo modo di far crescere e di proteggere chi amavi e le persone a cui volevi bene.

Per me eri un cristallo: trasparente, duro ma anche fragile. E per questo ho sempre pensato che per difenderti, tu ti fossi imposto una disciplina rigorosa che pretendeva il massimo da te e da chi avesse a che fare con te.

Ma ti sapevo solare e avevo più volte conosciuto questo tuo lato giocoso.
E poi eri raffinatamente colto.



Più penso e più mi vengono alla mente momenti, episodi, parole e ancora i tuoi disegni, i tuoi dipinti.
Ti commuoveva la bellezza e si che ne sapevi. Un giorno parlando in auto durante una trasferta di lavoro, passammo tre ore a dire di arte: da Modigliani a Caproni, da Cesare Brandi a Montale e giù fino a Andy Warhol, Bob Dylan i manga giapponesi e i Radiohead. Discutevamo della genesi del processo artistico. E la cosa straordinaria era il vederti ragionare. Il tuo sapere era informatissimo e sottile ma mai saccente perché lasciava spazio al dubbio, alla domanda, alla ricerca.
Uscii dalla macchina che mi pareva di aver fatto un seminario all'università.

Sai David, in realtà Cavalcare la propria tigre l'avevo già letto la prima volta che me lo avevi regalato.
Parla di come riuscire a fare diventare possibili cose apparentemente impossibili usando immaginazione creatività, cercando nuovi punti di vista.
Una delle tue migliori risorse e qualità.

Quella che non hai voluto usare proprio quando forse ne avevi più bisogno.

Ho trascorso più di qualche minuto in quel vicolo maledetto. Ho risposto a tante telefonate dicendo che sì, eri proprio tu e poi a raccontare come eri: un professionista ineccepibile, un uomo perfetto nella tua umanità, un compagno di viaggio che la sola idea di non avere più accanto mi fa sentire perduta.

Ho passato il pomeriggio a guardare quella bandiera della Lupa che abbracciava una cassa di legno circondata da fiori. Ho guardato centinaia di occhi che increduli e addolorati venivano a salutarti. Ho carezzato i capelli di Filippo e ci siamo scambiati rabbia e dolore poi dolore e rabbia. Dentro, dappertutto un silenzioso senso di vuoto. Ho scritto un sms a un amico comune: "guardo tutto questo eppure non ci credo che sia vero". Sono stata tra la folla che ti salutava e sono rimasta lì in piedi con l'altro "socio" a guardare la terra che adesso ti accoglie. Ho abbracciato tua mamma. Poi sono stata a casa tua ed è stato anche più difficile.

Quando poi son rimasta sola, da sola ho fatto chilometri a piedi per sentire che ancora avevo le gambe e che mi muovevo e che respiravo e che facevo fatica. Volevo sentire qualcosa che non fosse solo dolore.
"Camminare fa bene - commenteresti tu - ora che hai fatto ginnastica, mettiti a lavorare vai..."

Macché; adesso a dirmi che tutto prosegue c'è giusto il mal di testa e l'incapacità di dormire.

"Se è una sua scelta bisogna rispettarla" mi ripete quella bambina che ti chiamava bibbo bibbone "e anche se non è giusto, spesso per la cattiveria del mondo pagano quelli migliori".

Si. Ha ragione lei.

Eri uno dei miei "due" migliori.
E ora tocca a noi essere all'altezza di ciò che ci hai regalato e affidato.
Mi pare di sentirti che rimbrotti spazientito: "Oh Soniaa... Madonna quante parole, macché sei sempre qui? Ma falla meno lunga. Oggi non hai proprio voglia di lavorare eh.."

No David, oggi penso solo a te.

A te che sei stato famiglia per me, insieme a quell'altro che porta il tuo nome.

Non riesco a fare altro. Penso a te.
E lotto con le domande che mi tormentano perché se ne stiano buone che di risposte non ce ne sono.
E cerco di immaginare a come poter ripartire con tenacia, compostezza e giocosa serietà.

Come vorresti tu, caro bibbo bibbone.


lunedì 4 marzo 2013

RIFLESSIONI 49 / certe mamme

Stasera penso alle mamme. O meglio, penso a certe mamme che ho conosciuto.
Quelle che ti sorridono e ti fanno sentire a casa anche se non ti hanno mai visto se non attraverso le parole dei loro figli.

Mamme.
Sono perfette nella loro meravigliosa, umanissima fragilità.
Sono mamme speciali, mamme che sbagliano.
Mamme che sanno il rispetto, che sanno la condivisione ma che conoscono la giusta distanza.
Sanno stare al posto loro. 
Incoraggiare con uno sguardo o con un caffè ben fatto se vicine, o con un certo tono di voce al telefono se lontane.
E non smettono di cercare la strada migliore per arrivare a capire le ragioni profonde di un figlio. Anche quando sono ragioni per loro incomprensibili. 
Sono mamme che sanno parlare, e urlare ma sanno cosa è il silenzio. Sanno cos'è la paura e cosa è la speranza.
E siccome anche loro non dimenticano di esser figlie, sanno che esser figli non è sempre facile e comodo. E così chiedono scusa, chiedono comprensione. E chiedono un caffè ben fatto in quei giorni che anche per loro è buio pesto.

Poi ti invitano a non mollare, a starci dentro fino in fondo alla vita che hai e a farlo riuscendo ad esser sempre il meglio che puoi e sai essere.

Magari non sempre sono capite perché non tutti le sanno o le vogliono guardare.

Loro invece hanno occhi buoni e mai troppo stanchi per guardare quel figlio diventare bambino, adolescente e poi adulto, con la convinzione di aver dato gambe e forza ad un progetto che non è affatto loro: e questa rara capacità di lasciare andare in piena e totale libertà qualcuno che hai nutrito con la tua carne è forse l'unica misura di quello che -noi umani- proviamo a chiamare amore.

sabato 2 marzo 2013

Post-it / 22 ego e cervicale

Scrive Sara sul suo Facebook:
"a te che credi che il mondo ti giri intorno: curati magari è cervicale".

Non so a chi si rivolge Sara, ma so a chi mi rivolgo io... 
La frase è perfetta, la lista di persone a cui la dedico di cuore è lunga. Soprattutto oggi, giorno pieno di eventi e ricorrenze.
Grazie Sara, talvolta la sintesi in letteratura ha la stessa dirompente efficacia del segno grafico di  alcuni strepitosi pittori. 
E questo è il caso: con tre parole si raccontano molti casi altrimenti inenarrabili.