giovedì 31 marzo 2011

FuoriModaFuoriTempo / 4

Trattate con leggerezza le rughe del volto, ma prendete molto sul serio le rughe del cuore.
Così leggevo. E riflettevo. Affermazione fuori moda.

Pensavo ad Anna Magnani che prima di una delle sue ultime interviste, intimava a chi la imbellettava: "per carità, non nascondetemi le rughe, ho impiegato una vita a farmele venire!"
Fuori moda e fuori tempo anche lei... ma capperi che affermazione!

La vita. Le rughe del volto raccontano la vita. Le trovo belle, vere, coraggiose. Umane e calde in un mondo di plastica. Parlano del tempo che hai avuto, dicono di come lo hai usato, quel tempo.

Le rughe del cuore non riesco proprio ad immaginarle. Un cuore con le rughe non ce la fa, è vecchio, è provato e non ci sono medicine, non c'è chirurgia plastica.
E' "vizzo" come si direbbe dalle mie parti e un cuore "vizzo" non ha nulla da dare.
Può avere cicatrici, ma quello è un altro discorso.

Il cuore non invecchia, o meglio, non dovrebbe invecchiare.
Altrimenti non ci son versi, si muore. Anche se i battiti restano 60/65 al minuto.

Lo immagino un organo che si adatta all'età, al tempo che passa. E che se ne frega delle rughe della pelle. Perchè lui è capace di continuare a battere leggero.
E per consumare fino in fondo un qualunque sentimento ci vuole un cuore sempre giovane e pronto al cambiamento, all'imprevisto, alla scoperta. Pronto anche a soffrire, senza paura se deve immergersi in dolori e malinconie ma sempre fiducioso nel lasciare che il tempo lo riporti a galla.

Perchè è pure vero che quello che non cambia in 10 anni può cambiare in 10 minuti. Per questo ci vuole un cuore tonico, elastico, veloce, adattabile, fiducioso

Che arrivino pure le rughe del volto, ma vade retro alle rughe del cuore.
Al di là di chi va e di chi resta, al di là di chi ti vuole o non ti vuole, al di là di chi ti ama o non ti ama, al di là di ciò che fai bene e di ciò che fai male. 
Tu resti.
E se resti con la voglia di restare è perchè il tuo cuore è ancora privo di rughe.
Ecco perché meglio investire in balsami per il cuore che non in creme miracolose anti age per il viso.
E forse la medicina più miracolosa per evitare le rughe e l'invizzimento del cuore è proprio aver voglia e scommettere ogni giorno di essere, e di esserci.
Accada quello che deve accadere, prendiamoci cura del nostro cuore.
Prima sentire, poi provare.

mercoledì 30 marzo 2011

CONSIGLI NON RICHIESTI / 2 attenzioni

vi ricordo che: IO SONO UN ESSERE UMANO

L'ho scritto bello grosso, perchè fossi in voi ci fare attenzione.

ps.
sono dotata di sensibilità, sentimenti, malinconie e sono del tutto disarmata
ho le parole, i pensieri e al bisogno sono armi pesanti
poi ho i silenzi e lì son *azzi, perchè?
perchè quando ci sono sono ingombrante ma quando non ci sono più dopo un po' manco di brutto

RIFLESSIONI 13/ animali (in gabbia)

Siamo animali e neppure così evoluti come talvolta ci piace di credere.
Agiamo secondo convenzioni ma di fondo restiamo animali. 
Anzi, più neghiamo la nostra parte animale, più questa riemerge prepotente da ogni poro.

Reprimere istinti, voglie, desideri per buona educazione nuoce gravemente alla salute.
Ma viviamo in una "civiltà evoluta" e nessuno lo insegna, anzi. 
Guai a fare i "cattivi". E giù regole.

E allora vedi l'umanità che abita questa "civiltà del presunto benessere" non tanto concentrata nel capire chi è e dove va, ma soprattutto impegnata a compensare la repressione con vizi, abusi, trasgressioni. 
Ma anche peggio: impazzire fino a compiere atti delittuosi e orrendi. 

Intendiamoci: io non credo affatto che sia tutto lecito. 
Dei limiti ci sono e devono esserci. 
Il limite sacro è il rispetto dell'altro e dell'esistenza tutta.
Ma il limite della decenza, del decoro e quale sia il modo del rispetto lo stabiliscono la natura e la natura delle cose. 
Non le nostre buone, presuntuose, e sempre più in-civilissime maniere.
Non i nostri pensieri del "farò bene, farò male, farò niente così non prendo impegni".
Basterebbe osservare, poi ascoltare la nostra voglia di essere e semplicemente essere, perchè sono convinta che sotto le regole, le repressioni, la rabbia, le frustrazioni, il moralismo c'è in tutti un seme più o meno sviluppato di bellezza, un granello di eternità, un soffio di meraviglia, un istintivo amore verso la propria sopravvivenza e lo stare bene. 

Alla fine, direbbe Ilaria: "tutto in natura tende all'armonia", se non ci fossimo noi con le nostre teste malpensanti che, dal microcosmo della nostra anima al macrocosmo dell'anima mundi, stiamo lì a fare e disfare, architetti di mirabilanti inutili avventure messe in atto giusto per buttare un po' di tempo prezioso e creare caos.

Già, ma come si fa ad ascoltare la nostra voglia di essere che oggi è così domani magari cambia? Dove si impara visto che ovunque ci insegnano il contrario?
Io non ho sicurezze, non so scegliere manco come voglio mangiare la pizza, figuriamoci se sono rigorosa e coerente nell'agire. 
Mai stata.
Però son quasi persuasa che bisogna partire dall'istinto. Dalla pancia. 
A costo di fare o dire cose nel momento più sbagliato per noi e gli altri. Nella verità, abbandonando l'uso insopportabile di strategie e seguendo l'odore, il tatto, il gusto.
Almeno nel relazionarsi al prossimo, bello o brutto che sia.

E questo, scritto da una signora che ha ancora addosso un aderente tubino nero (semplice ma elegante) e un bel tacco 12, suona quantomeno stonato.
Ma è stato proprio stasera, quando mi "addobbavo" così, che mi sono sentita scomoda. Un animale in gabbia. 
Però la serata aveva un preciso dresscode e tale addobbo era richiesto (ma quante puttanate ci si inventano eh).

Verso la fine della serata infinita, davanti allo specchio grande dell'antibagno del super locale tres chic che mi ospita, mi vedo in una gabbia. 
Certo è una gabbia che può fare la sua figura (alla fine me la son scelta e l'ho pagata), ma sotto il vestito, i collant, e dentro le scarpe tutto urla vendetta. Stasera mi sento "scomoda".

Mentre son lì da uno dei piccoli bagnetti riservato alle signore, arrivano rumori inequivocabili. C'è per forza un maschio.
Mi dileguo come un gatto senza battere il tacco sul pavimento. Non vorrei mai disturbare e non son fatti miei se quei due (? o più, che ne so) si riscoprono animali proprio lì. 
Anzi, è un sollievo.
Mi chiedo: "ma questi vestiti li hanno inventati per le femmine che sotto sotto desiderano farseli strappare via dai maschi?".
Mah, sarebbe uno spreco di denaro e poi anche adamo ed eva erano nudi.
Però ci "travestiamo" e recitiamo la parte che più ci piace. O la parte che gli altri si aspettano che noi recitiamo.
Chissà quella donna ansimante come si era "addobbata". 

Ancora un po' di chiacchiere e guardando mi è inevitabile capire anche chi erano quei due. Clandestini ovvio. Lui è fuori a fumare (ha tutti i vizi, per la miseria) lei è tornata al tavolo e parla con l'amica di vacanze con il rossetto appena messo su.
Li guardo e penso che li preferivo animali. In quel bagno. Veri e ansimanti e chissenefrega del resto del mondo.
Ah, lei ha un abito elegante di stoffa leggera. Una fantasia a fiori delicati. E sembra felice. Mi sta simpatica. 

Abiti di scena, per la rapresentazione di stasera.
Ogni tanto immagino la Vergine Maria con addosso jeans attillati e stivali alla coscia. Oppure Budda con un bel chiodo in pelle nera e consunta.
Forse ci potremmo abituare a questo look, ci siamo abituati a considerare costituzionale il bunga-bunga.
E allora ogni abito di scena va bene.
Dall'intellettuale trasandato alla signora che veste solo alta moda. Dal ragazzino "alternativo" al giovinotto rampante in doppio petto.
Abiti di scena per fantasmi.
Anche io adesso sono un fantasma con un aderente tubino nero che ha una particolarità molto ricercata: una manica in tulle trasparente e l'altro braccio nudo.
La parte che sta meglio (nonostante il freddo) è senza dubbio il braccio nudo, pallido da far paura ma nudo.

E' stata una giornata lunga. 
Respiro e slaccio la scarpa.  
Per oggi la recita è finita.
Tra poco sarò sotto la doccia e poi dentro a un largo pigiama. 

Per essere davvero quella che adesso sento di essere, dovrei vestire solo di acqua. Pettinarmi di acqua. Truccarmi di acqua.
La mia parte animale dice che avrei bisogno di meno forza di gravità, e assoluta libertà di movimento.
Ma non mi sento un pesce, piuttosto mi sento un alga. 

Che questi miei pensieri siano già il frutto della pioggia giapponese radioattiva che mi è caduta in testa?

martedì 29 marzo 2011

***bastano circa 36 ore

Bastano circa 36 ore.
Basta un panorama che cambia.
Basta che ti ti affidi a quello che senti e sia quel che sia.

Ti trovi a parlare con gli occhi. Con le mani.
Non sai se vieni capito o no. Ma a questo non ci pensi.
Per il momento hai finito le parole. O meglio, le parole non riescono a descriverti o perchè son troppo faticose o perchè son troppo dolorose.
Alla domanda "come va?" sai rispondere solo "male". Quindi glissi, eviti, sorridi, taci.

Ti senti fredda, ti chiedi: "non ho più voglie, non so dove andare, sono solo stanca e basta. Che io sia già morta?"

Cerchi qualcosa che possa somigliarti, qualcuno che possa "sopportarti".
Cerchi minime, esistenziali, basilari, concrete certezze: pelle da carezzare, occhi da guardare, parole che possano distrarti. Per provare ad andare altrove (almeno per un po', almeno per circa 36 ore).

Mi chiedo poi cosa penseranno gli occhi che ti hanno osservata strana, cosa avrà provato quella pelle che hai sentito la necessità di carezzare. Magari imbarazzo. O forse piacere. O forse fastidio.
Il fatto è che tu cercavi solo la conferma che "l'essere umano vivo" è caldo. Non nel senso di "focosità", "ardore", "passione". Nel senso di temperatura. Circa 36 gradi.
E poi respira, più o meno regolarmente.
E ha un cuore che pulsa. Ne senti i battiti.
Ha occhi con cui ti guarda.
Ha parole con cui chiede o racconta.
Ha fame.
Ha sonno.
Ha voglia di divertirsi.

Ti senti già meglio: intanto hai avuto la conferma che la vita passa da automatismi indispensabili, piccoli gesti, grandi attenzioni di cui avevi perduto coscienza.
Ne eri "immemore" come direbbe una mia amica.
Non riuscivi più a vederli né in te, né negli altri.

Che fortuna trovare una sorta di beauty-farm dove perderti del tutto e poi ritrovarti almeno un po': dopo ci sono gli stessi guai di prima, ma con 36 ore di benessere addosso che hanno ricaricato le batterie.

E non solo!
Capita che sei fortunato. Si crea l'atmosfera adatta e in questo tuo momento di "smarrimento", vieni sorpreso da epifanie.
Ti trovi a parlare di qualcosa che non sia la tua vita, ma la vita di altri. Scopri che sei stato capace di guardarla con attenzione. Parli dei progressi che hai visto fare: bei passi avanti.
E sei felice, davvero profondamente felice, di provare amore per qualcuno che sta crescendo, che si sta evolvendo. E anche se ancora il viaggio è lungo, vedi che rispetto ad un mese fa, a un anno fa, a un giorno fa, di strada ne ha fatta tanta. E tu ne scorgi la bellezza, capisci che da lì nasce pace, serenità.

E' una "benedizione" viaggiare con qualcuno che ti cammina accanto con affetto sincero.
Perché anche quando tu sei nel buio più buio, accorgersi che l'altra persona sta andando ben spedita verso una qualche luce, ti rende orgoglioso di avere un compagno di viaggio così in gamba, ti conforta, ti fa felice.
Davanti a un piatto etnico che non avevi mai assaggiato prima, riscopri che anche tu hai fame, che anche tu hai parole, che anche tu respiri.
E vedendo che c'è chi si evolve, dimentichi il tuo essere fermo nel fango e pensi che l'evoluzione è un diritto/dovere anche per te.

Non so cos'è l'amore. L'ho detto e ripetuto.
Però credo che -qualunque cosa sia - serva anche a questo.
Penso che guardare un figlio che cresce e riconoscerlo oggi più adulto di ieri, sia cibo per la tua crescita. Penso che guardare un amico che guarisce, sia medicina anche per te.
Penso che ascoltare qualcuno che ha salutato un po' dei suoi fantasmi, serva a far sparire anche le tue paure. Penso che apprezzare l'umiltà di chi riconosce i propri limiti e le proprie eccellenze, sia nutrimento per la tua umiltà, i tuoi limiti e le tue eccellenze.
Penso che riflettere sulle parole che usano gli altri per descriverti (azzeccate o meno che siano), sia fondamentale per imparare ad usare le parole giuste per parlare agli altri.
Penso che onorare anche il più piccolo sforzo che fa chi ti vuole bene per venirti incontro e, di conseguenza, perdonare le sue mancanze, sia il modo più naturale, semplice, dovuto e bello di dire un grazie che non è di forma, ma di sostanza, perchè nasce dal cuore.
Già, quel tuo cuore inguaiato che è ancora lì nel buio ma che (fosse anche per 36 ore), hai sentito battere forte. E lo hai sentito parlare.
E ti ha detto che se la vita di chi ti vuole bene è serena, è più serena anche la tua.
E ti ha detto che se chi ti sta vicino è felice, sei più felice anche tu.
E ti ha detto che se quel cibo che non amavi ti è offerto col cuore, diventa buono.
E ti ha detto che persino le parole che più possono ferirti se sono dette con amore, sono parole preziose.

Poi viene il tempo di ripartire. Già. Verso dove? Guardi ovunque: non c'è niente che ti sorride.
Non ti sta sorridendo neppure un angolo di cielo perché piove che manco la macchina ce la fa a marciare sull'asfalto (e sì che è bella grande!).

Però decidi di non affogare subito sotto tutta quell'acqua. E respiri quel poco di ossigeno conquistato in 36 ore circa: hai ancora addosso l'odore di chi, con un abbraccio ti ha detto che prima o poi un ombrello lo si trova. Non c'è acqua che può tirar via quel profumo.

Così, se il cielo non ti sorride, lo guardi e gli sorridi tu...qualcuno deve pur cominciare!
E ne hai di che sorridere, pur in apnea e dentro il fango!
Pensaci: hai fatto una grande esperienza, in appena 36 ore.
Sì! Perché perdersi, uscire dai propri pensieri e calarsi nella vita di qualche altro che ti apre il cuore e ti dice di sé delle sue conquiste e delle sue paure, delle sue fatiche e delle sue certezze, delle sue delusioni e dei suoi sogni è incontrare di nuovo il calore della vita. La passione per la vita.
Quella vita che ti sembrava di non sentire, di non avere più addosso.

Piova pure quanto gli pare: per queste 36 ore è stato tutto sorprendente e meraviglioso.
Piova pure quel che deve piovere: anche se lo metterai in dubbio altre mille volte, la vita è bella comunque.
E tu hai una gran fortuna: hai qualcuno che è lì a ricordartelo!

Grazie

Getting crazy on the waltzers but it's the life that I choose




lunedì 28 marzo 2011

CONSIGLI NON RICHIESTI /1 buttatevi!

Avete mai provato a fare una cosa che vi si presenta all'improvviso e che non vi saresti aspettati che accadesse?

Consiglio di una fifona ed eterna indecisa: BUTTATEVI, e sia quel che sia!

Sì!
Se vi dovesse capitare, buttatevi. Di certo non si può sapere prima come andrà a finire, ma magari vi capita (come è successo a me) che sia una piacevole sorpresa. Sempre meglio dire ho sbagliato che pensare a come potrebbe essere stato.

Eh già, direbbe quello che canta, c'è sempre di che stupirsi!

sabato 26 marzo 2011

Quando l’amore nasce dall’orrore (Smisurata preghiera – Fabrizio De Andrè)

Lei aveva avuto pochissimo dalla vita ed aveva appena sette anni.
Giusto  una madre e neppure troppo presente. Tant’è che dopo quanto era accaduto pensò bene di lasciarla sola perché lei, la madre, aveva troppa vergogna.
Tutti lo sapevano, tutti la scansavano, tutti la guardavano con pena e disgusto. Era come se il dolore diventasse schifo negli occhi degli altri.
Dalla sua parte la nonna, che viveva per far sì che Lei potesse dimenticare.
Già, dimenticare.
Dimenticare quel pomeriggio che aveva avuto il permesso di andare al luna park con i due vicini di casa. Due signori rispettabili, umili ma rispettabili, padre e figlio.
I soldi erano pochi e trovare chi poteva offrire a quella bambina un po’ di svago era sembrata una bella occasione. Dopo la scuola infatti i suoi pomeriggi erano trascorsi con la nonna a fare pulizie per i piccoli condomini popolari della piccola periferia di quella piccola città.
E fu così che, felicissima, quel pomeriggio partì con i suoi macellai per andare al luna park, vero avvenimento cittadino di fine primavera.
Quella sera non tornò a casa.
Fu trovata molte ore dopo dalla polizia ancora svenuta in una piccola stanzetta dove i giardinieri riponevano gli attrezzi, ricavate a margine del parco pubblico che ospitava il luna park.
Lei non era solo svenuta: era letteralmente sventrata.
Violentata al punto di non avere più un ventre.
Per i due animali un processo e qualche articolo nella cronaca cittadina (allora se ne parlava poco).
Per Lei interventi di chirurgia e poi di chirurgia plastica.
Infine, con il ventre pieno di cicatrici la vita era salva, ma la prospettiva era quella di diventare una donna che non avrebbe mai potuto passare la vita.
Non avrebbe potuto essere madre.

La nonna aveva fatto di tutto per farle dimenticare quella terribile carneficina che non sapeva neppure raccontare, capire, credere vera. La madre era scappata per la vergogna e forse in quel momento il trauma più grave da superare per Lei fu questo.
Pensò che fosse per colpa sua che la mamma l’aveva abbandonata. Per quella cosa che era accaduta, perché era stata male e aveva passato tanto tempo in ospedale. Perché non veniva considerata come gli altri bambini.

Poi era cresciuta mettendo i sensi di colpa e la disperazione dell’abbandono in un angolo segreto del suo cuore e della sua testa.
Non ci pensava più ed era come se non ci fossero.
Era bellissima e se accorgeva ogni giorno tanti erano i suoi corteggiatori.
Ma era una ragazza da “evitare”, così dicevano le madri degli altri. Anzi: “una famiglia (quel poco che aveva di famiglia) da evitare”. Lo diceva "la maggioranza" dei benpensanti.

Crescendo conosceva persone nuove che non sapevano, non erano di quel quartiere. Ai ragazzi che incontrava però non raccontava il suo passato.
Teneva segreta la sua infanzia. E lo faceva senza sceglierlo, semplicemente perché gli veniva “naturale”.
Sembrava davvero aver dimenticato.

Poi, dopo un po’ di esperienze, incontrò un ragazzo che le fece battere il cuore. Lo sposò. E miracolosamente, senza manco cercarlo, senza fare fatica, ebbe da lui un figlio.
Lo crebbe in grembo con paura. Sapeva di rischiare molto. Ma decise di fidarsi della vita.
Nacque: bellissimo, perfetto.
Le sembrò chiaro allora che “quel niente che non ricordava”, non era mai accaduto.
La prova era quella meravigliosa creatura che aveva dato alla luce.

Dopo un po’ di felicità furono però i ricordi ad affiorare. Di fatto le sembrava di essere troppo felice e di non meritare quella felicità.
Non meritava neppure quella meraviglia di figlio che – era certa - avrebbe pagato per il passato che l’aveva tanto segnata.
Lei era la donna delle cicatrici e presto anche il cesareo divenne una sorta di “peccato” da scontare.

Fu infatti con l’accusa di essere diventata madre e aver iniziato a trascurare il marito che dovette sopportare nuova violenza.
Lui, che si era sentito come messo in secondo piano rispetto al figlio, iniziò a giocare col sesso. Anche con estranei, fino ad esagerare. E quando Lei si rese conto di cosa stava accadendo ebbe il coraggio di rifiutare anche lui.
Fu l'ennesima prova del fatto che Lei non meritava la felicità.
Una sorta di “condanna”. Di “destino” ineluttabile il suo.

E la sua testa iniziò a suggerirle altre “soluzioni”. Alcool, farmaci. Fino ad arrivare in fin di vita per due volte in ospedale.
Poi una lunga terapia per imparare ad amarsi un po’. Almeno un po’.

E questo le richiese tanta forza: dovette tornare a quel pomeriggio, rivivere quello che aveva già vissuto e cercato di sublimare, per scendere fino in fondo, dentro quell’orrore infinito e poi finalmente risalire. E provare a chiamare le cose col loro nome. Senza più giudicarsi o peggio sentirsi colpevole.

I medici l’avevano aiutata, ma fu Lei e solo Lei che decise di farcela.

Continuò ad essere madre, lottò per riuscire ad “esserci” sempre e comunque per suo figlio.
Trovò un lavoro nuovo e un po’ di pace.
Un giorno incontrò un uomo nuovo. A dire il vero ne aveva incontrati tanti, perché era sempre bellissima, ma non li voleva neppure più guardare. Non le interessavano. Non le piacevano.
Quel giorno però ebbe il coraggio di puntare il suo sguardo dritto negli occhi di quell’uomo.
E le parve così tanto dolce che a lui confidò subito tutto.
Lui l’accolse. L’abbracciò così com’era. Senza paura, senza schifo, senza giudizio, con amore.

Lei si trovò davanti a un fatto nuovo.
Bastò un abbraccio e capì che quella era casa sua.
Provò per la prima volta a mettersi in gioco davvero.
Disarmata come sempre era stata, ma stavolta sentiva di non essere davanti a un assassino.
Lasciò andare le paure del passato e provò a fidarsi ancora della vita.
Una vita che fino ad allora le aveva lasciato solo cicatrici. L’unica sopportabile col tempo era tornata ad essere quella del taglio cesareo.
Fu grazie a quel “di nuovo fidarsi” che iniziò a vivere la sua vera vita.

Era sopravvissuta a tutto.
Adesso sapeva che ce la poteva fare.

E mai fu bella come in quel momento, il momento in cui ancora e di nuovo e in piena libertà disse il suo SI alla vita.
La sua vita, nonostante tutto e tutti, finalmente.

che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere






venerdì 25 marzo 2011

Quando l'amore è libertà da conquistare (Io e il mio amore - Paolo Benvegnù)

Fosse nato in altri tempi, Lui avrebbe potuto definirsi un "conquistatore".
E di mondo ne aveva conquistato.

Quando era molto giovane aveva lasciato la sua casa con le relative comodità. Era partito all'avventura con una laurea importante in mano, ma non l'aveva mai sfruttata in maniera tradizionale: il lavoro se lo era letteralmente inventato. Di città in città. Di esperienza in esperienza.
Questo aveva comportato anni di sacrifici, di cambiamenti, di precarietà. E di fatto la precarietà era diventata uno stile di vita. 
Anzi, un amato stile di vita. 
Una sorta di "libertà": sì, perché nella precarietà, tutto era sempre possibile.

Col tempo però ne aveva fatta di strada ed era molto stimato. 
Era diverso da quelli che gli stavano accanto: Lui era vero. E per questo era richiesto. Era affidabile. Era onesto.

La passione lo aveva guidato sempre. Era la sua bussola.

E adesso alla soglia della mezza età, ancora amava muoversi sulle ali della passione e amava sentirsi precario. 
La precarietà era la sua migliore amica, era il modo più facile per non dover mai pensare di aver raggiunto la mezza età.
Perché là dove tutto è ancora indefinito, tutto è ancora "giovane". 
Così, sebbene fosse la primavera della sua mezza età, a Lui sembrava primavera e basta.

Aveva tre case, ma sognava di averne una in ogni città dove si trovava a soggiornare. 
Aveva avuto donne importanti a cui era stato legato con fedeltà, ma non aveva mai smesso di desiderare le altre. E infatti, prima o poi, le sue storie finivano mentre altre ne iniziavano.
Non era bello, ma aveva un fascino pericoloso.
Anche in amore era un "conquistatore": dava l'impressione di essere affidabile, solido, concreto ed era questo che attraeva le ragazze già dai tempi del liceo. In realtà sapeva come scappare al momento opportuno. Ma non per cattiveria, per "salvarsi".

E adesso le ragazze che attraeva erano su per giù coetanee deluse dalla vita, che cercavano una sistemazione. E le relazioni si erano complicate al punto da non averne più così tanta voglia...
Lui, pieno di progetti, di sogni e di avventura, si meravigliava di non trovare donne con cui instaurare storie "facili", senza complicazioni e conseguenze (anche se poi a pensarci bene, in tutti quegli anni non le aveva mica trovate così tante...valle a capire le femmine!)

Innamorato dei suoi ormoni primaverili, ogni volta si innamorava di qualcosa. 
Non necessariamente di quella Lei "tutta intera" che passava di lì: di una le piacevano gli occhi, di un'altra la spiritualità, di un'altra le gambe, di un'altra la leggerezza e così via.

Ma queste erano, "di passaggio" e Lui lo diceva. 
Perché era sincero e perché da bravo romanticone, sognava ogni volta l'amore perfetto. 
Anche all'epoca delle esplorazioni più spregiudicate, non si avvicinava alle donne con fare da Don Giovanni.
Non era mai stato un Don Giovanni: il suo stile da "conquistatore" faceva piuttosto leva sulla timidezza, sulla sensibilità, sulla dolcezza. 

Timido e serio. Educato e dolce. Passionale e emozionante.
Di base sanamente egoista.
Non disdegnava e non aveva mai disdegnato di piacere, di misurare quanto poteva piacere e infine cogliere il piacere.

Dopo relazioni effimere, relazioni tormentate, relazioni un po' felici e presto naufragate nella noia, relazioni immaginate, relazioni idealizzate e mai vissute, si ritrovava serenamente solo.
Lì, all'inizio della primavera della vecchiaia, da solo. 
Ancora convinto di potersi costruire l'amore perfetto.
Quello che per definizione non esiste.
Ma siccome si era costruito tutto, era tenacemente convinto di potersi costruire anche quello. 

Aveva costruito case, lavoro, soldi, affetti, amici, non aveva costruito la sua Lei.
Quella Lei perfetta che ancora aspettava ma che, sotto sotto, ogni tanto aveva il dubbio di volere davvero.
Non aveva avuto figli e a questo ci pensava. Alla fine aver figli sarebbe stato un modo di sopravvivere alla morte e dare soddisfazione ai suoi che avrebbero potuto finalmente pensarlo "sistemato".

E questo era il suo "nodo".
C'erano stati rapporti nella sua vita che potevano essere coronati da figli, ma di fatto non aveva voluto. C'erano state donne importanti dalle quali non si era mai del tutto staccato pur decidendo di non viverci insieme. C'erano state donne perfette che poi non aveva voluto.
Però non aveva perduto nessuna delle sue donne importanti. Alla fine era rimasto una sorta di "super amicone" di tutte così, per una sorta di "voler bene" universale e per sentirsi in pace con la sua coscienza, eternamente indecisa tra il vorrei, non vorrei, ma se vuoi. 

Insomma, anche negli affari di cuore, dopo tanta irrequietezza e trasgressione adesso era decisamente più calmo, comunque tormentato tra l'indomita naturale passione che lo faceva sentire un ventenne e la necessità borghese di essere "maturo", "posato".

Si chiedeva talvolta il perché. Ma non perdeva troppo tempo a pensare... era un ventenne...

Poi fu un fatto apparentemente banale a farlo riflettere.
Una sera, a cena, ascoltava i pianti di un caro amico tradito e abbandonato dalla moglie che oltretutto, tentava di metter di mezzo la loro figlia.
Lo guardava non darsi pace. Lo vedeva stare malissimo. Non sapeva cosa dirgli. 

Lui poi, che figli e moglie non ne aveva mai avuti! 
Già perchè? 
Forse non c'entrava niente la sua libertà, il suo volersi non assumere responsabilità così importanti.
Gli balenò un pensiero in testa.
Non sarà stato il fatto che lui, pur andandosene da casa, facendo esperienze di ogni genere, vivendo e amando la sua vita, non era mai riuscito ad esser figlio?
E se in questo suo eterno volere e non volere, esserci e scappare, la vera posta in gioco fosse stata la sua identità mai del tutto abbracciata, accolta, accettata e riconosciuta?
Aveva ancora bisogno di un padre e una madre, pur non avendone "nel quotidiano" mai avuto bisogno?

Al pensiero provò imbarazzo, vergogna: Lui così caparbio e indipendente e libero voleva ancora essere figlio. Aveva proprio bisogno di esser creato e riconoscente per questo con fatti concreti ai suoi genitori. E chissà se loro avrebbero potuto, capito, immaginato...

Si versò del vino. Bevve mentre l'amico raccontava della moglie, del suo amante e della figlia...ma per un po' non sentì nulla. 
Solo un forte senso di inadeguatezza e di colpa.

Anche Lui aveva una Lei che lo teneva in scacco: la sua colpa.
Lui non era stato figlio abbastanza.
Ma non era colpevole verso la sua famiglia dalla quale anzi, era adorato. 
Era colpevole verso sé stesso. E tutto quel suo prendere amore senza troppo dare, senza sporcarsi le mani, era la punizione che si infliggeva da anni.
Di fatto anche questa era precarietà e serviva, non a fuggire al tempo che passa, ma dalla responsabilità di darsi a qualcuno. 

Prendeva dalle sue donne, poi si dileguava, poi si colpevolizzava. E con la dolcezza del rimpianto, di un sottile rimorso le teneva comunque vicine. Le "proteggeva".
Così come aveva fatto rispetto ai suoi genitori. 
Non riconosceva fino in fondo i suoi rapporti con le donne, perchè non aveva riconosciuto del tutto il suo rapporto di figlio. E ora che Lui era nella primavera della sua mezza età e i suoi si avviavano verso l'inverno aveva paura. 
Perché la sua paura era di perdere per sempre se stesso con loro.

Ci sarebbe stato di che riflettere su quel cordone ombelicale ormai secco, consunto, inutile.

Meglio bere un altro bicchiere di vino e consolare l'amico pensando: "meno male non ho moglie nè figli...guarda come ci si riduce".
Scacciò la tristezza e il nero di quei pensieri. 

In cuor suo aveva capito che l'essersi conquistato ogni libertà, gli aveva permesso di costruirsi un alibi perfetto per la sua prigione.
Lui, infatti, che era libero di ogni libertà, non si concedeva la libertà di amare. 

E sarebbe stata forse quella la Lei perfetta da trovare e conquistare al più presto, magari prima che arrivasse l'inverno.



mercoledì 23 marzo 2011

***che poi...

Che poi, come dice il mio personale maestro di tango e quindi di vita, quando trovi l'amore mica devi fare niente.

oh, ma proprio niente!

Uno pensa, si affanna, cerca di capire...
"macchéeeeeee" - dice lui - "davanti a un amore non puoi fare niente, proprio niente, solo lasciarti andare, e sia quel che sia!"

e sia quel che sia

martedì 22 marzo 2011

FuoriModaFuoriTempo / 3

Ho fatto sogni agitati e meno male che ho dormito solo 3 ore e mezza.
Ho sognato ex fidanzati che si ripresentavano e ci "riprovavano". Fuori tempo.
Volevano tornare ai giorni che furono. Con tenerezza, malinconia, dolcezza.
Di fatto poi nel sogno, era la parte erotica che aveva contorni più nitidi.
Ora, dato che dormo poco e con fatica, immagino che il sogno nasca da una conversazione notturna dove si rifetteva modello "Berlinguer ti voglio bene" sul tema: "che pole un rapporto non vissuto del tutto, o finito presto, o chiuso in gioventù, riaprirsi al futuro?". "Che pole un rapporto mai vissuto sul serio, avere una possibilità di essere esplorato?"
Procediamo per gradi.
La casistica è infinita. Impossibile riassumere. Metto giù le cose più banali che mi son venute in mente.

A) Un rapporto è stato vissuto anni fa. Due si rincontrano e per una botta di nostalgia si chiedono: "ma io e te, perchè no?"
Così, di istinto, mi verrebbe da pensare che se quei due un dato giorno si sono lasciati, qualche motivo ci sarà pur stato. E quindi perchè no? Perche proprio NO!
Naturale che oggi siamo persone diverse (a meno che non sia avvenuta la sciagura di aver passato il tempo invano), naturale che la nostalgia (non a caso canaglia) ci vorrebbe far tornare giovani a quel tempo ormai finito.
Però i "difetti" (definizione incompleta et impropria che qui comprenderebbe una serie di altre parole) che ci resero insopportabili già allora l'un l'altro, ho come l'idea che siano ancora lì, da qualche parte.
Magari più o meno ammorbiditi dalla vita ma ancora vivi.
E' un guaio, perchè col tempo si tende a ricordare ciò che di bello è stato e a dimenticare ciò che di brutto c'era. E allora uno fantastica, rielabora e si butterebbe pure...
Poi però, appena ti butti, tutto quel brutto sublimato, la realtà te lo ri-sbatte davanti in un frammento, in una frase, in un imprecettibile movimento del corpo, in un atteggiamento.
E lì si affloscia tutto.
Questione di NOSTALGIA

B) Un rapporto è stato immaginato possibile ma mai vissuto.
Ecco: se una storia era in procinto di essere e non è mai sbocciata, anche peggio.
Sai quante masturbazioni nel pensare a come poteva essere (anche perchè non hai esperito la realtà quindi non sai come sarebbe stato davvero) e a come potrebbe magari ancora avere una chance?
Sai quante ore a cantare se io, se lei, se lui, se noi e altrettante inutili amenità?
Però rifletto: la storia non è sbocciata perchè magari anche un banale dettaglio ha ucciso la poesia prima ancora scriverla o leggerla.
E allora, come si può recuperare l'entusiasmo puro e libero di quell'inizio ovvero quando si "vola" leggeri e coglioni nel cielo rosa dell'innamoramento?
Per carità, magari c'è chi riesce, ma per quel che ho provato per me, si tratta di voglia - anche tenace -di rivalsa su un qualcosa che hai immaginato e non è stato come volevi. Alla fine non ti interessa davvero l'altro, anzi, diventa accessorio, strumentale: ti interessa la tua personale lotta con il tuo personalissimo "orgoglio".
Questione di EGO

C) Un rapporto lo vivi con leggerezza ovvero quando c'è senza obiettivi e prospettive.
Se finisce e tutti son felici, viva!
Ma ci sono altre variabili che appaiono quando l'assenza di tutta quella leggerezza diventa un dolorino...
Ogni tanto ti chiedi "e se non fosse più?" (però rimuovi il pensiero e vai tranquillo avanti).
Poi un bel giorno arriva un altro/a e pare una roba da vivere. Si chiude la storia leggera e si parte verso un altro lido.
Si aprono due scenari:
- o te ne vai tu, e lì può accadere che se non funziona con l'altra/o rimpiangi la leggerezza perduta fino a mangiarti i gomiti.
- o se ne va l'altro/a e ti accorgi che quella mancanza è pesante. Alla fine poteva essere anche una storia importante, nella quale investire.  Ti chiedi allora: ma perchè alla fine non ci ho voluto credere? Mi piaceva tutto, che c'era che non andava?
La questione è complessa davvero.
Può essere che in realtà la magagna l'avevi vista ma non te lo sei raccontato. E allora il discorso lo abbiamo già affrontato.
Può succedere che ti senti una nullità perché chi se ne va alla fine ti sbatte davanti la tua superficialità, ovvero il poco peso che avevi dato a quella storia che non avevi mai voluto considerare una storia ma "una parentesi" in attesa di meglio un meglio che non arriva.
Oppure (caso più doloroso come tutte le riflessioni mature), devi prendere atto che quella cosa ti piaceva tanto, non vedevi controindicazioni, ma non avevi il coraggio di lasciarti coinvolgere, di sporcarti le mani e allora preferivi fare come il cane che guarda l'aglio, né lo mangia, né lo fa mangiare.
Poi un bel giorno, il primo che passava, ha fatto fuori il cane (=te) e tu manco puoi leccarti le ferite tanto sei attonito.
Da voler tenere un piede dentro e uno fuori (così che la porta restasse sempre aperta per eventuali fughe), ti trovi sotto un ponte al freddo e al gelo solo solo... e tutto questo perché?
Tocca prendere atto che la paura ti ha precluso un po' di vita. E lì - non ci son versi - bisogna lavorare su se stessi a costo di partire da Edipo fino a scomodare le teorie quantistiche sull'evoluzione.
Questione di INTROSPEZIONE (a anche di palle direi, mica tutti hanno tutto sto' coraggio!)

Insomma, dopo tante parole non so mica se ci ho capito niente.
Spero solo di non continuare a sognare carnalmente i miei ex, o forse si...alla fine eravamo tutti più giovani e belli. E in fatto di eros che anche l'occhio desideri la sua parte è del tutto naturale.

***AAA regalo la mia testa buona per il brodo

Tanti pensieri. Tutti hanno tanti pensieri. Io ho tanti pensieri... Ma a cosa si pensa? E a che serve pensare, pensare, pensare? Non sarebbe meglio fare, dormire, mangiare, fare l'amore, lasciarsi un po' guidare dall'istinto?

AAA regalo la mia testa, son sicura che ci viene un buon brodo.
C'e' nessuno che in cambio ha voglia di portarmi altrove? Altrove da qui e da li', da ieri e da oggi, dalla mia pesantezza, dalla noia di pensare ai miei pensieri.

Avremmo tutti bisogno di un bel po' di ore d'aria, ma siamo troppo moralisti, ops "pardon" educati per pretenderle, godersele, e sia quel che sia.

E invece giu' a masturbarsi coi pensieri.
Cosi', a due centimetri di distanza da un altro corpo ci mettiamo la camicia di forza per non comprometterci.
Cosi' facciamo di tutto per evitare di incontrare un corpo che ci piace in uno spazio intimo, piccolo, privato nonostante ci sia il mare li' davanti e una luna di bellezza devastante nel cielo. E giu' castrazioni auto-indotte che poi ostentiamo come fiori di virtu'.

Non puoi, sei madre. Non puoi sei padre. Non puoi sei figlio. Non puoi sei giovane. Non puoi sei adultera. Non puoi sei vecchio. Non puoi sei stronzo.

Per non parlare dei "non devi" o peggio dei "devi".
E' molto anti animalista e scorretto spappolare il malefico grillo parlante?

Ah, se solo potessi farlo qui e ora avrei una lunga lista di peccati da elencare e consigliare da compiere con infinita leggerezza, da sola (ma quelli li faccio) e in compagnia!
Ma dovrei fare nomi, cognomi e non voglio querele che poi sarebbero altri pensieri.

E allora niente peccati. Stiamo a distanza regolamentare, per carita'! Eh si eh...perche' c'e' il poi...

E poi? E se ci si compromette? E se ci si appassiona? E se ci si coinvolge?

E chissenefrega ce lo mettiamo?

Magari potrebbe esser la volta buona che si vive, una botta di vita eh, mica altro...
Maledetta solitudine, maledetta paura, maledetto perbenismo.

Dice che passera'. Io scalpito, frattanto. E da quanto son agitata sono immobile.

lunedì 21 marzo 2011

RIFESSIONI/12 amici-amici

Ho tanti amici. Non posso davvero lamentarmi. Ed è una benedizione. Non riesco a contarli anche perché ci sono alcuni che magari pensavo lontani e all'improvviso mi sorprendono come non avrei mai immaginato.

Ci sono poi gli "amici amici".
Quelli che non c'è un'altra parola.
Quelli che non sono solo la tua famiglia, ma sono soprattutto parte di te. E fanno parte della tua vita in maniera totale, senza giudizio, senza limiti, senza poterne fare a meno perchè -per i casi più strani e le vie più misteriose- si son trovati mescolati alla tua carne e al tuo sangue. In viaggio con te.

Quest'ultimi - per quel che mi riguarda- posso contarli.
Basta una mano. E con certezza alzo tre dita. Forse meglio due e mezzo, perché uno di questi è amico-amico quando gli va. Quando c'è, c'è tutto che non vedi i confini, ma talvolta si perde un po'...

Accade poi che ci sono momenti in cui, anche se non sei in Giappone (e per carità non voglio essere blasfema) vivi scosse telluriche.
Niente di speciale perchè ciascuno ha ogni giorno le sue.
Però magari in quel momento lì tu sei un po' meno preparato, o più debole, o così stanco che avresti voglia di distrazione, di un panorama diverso, di un qualcosa che ti distolga.
Un piccolo aiuto, gratis magari.

Cerchi in primis l'amico-amico, in quanto lì c'è poco da spiegare, è già tutto chiaro.
Anche perché (sempre per quel che mi riguarda) ha ben poco senso sedersi davanti a un amico-amico e fare l'elenco della spesa delle cose che non vanno.
Meglio un abbraccio, una cena, parole a vanvera e vedere se alla fine ci si ride sopra, si dà un bello scossone al diaframma e si ricomincia a respirare un po'.

Già perché l'ansia, la paura (me lo spiegavano poco fa) "colpisce" per primo il respiro. Infatti "sotto stress" trattieni aria come se tu fossi in procinto di andare in apnea. Interrompi il naturale vai-e-vieni dell'ossigeno dentro i polmoni e poi giù fino alla pancia e alla fine ne risente anche il cervello.
Ecco allora che l'amico-amico non può far niente se non offrirti una sorta di respirazione bocca a bocca, una specie di primo soccorso.
Lui, ti guarda (non ti vede, ti guarda), capisce che la tua faccia non è giusta e prova a farti cambiare espressione.

Ora, dopo che hai lanciato sos vari, dopo che hai chiesto senza pudore, ci sta pure che l'amico-amico abbia un bel po' di cazzi suoi da risolvere. O sia in Tibet. O abbia la febbre a 39.
Capita anche che abbia da sollazzarsi altrove, beato lui, e tu devi accettare che non ne voglia sapere di te.
Ma che non abbia manco percepito le vibrazioni del tuo malessere ti turba un po'.
Ti irriti e ti tocca cominciare a pensare se sia o meno il caso di abbassare un altro di quei tre diti su cui eri pronta a metter la mano sul fuoco.

Poi ci ripensi. Cerchi di fare la tua parte di amico-amico e perdonare l'assenza.
Va bene, e anzi sei felice se i tuoi due e mezzo amici-amici hanno di meglio da fare.
Alla fine son periodacci per tutti e un po' di gioia fa bene, se c'è e quando c'è.

Per fortuna però ho tanti amici: una benedizione.
E così una bella nottata con la luna quasi piena ci scappa lo stesso.
Per ridere poi cerchi di farti amica anche la birra e alla fine -da quasi astemia - la risata te la fai.

E resto qui con le mie due dita e mezzo alzate...
Ho solo una paura: non vorrei che il rumore di queste bombe di primavera ci rendesse del tutto sordi e le radiazioni nucleari ci mutassero geneticamente al punto di non sentire niente "no, nessun dolore, no..." etc, etc, etc. 

Io senza quei miei due e mezzo amici-amici, non sarei la stessa donna. E difendendo me, la mia identità, la mia anima, non posso fare a meno che difendere la loro presenza dentro di me.
Perdonando, quando serve. Aspettando, quando serve. Rinunciando, quando serve.
Soffrendo, quando mi fanno più o meno inconsapevolmente soffrire magari usando parole inappropriate o atteggiamenti indelicati.
Forse - mi dico- è solo questione della mia sensibilità e allora resto lì. Convinta e tenace, testa contro muro.
Pronta sempre ad esserci. Perché ho mille difetti e altri mille, ma io sono così.
E poi si tratta di due dita e mezzo... senza sarebbe davvero un gran guaio!

sabato 19 marzo 2011

Post-it / 6 tecnopop

"inutile bussare qui non aprirà nessuno" (cit)

l'avesse cantata oggi, nell'epoca degli sms, delle e-mail, dei cellulari, avrebbe detto:
inutile aspettare non risponderà nessuno

buonanotte! per chi dorme, ovviamente :)

***amico fragile, nemico buono

Lorenzo. Un amico fragile, dice Lello. Ma anche di più.
Un amico insopportabile. Un amico controcorrente. Un amico provocatore. Un amico che infastidiva con la sua sola presenza. Un amico che non era mio amico su facebook, ci avrei litigato anche per via virtuale.
Se ne è andato. Senza fare rumore.
A casa sua. A pochi metri da casa mia. Perchè questa città è piccolissima.
L'ho saputo perchè ho visto la bandiera della sua contrada, la Tartuca, listata di nero (come si usa in questa città dove il Palio non è solo una corsa di cavalli fatta da 17 contrade, ma è vita vissuta, vera).
Sotto la bandiera della Tartuca stretta da un fiocco nero, in una bacheca dove si danno gli annunci, il suo nome.
L'ho letto, riletto e siccome ci conosciamo tutti ho pensato: "Ma no. E' un omonimo".
Di fatto manco sapevo che fosse della Tartuca, guarda caso la mia contrada avversaria... amici/nemici anche nell'appartenenza contadaiola.
Poi la civetta di un quotidiano locale con la sua foto mi ha tolto ogni dubbio.
Non ho letto i giornali. Non ho voluto.

Era un "collega", faceva il fotoreporter. Girava il mondo in autostop. E quando era in giro per il mondo, per lo meno non te lo trovavi davanti all'improvviso!
Un "collega" davvero particolare. Di quelli "noiosi", invadenti, insistenti oltre maniera.
Dio che litigate! Come sapeva mandarmi fuori di testa lui, ci son riusciti pochi al mondo.
Perchè io se quando mi arrabbio urlo, non mi sono arrabbiata davvero. Ma se quando mi arrabbio sto zitta, c'è di che preoccuparsi.
Ma non perchè fosse cattivo.
Anzi forse era fin troppo buono. Era solo irritante col suo sorriso e il suo modo pacato di chiedere le cose fino a sfinirti e ad arrivare ad alzare i toni.
Realizzare che non lo incontrerò più per queste quattro strade, e non dovrò più discuterlo per tenerlo distante da un palco o da un'artista, è stato faticoso.

Non ho un bel rapporto con gli addii in generale. Figurarsi questi addii.

Stasera scrivo su facebook una frase di Brecht e una serie di amici comuni mi scrivono che era una delle sue preferite.
L'avevo citata ieri in tutt'altro contesto commentando lo scritto di un amico, ed ero anni luce lontana dal pensare che fosse una frase adatta a Lorenzo.
Effettivamente però per Lorenzo era perfetta.

E allora, mi trovo costretta a pensare a quello che avevo evitato di pensare.
Ci arrabbiamo, ci agitiamo, ci arriviamo ad offendere, ci teniamo il muso e poi... basta un attimo e chissà quanto tempo dovrà passare per rincontrarci, se mai ci rincontreremo.

Stasera un altro amico ormai over 70 mi diceva: se ti va di fare una cosa, non è mai troppo tardi.
Forse la vita va vissuta all'urlo di "non è mai troppo tardi" perchè quando meno te lo aspetti, diventa troppo tardi.

Ecco che pensando a Lorenzo, al di là delle incomprensioni e del carattere, ho l'immagine di una persona che la sua breve vita l''ha morsa finchè ce n'era.
E questo di lui ricorderò. Sarà l'insegnamento del mio amico/nemico.
Fai buon viaggio, antipaticone!

perché già dalla prima trincea
ero più curioso di voi
ero molto più curioso di voi




venerdì 18 marzo 2011

***la dimenticanza

Non pensare. Non progettare. Non prendere iniziative.
Non fare niente.
Proprio niente.
Goditi il vuoto. Il nulla. La dimenticanza.
Son privilegi.

Quando l'amore diventa deserto infinito (Tu con la testa, io con il cuore - Piero Ciampi)

Ci sono giornate interminabili, pensava Lei. Ma davvero interminabili. E tossiva e aveva freddo e lavorava e stava male.
Lui era altrove e pensava ad altro. Ma proprio a tutt'altro. 
Però doveva sembrare che stessero bene così. 
E si dicevano che stavano bene così. Invece no, non stavano bene così.
Stavano male entrambi. Ma ciascuno per suo conto o per conto suo.
E si contavano danni e ferite ma ciascuno le sue.
E Lei non voleva Lui.
E Lui non voleva Lei.
E allora stavano lì. E non potevano farne a meno.
Ci sono giornate interminabili, pensava Lui. Ma davvero interminabili. E lavorava, aveva sonno, e non mangiava
Lei pensava ad altro. ma proprio a tutt'altro.
E sembrava però che stessero bene con tutte le loro canzoni, tutte le loro poesie, tutte quelle loro parole. 
Ma ciascuno stava per suo conto o per conto suo.
Ed era un deserto infinito e immisurabile che si infliggevano.
E il deserto era ovunque perchè per quanto Lei cercasse altrove, trovava deserto e carcasse e freddo e ancora solitudine. 
E il deserto era ovunque perchè Lui cercava altrove per trovare dove mettersi al sicuro.

E Lei era sola per scelta degli altri. Perchè col sentimento spaventava chiunque.
E Lui era solo per sua scelta. Perchè con la logica sgomentava chiunque.
Ma erano soli entrambi e alla fine avevo pure paura di stare in compagnia.

Ed era un vero spreco tutto quel deserto, fatto di deserto con il deserto anche ben oltre l'orizzonte.


 

giovedì 17 marzo 2011

Post-it / 5 quando e' meglio prima sentire, poi pensare

Capita. Capita talvolta di avere in testa così tanti pensieri contrastanti e nel cuore tante emozioni in subbuglio che non sai che dire, che fare, da dove iniziare.
Ti metti ferma. Meglio, o almeno sembra. O almeno speri. Continua a piovere. La vita porta. La vita spedisce. Qualcosa finisce, altre cose iniziano. Qualcosa si perde per sempre, altre cose all'improvviso ritornano. Così tra malinconie e speranze si procede. Di corsa oppure a piccoli passi. Ma si procede.
Restare in piedi mentre tutto traballa richiede un bello sforzo. Ci vuole fiato, ci vogliono soprattutto gambe. Alla fine ti accorgi che forse ciò che è meno necessario è il pensiero. Quando tutto traballa è tempo di muscoli forti, la testa verrà poi. Non appena il movimento si ferma.
Come in un tango la vita ti prende di forza senza manco invitarti e ti fa ballare. Tu devi solo fidarti e lasciarti andare. Magari con un minimo di orecchio alla musica, perché quella si che varia e cambia ritmo, mood: ecco questo solo serve. Orecchio e gambe buone che mica lo sai quanto dura.
La testa per adesso meglio staccarla proprio.
Per adesso. si'. Prima di pensare, meglio sentire.

mercoledì 16 marzo 2011

***pioggia di una notte di marzo

Piove che sembra di sentire un'orchestra. Piove che fa compagnia. Piove tanto. E se chiudi gli occhi e ascolti, sogni di essere sotto una di quelle piccole cascate termali, o sotto una doccia. Anzi no. Sono sotto uno di quegli idranti che vedi d'estate sparare acqua nei campi. Dio che meraviglia! Ho sempre desiderato mettermi li' sotto e attendere il getto violento dell'acqua addosso. A dire il vero l'acqua che scorre sulle tegole di cotto mi ricorda anche rumore di certe risacche.
Avrei voglia di mare. Avrei voglia di acqua che lavi, porti via.
Acqua che spedisca altrove questo inverno infinito, questa rabbia repressa, questo continuo tentare di sopravvivere. Senza amore.
Perché non sarebbe affatto necessario che fosse sempre una catastrofe di dimensioni epocali a ricordarci che anche per le piccole esistenze di chi resta vivo, il terremoto e' una facile eventualità quotidiana, e che essere vivi e' più che respirare.
Abbraccio così questa pioggia di marzo e che sia benedetta e piena di vita e pulizia e energia.

Pioggia di questa notte di marzo, lava via -ti prego- ciò che opprime e toglie il sonno. Regala la voglia di vita che porti con te. Tra poco e' primavera. Regala un po' di primavera lavando aria, respiro, pelle e pensieri. E porta, ti supplico, cose nuove, belle, fertili.

http://www.youtube.com/watch?v=Y40M9GODkpQ&feature=youtube_gdata_player

martedì 15 marzo 2011

Post-it / 4 amarezza: carte identità, lavatrici e centrifughe

La carta di indentità lavata in lavatrice. 
I dati cancellati, le lettere sbiadite, la foto che mostra il tuo fantasma.
Capitava quando ancora erano di carta rosa, ma adesso sono "elettroniche". 
Non mi è mai successo di infilare in lavatrice una carta di identità elettronica. Forse andrebbe a brandelli. 

Talvolta a brandelli la tua identità ci va lo stesso e non è colpa della lavatrice. 
O meglio, nella lavatrice ci sei dentro tu. E giri, giri, giri senza pausa. Non ti riconosce nessuno, neppure tua madre. Anzi, lei per prima. E tu annaspi senza sapere dove metter le pezze, poi annaspi senza sapere da dove si può riuscire ad uscire. Poi ti arrendi. Altro non sai fare.
E giù giri, giri e giri, e finché son giri...poi, quando pensi sia finita, arriva anche la centrifuga.
E lì non hai più niente da dire o da pensare. 

Ci son momenti nella vita in cui gli eventi che si susseguono funzionano proprio come per la lavatrice: all'inizio imbarchi acqua, poi arriva la schiuma, poi inizi a girare, poi sciacqui e risciacqui, poi centrifughe più o meno leggere. E alla fine via, quella a 1200 giri.

Un giorno è un piccolo contrattempo a metterti di malumore, il giorno dopo è un piccolo tradimento, il giorno dopo cerchi di andare incontro a chi non ti aspetta, il giorno dopo è solitudine, il giorno dopo è violenza, il giorno dopo è cattiveria gratuita e tu lì, incredula, ad aspettare che finisca.
Ci son persone che ti hanno davanti da sempre ma non ti vedono proprio, forse non l'hanno fatto mai e non si rendono conto di chi sei e di cosa può farti male da morire e di cosa potrebbe invece darti vita.
Forse manco gli importa di chi sei e di come stai...basta che tu sia presentabile e molto borghese quando ti guarda "la gente".

Misurano tutto con il loro metro e se non sei come loro, concludono che -semplicemente- sei diverso e in un certo qual modo devi essere "escluso", "ripudiato".
Ti passano sopra e si puliscono i piedi, tanto che tu esista o meno non importa. 
E se ti ribelli guai! Se dici, oh, esisto anch'io si scatena l'inferno.
Diventi un "fastidio" da nascondere, diventi una "vergogna" da sopportare per motivi anagrafici, diventi un "senso di colpa" da dimenticare in tutta fretta. Vorrebbero cancellarti, cambiarti, annientarti. I più buoni vorrebbero non averti sentito parlare, non aver sentito che ti irritavi, non aver mai saputo cose tue.
Eh... son responsabilità in effetti!
E se cerchi una spalla su cui piangere, se ti lamenti allor sì che sei scomoda, sei sbagliata, sei fuori luogo, sei fuori di testa. Una pittima.

"Vattene, devi andartene. Vattene da qui" ti urla la centrifuga. 
E giù centrifuga...senza rispetto.
Già, senza rispetto perchè tu non sei capace di pretenderlo il rispetto.

Eppure sarebbero proprio quelli lì che dovrebbero per primi esserti di supporto.
Le tue radici. La tua identità. 
Mamma mia, che casino. Devi aver sbagliato qualcosa. Che ci fai dentro la lavatrice???
Finisce la centrifuga e hai un mal di testa furibondo: ti chiedi chi sei e non ti riconosci perchè mancano punti di riferimento. Non hai più carta di identità. Non ti somigli più, tante son le lacrime versate, mescolate a sapone, acqua, ammorbidente e napisan. Che è meglio tu sia anche disinfettata che non si sa mai.

E tu soffri, perchè non c'è un'altra parola per dirlo: soffri.
E soffri perchè senti che non è giusto e soprattutto senti che non è giusto che tu non possa fare niente.
Inutile gridare, impossibile agitarsi che di forza non ne hai più. E a nessuno interessa. Ciascuno ha il suo inferno. E tu che vuoi lì a rompere? puoi?
Al massimo ti senti dire: "devi cambiare qualcosa, devi fare qualcosa, devi se non vuoi soffrire più, e devi farlo solo tu da sola"
Ok. Ma spiegatema devi che vuol dire se tu stai gridando che non puoi?

Ti consoli perchè tu sei diversa. A parti invertite ci saresti. E magari muta, solo con le mani, pronta a scaldare, ad abbracciare, a sorridere, a distrarre. Pazienza. Non siamo -per fortuna- tutti uguali.
Però, da stupida e inguaribile ottimista pensi che, dopo la centrifuga, i panni si stendono ad asciugare.
E quando sei lì che non sai se ne uscirai viva e incolume, non sai cosa fare ti aggrappi alla sola speranza che hai. Il tuo sogno. E sogni che la fine può essere un inizio.

E sogni che magari sarai stropicciata e lisa, ma prima o poi potrai stenderti al sole. Scaldarti e asciugarti pure tu. Come un calzino bucato, come un lenzuolo consumato, come un'asciughino rotto.
Come qualchecosa.
Ecchediamine!

E dopo tanta amarezza se c'è qualcuno in ascolto, per favore, mi trovi uno scoglio, un davanzale, un balcone, un filo teso fuori da una finestra dove batta il sole. E mi mandi le coordinate. Magari con un navigatore, anche se frastornata, ci arrivo.

sabato 12 marzo 2011

***debuttante o ributtante?

Che ballo il tango per passione si sa.
Per questa passione mi hanno chiesto di far parte di uno spettacolo serio di danza contemporanea che aveva necessità di inserire una coppia che ballasse il tango argentino in una produzione.
Il tango argentino si improvvisa e quindi improvviseremo.
Domani 12 marzo, anzi oggi visto che son quasi le 3 del mattino.
Sarà il mio debutto da ballerina di tango. In teatro, con ballerini professionisti meravigliosi, giovani, bellissimi che fanno cose con i loro corpi che io manco se fossi religiosa e restassi un anno a Lourdes nell'acqua come una bustina del te riuscirei mai...
Però il mio tanguero è bravissimo e io mi affiderò a lui.
Sono emozionata e ansiosa.
Come una debuttante...un bel po' stagionata...ma la vita va così!

E rido perchè mi viene in mente una battuta che ben si adegua alla situazione.
Tempo fa ero in una ex sala da ballo di un palazzo nobiliare oggi adibita a sala da concerti. Quella sera era di scena un quartetto d'archi.  Seduto accanto, un simpatico amico che ha un po' di primavere più di me, guardava gli spettatori arrivare. Il pubblico non era certo quello del rock, la media era dai 65 anni in su.
Signore con gioielli vistosi, cappellini, giacchettine modello chanel, qualcuna col bastone, altre con la permanente azzurrina.

A un certo punto mi fa: "Se in questa sala si ballasse ancora, stasera non ci sarebbe il ballo delle debuttanti ma delle ri-buttanti".
Scoppio a ridere...devo lasciare la sala per non disturbare l'esecuzione di Mozart.

Adesso la battuta me la cucio addosso: tra tutti quei bei ballerini, sarò una debuttante o una ributtante? Oppure una debuttante/ributtante?
Per intanto, aspettiamo domani.

RIFLESSIONI/11 nome e cognome

Talvolta ci lamentiamo per quello che non abbiamo. 
Talvolta ascoltiamo qualcuno lamentarsi per qualcosa che non ha.
Poi facciamo i debiti confronti e ci rendiamo conto che nessuno davvero percepisce con chiarezza cosa ha e cosa non ha. Dipende dai momenti, dall'umore, da dove sei e con chi sei.

Magari quello che hai è davvero poco. E' giusto e legittimo aspirare ad avere di più: più affetto, più serenità, più benessere
E' giusto e legittimo lavorare per migliorarsi. 

Però non si parte mai da zero. E questo è un dato che spesso sfugge.
Semmai si parte da soli. Sempre.
Ma di fatto, non è strano. Credo che abbiamo il solo compito di costruire e cercare la nostra felicità e credo che questa deve essere "a nostra misura". 
Ecco allora che nessuno - tranne noi - può sapere dove andare a cercare e come andare a cercare.
E si è soli. Sempre soli, nel bene e nel male.

Poi ci sono i "conforti" i "punti fermi" ovvero quelli che ti vogliono bene: la famiglia, gli amici, gli amori.
Ciascuno con un ruolo. Tutti importanti, ma nessuno indispensabile, nessuno intercambiabile: un compagno non può esserti madre. Una madre non può esserti fratello. E così via.
La nostra vita, passa attraverso gli affetti, ma resta nostra esclusiva responsabilità.
I "punti di riferimento", dal genitore al compagno di vita, dal fratello al figlio, dall'amico all'amante, sono fondamentali aiuti per sapere chi sei e dove vai. Ma se non ci sono o non ci vogliono essere, tu resti tu.

I genitori sono la tua porta per entrare nella vita. La famiglia è la tua identità. Averla accanto è avere la possibilità di essere riconosciuto e amato ma resta vero che tu non sei nessuno di loro
E allora, seppur difficile o doloroso, se la famiglia non ce l'hai, o non ti vuole, o ti viene a mancare, ecco che tu esisti lo stesso. Hai comunque lì le tue radici e non devi rinunciare a cercarle, riconoscerle. 

La gestione della tua vita quotidiana, il costruire un luogo a tua immagine e somiglianza, avere il tuo nido, è avere libertà, indipendenza. Anche questo è prima un lavoro che si fa da soli e per se stessi, poi magari si condivide, con un partner, con un figlio, con gli amici.

Poi il lavoro, il luogo dove forgi la tua personalità. Mamma mia se è difficile. Quanti pezzi da mettere insieme e far girare come gli ingranaggi di un orologio. E com'è facile smarrirsi.
Però necessario.

Da soli, sempre da soli. Anche quando incontri quel qualcuno da amare.
Perchè se sai stare da solo, e starci bene, allora puoi davvero scegliere ed essere libero di amare gratis, ed essere lì perchè tu resti tu e non per il bisogno di compagnia, di avere chi ti accudisce, di avere la famiglia che non hai avuto o peggio di avere qualcuno con cui condividere le spese.

Conosco persone che hanno tante cose e non se ne accorgono. Oppure lo sanno e si infliggono punizioni e si fanno male con inutili sensi di colpa per aver avuto tanto dalla vita e aver magari dato poco.
Conosco persone che hanno avuto così poco che son pronte a prostituirsi per la carezza di uno sconosciuto e diventano schiave del dare e del darsi a caso, e si puniscono addirittura pur di poter raccogliere le briciole di quel che avanza a qualcun altro.
Conosco persone che non pensano affatto a questo tipo di questioni e campano serene, "a prescindere", come direbbe Totò. Per loro mi dispiace un po. Mi sa che sia una sorta di volo interrotto.

Conosco persone (poche a dire il vero) che al di là di quello che hanno avuto e che hanno, sanno di avere loro stessi e di poter per questo condividere pane con chiunque, con leggerezza e gratuità.
Sono molto lontana da quest'ultime imparo: quando le incontro nel mio andare, sono grata, me le tengo vicine. Le ascolto e le guardo nella speranza di crescere e trovare prima o poi quello che sono.

A dire il vero sono grata a tutti coloro che si lasciano conoscere e mi dicono di sè, perché per me ogni volta è spunto di riflessione il confrontarmi.

E tutte questei pensieri, anche se nella mia testa son molto chiare e lineari, e hanno nome e cognome, nella mia vita quotidiana sono obiettivi spesso confusi e lontani.
Ci litigo, ci combatto, talvolta perdo e mi perdo, altre volte sento di dominarli ma ancora cammino nella nebbia.
Però, cammino. E non è poco. 
Prima o poi avrò nome e cognome anche io.



giovedì 10 marzo 2011

RIFLESSIONI/10 tutta la vita del mio 9 marzo 2011

Si torna sempre lì...dipende da quello che ti aspetti.

Io per il 9 marzo 2011 non mi aspettavo niente. Ma niente. Anche perchè la mia testa era lontana dall'idea di un giorno di festa. E poi il compleanno è un giorno strano. Guardi a quello che è stato e pensi a quello che vorresti fosse. Il bilancio in genere è negativo.

Adesso ad esempio, io ho un progetto ambizioso per le mie forze attuali e assolutamente privo di condivisione da parte di chi vorrei accanto. Me la devo smazzare da sola e mi è stato fatto presente anche in modo brutale.

Ce ne vorranno ancora di compleanni prima di dire: ecco, festeggio questo traguardo raggiunto. Perchè son tenace e che lo raggiungerò lo so. Ma ancora... avoja di strada da fare!

Ecco che allora mi sembrava di non dover sparare fuochi d'artificio per questo compleanno.
Sono stanca, è un periodo di prove, è un periodo di poca luce. E sono 4 anni che va così.
Alla fine è un altro 9 marzo che mi vede ancora lontana da molto di quel che vorrei.

Poi sono arrivate le telefonate. La prima a mezzanotte e due secondi. E poi ancora al telefono fino alle 3 (chi mi conosce sa che sono anima notturna).
 
Intanto sono iniziati ad arrivare anche i messaggi di auguri e per tutta la notte ho sentito il telefono vibrare per via degli alert di facebook (i social network danno una bella mano a chi, come me, non ricorda la data di nascita di quasi nessuno).

La giornata è stata piena di tanto affetto piovuto da ognidove: sopratuttto da persone che non aspettavi e che non immaginavi. Poco importa se erano auguri di circostanza o di cuore: c'erano!
Non ce l'ho fatta a ringraziare tutti, perchè non sono mancate neppure le grane di lavoro. Ma è stato tutto alleggerito da questo bagno di folla che mi pensava.

Già mi pensava, pensava me.

Ieri sera a quest'ora non mi aspettavo niente. Guardavo alla mia realtà più vicina e sapevo che non mi avrebbe festeggiata nessuno. Era questa la cosa che mi metteva di malumore. E di fatto è stato così.
Ma non c'è stato il malumore.

A fronte di pochi "distratti", c'è stato un vero esercito di persone carine, che hanno dedicato almeno un minuto a me, pensandomi. Hai detto niente!

Ho cenato a casa con riso e carciofi, una torta/sperimentale preparata a sorpresa dal mio clone piccino, e un'amica.

E adesso, che sono sola e nel silenzio scorro tutte quelle parole di buon augurio, mi sento di essere stata fuori luogo e fuori tempo.

Già fuori luogo: il compleanno è il giorno in cui ricordi di essere nella vita. E la vita è l'unico posto dove vale la pena di stare. Anche quando fa fatica e non è bello. Ieri ero altrove.

Oggi ho messo i piedi nel fluire della vita ed è stato bello, e questo grazie a tutta quella gente che mi era vicina, ciascuno a suo modo, e me lo ha fatto sentire questo movimento.

E poi fuori tempo: già perchè bisognerebbe stare dentro il tempo, o comunque a questa cosa che chiamiamo tempo e che forse non esiste neppure. Invece ne abbiamo così poco rispetto che andiamo sempre di fretta oppure ci perdiamo in cose tanto inutili che ci assorbono tante energie che il tempo lo buttiamo via.

Sempre lì a pensare a cosa sarà poi o a cosa è stato prima.
Ohhhh, calma! Respiriamo!

Respira, Sonia: ieri pensavi a cosa sarebbe stato il 9 marzo 2011 ed eri malinconica. Sbagliavi!
 
Il 9 marzo 2011 è stata una giornata dove ogni attimo è stato segnato da uno squillo di telefono perchè c'era tanta vita che mi danzava attorno ed era tutta lì, pronta ad augurarmi una buona vita.

Ed ogni squillo era una sorpresa, un rendersi conto che capperi: ci sei!
Ci sei e sei viva e le persone ti ricordano che devi festeggiare il giorno in cui sei entrata nella vita.

E che sia buona vita per tutti allora. L'augurio che mi faccio io è di imparare a stare nella vita.
E lo auguro a tutti coloro che mi hanno pensata, e anche a chi non lo ha fatto. Mi avete fatto un gran regalo.
 
Stare nella vita, sentirne il fluire, continuare a sognare, continuare ad amare.


Bel compleanno questo mio del 2011. Auguri Sonia!

martedì 8 marzo 2011

Quando l'amore è un compleanno (Viso di primavera - Piero Ciampi)

Non era mai successo prima.
Quel giorno l’interflora le consegnò un enorme mazzo di fiori: 13 rose rosse, 13 rametti di mimosa, 13 papaveri e un girasole. La somma faceva 40, come i suoi anni. E il biglietto lo spiegava, spiegava tutto: “ti amo, sei bellissima”.
Poi arrivò un’altra busta con dentro un biglietto aereo aperto. Destinazione Praga o Lisbona, dove Lei non era mai stata e dove da sempre desiderava andare.
Lui le scriveva: “decidi tu, quando e dove. ti amo, sei bellissima”.
 

Era spiazzata: Lui era innamorato davvero tanto e Lei non ci credeva affatto. Non ci aveva mai creduto, forse per quei 14 anni di differenza. Forse perché era già abbastanza disillusa. Forse perché era certa che Lui, smaltita la cotta, se ne andasse lasciandole il cuore a pezzi.

E il suo cuore era già stato abbastanza frantumato, calpestato, deriso.
E Lui, che lo sapeva, la chiamava “viso di primavera”.
Ogni sera la salutava dicendo: “qualcuno è qui che t’ama mattina e sera. cerca di dormire serena”.

Ce la metteva tutta, parole, poesie, canzoni, sorprese, ma Lei non ci riusciva a credere davvero.
Perché poi Lui, così giovane e carino, doveva volere proprio Lei?

Eppure Lui l’aveva voluta dal primo momento che l’aveva vista. “Oggi ho conosciuto la donna più bella che io abbia mai incontrato”, aveva scritto agli amici.

Vivevano lontani, però trovavano il modo di frequentarsi. E ogni volta Lei se ne tornava a casa sua incredula e lusingata. Nessuno l'aveva trattata così bene. E Lei pensava di non meritarselo alla fine.

Anche per questo Lei non ci credeva proprio che quella storia potesse andare da qualche parte. E Lui aveva passato mesi a scriverle “ti prego, credi al mio amore. sei bellissima, ti amo”.

Così quel compleanno per Lei fu speciale. Mai nessuno l’aveva stupita così tanto.
E poi Lei non aveva mai festeggiato i suoi compleanni. Sin da piccola. In genere le veniva la malinconia quel giorno. E infatti lo viveva come un giorno uguale agli altri.

Ma quel compleanno fu speciale. Fosse solo per come era stato concepito quel mazzo stupendo di fiori.
Il girasole era lì al centro perché “tu sei il mio sole –aveva detto lui – ti amo, sei bellissima

Ma Lei non ebbe mai il coraggio di crederci davvero.

E così quel compleanno fu speciale e indimenticabile soprattutto per la sua stupidità.
Era grande, quasi vecchia ormai, ma non sapeva che bisognava avere il coraggio di vivere i sentimenti. Anzi, ne aveva paura.
Era capacissima di dare fino a darsi via, ma non sapeva proprio prendere. Non sapeva come trattare chi le mostrava tanto rispetto.
Non aveva imparato che la bellezza va goduta finché c’è.

Pagò duramente il prezzo di quella lezione costosissima.

Le riuscì un capolavoro assoluto: frantumare il cuore di Lui e poi disintegrare il suo.

Si persero per sempre. E Lui rimase per sempre arrabbiato con Lei. La cancellò.
E questo forse la dice lunga sul fatto che quell’amore non era poi così amore.
Ma chi può davvero dire cosa sia amore soprattutto se non vive un sentimento fino in fondo?

Nessuno usò mai quel biglietto aereo.
Quella per Lei fu una specie di ultima possibilità che andò perduta. Un viaggio mai fatto. Mai vissuto, appunto.
Sì, quel viaggio non fu fatto mai. E non solo quello per Praga o Lisbona.
Quel viaggio: quel viaggio lì, alla scoperta dell'ignoto di un amore che arriva gratis al punto di far paura e alla scoperta del saper prendere con gratitudine senza sentirsi in obbligo di ripagare.

Le restò una foto di quel mazzo di fiori, e il biglietto: "ti amo. sei bellissima".

E da allora nessuno più le disse o le scrisse “ti amo. sei bellissima”.
E lei smise definitivamente di aspettare che un tale miracolo potesse di nuovo accadere.





***il mio babbino caro

Tra il 7 e l'8 marzo, da sempre, mio babbo fa apparire un enorme mazzo di mimosa. Senza dire una parola arriva il profumo dall'ingresso fin dentro casa. E' sempre andato a procurarsela e da qualche anno la prende dall'albero (perché è un albero enorme) del suo piccolo giardino. Quell'albero è lì soprattutto per me. Lui sa, perchè me lo avrà sentito dire mille volte, che di tutti i fiori amo la mimosa, i papaveri e le rose. Lui lo sa, ma non lo dice. Non dice niente. Non ha mai detto niente. Ma quell'enorme mazzo che adesso sta lì per le nipoti, la nuora, la moglie in realtà non è per la ricorrenza della festa della donna. E' lì soprattutto per me. 
E' vero, adesso ci sono tante femmine nella sua famiglia, ma lui non festeggia tanto le sue donne, lui festeggia me, che sono nata il 9 marzo. E così usa il pretesto collettivo per non vergognarsi.
Diciamo che la vicinanza delle date lo ha sempre tolto dall'imbarazzo: lui è così disarmatamente tenero che non sa dirmi più "tanti auguri" da quando son diventata ragazza. Come si vergognasse. E forse si vergogna davvero.
Ecco allora che arriva la mia mimosa. Tutte le donne di famiglia son contente ma io di più: e infatti il 9, vado da lui e gli chiedo un bacio. So di metterlo in imbarazzo. Ma non ci rinuncio mai. E dopo un bel po' di mazzi di mimosa, non essendo più bambina, penso che gli uomini timidi sono così contraddittori che fanno tenerezza. Però che bello il mio babbino!
E mi tornano in mente i due brani musicali che quando ero piccola e ancora riusciva a non vergognarsi mi cantava... e con la lirica se la cavava davvero bene! Il napoletano non lo sapeva e non lo sa...ma il ritornello era tutto per me! E come ridevo...
Ora lo fa talvolta con le nipotine, ma io so di essere per sempre la sua "braciolina pallida" e per sempre resterò la sua "pallina".