giovedì 23 luglio 2015

RIFLESSIONI 57 / brusio

In fondo al corridoio c'è una piccola stanza con circa dieci poltrone. Piccola sì, ma accogliente.

Noti subito che sui muri ci appese soprattutto foto che ritraggono persone che lavorano qui. Ma sono ritratte in situazioni intime, coi figli, con gli affetti. In quelle foto sorridono, così come sorridono e sono gentili anche mentre lavorano.
E subito quell'ambiente ti sembra umano, tutt'altro che freddo.
Qui tutti si danno un gran daffare, un piccolo formicaio dove ogni formichina ha un compito continuo da portare avanti.
E il rispetto per tutto questo andare e fare, porta necessariamente ad essere rispettoso anche chi arriva da fuori. 

Chi arriva da fuori.
In genere sono gruppetti di persone due, tre alla volta. Un padre con un figlio. Un padre, con una madre e una figlia, un marito con una moglie. Qualcuno solo.
Insomma famiglie intere o "a pezzetti". 
La cosa che colpisce è vedere persone anziane alzarsi da una di quelle poltrone per lasciare posto a persone più giovani. Si perché qui è evidente chi è che ha bisogno di sedersi, chi è stanco, chi è provato, chi è in guerra da tanto o chi ha paura perché sta per iniziare la sua guerra.
Di guerra si tratta. E non si fanno prigionieri. 
Già alla fine prigionieri non ci saranno. Lo sanno tutti: quelli che sono in prima fila con la spada e quelli che fanno compagnia. Quelli che sorridono e ti accolgono, quelli che sono nelle foto appese al muro, quelli che non ce la fanno più, quelli che invece c'è l'hanno fatta.

La stanzetta si affolla.
Qualcuno è spaesato, qualcuno sa già come funziona. 
Ma molto velocemente le formichine sistemano tutti là dove devono stare tra sorrisi e gentilezze. E hanno una parola o un sorriso per tutti, quelli che lì devono stare e quelli che lì è meglio non ci stiano.
E tu pensi che quelle sono persone speciali. Davvero speciali. E non ci sono parole per ringraziare. Perché è vero che è il loro lavoro, ma c'è modo e modo di farlo. E in un posto come questo riuscire a farlo così è da eroi. 
Guardi con ammirazione e impari: una, mille lezioni. 

Così passano le ore. Tra speranze e pensieri. Ricordi e attese.

Quando poi percorri in senso inverso il corridoio e torni nel mondo, il mondo ti sembra una barzelletta: il parcheggio, il governo, le tasse, la moglie infedele del vicino di tua sorella, il figlio di puttana che ti ha fottuto il lavoro, l'invidia di chi ti invidia, il figo che si sente un dio e come fosse dio esprime giudizi universali su tutto e tutti, quello che ti cerca solo perché vuole, quella che invece ha solo da misurare quanto sei più o meno di lei in base al tacco delle tue scarpe. Ego. Solo ego. Ma la vita vera dov'è? 

Brusio, brusio, il brusio di sottofondo che fa una radio fuori frequenza. 
Tanti affanni per un nulla assoluto.

E tu non vedi l'ora di poter sentire le onde del mare. In silenzio. 

sabato 11 luglio 2015

Lettere & Cartoline /11

Vorrei sapere cosa pensi, quando col pensiero ti capita di ritornare a qualche anno fa.
Vorrei sapere cosa ricordi e se, magari, affoghi subito la malinconia per ciò che è stato bello in una fogna di schifezze.
Vorrei sapere se ti ricordi quello scoglio a picco sul mare e la stanchezza e le ore di sonno perdute e l'aver superato clandestinamente la rete che delimitava una proprietà del demanio. 
E poi le passeggiate in motorino o a piedi tra le radici infinite ed enormi di un giardino di alberi secolari. Vorrei sapere se dormi ancora su quel letto basso.
Vorrei sapere se ancora bevi il tè in quel piccolo locale dove hanno bicchieri e biscotti persiani ma dischi di Gianna Nannini. Vorrei sapere se il tempo e le rate del mutuo ti hanno reso borghese e conformista. E magari se hai cambiato idea sul matrimonio, le camicie, lo stipendio. E magari se la "celebrità" ti ha cambiato. Vorrei sapere se scegli di carezzare qualcosa che sia un po' meno bello di quello che ritenevi bellissimo così da accontentarti e non sognare più.
Vorrei sapere che è successo dopo. Al tuo cuore, dico.
Dopo quel dopo. Dopo quell'anello di plastica che chiude il tappo delle bottiglie.
Perché il dopo arriva sempre, ma non si è mai pronti. 
E tocca di arrangiarsi.
E non sempre è proprio facile.

domenica 5 luglio 2015

Perché Sonia non scrivi più?

Perché Sonia, non scrivi più? 
Già perché non scrivo più?
Forse mi accadono troppe cose e sono tutte straordinarie e al contempo banali al punto che mi chiedo: perché ne dovrei scrivere?
Per scrivere ci vuole un motivo, un bisogno. E forse di motivi e bisogni ne ho fin troppi. Roba da rimanerci soffocati.
Allora prediligo il silenzio. Anche per evitare la fatica di mettermi gli occhiali, che da vicino ormai con l'I-pad mica ci vedo troppo bene....
Ogni giorno auguro buon compleanno a qualcuno, ogni giorno mi scordo qualcosa che avrei dovuto fare e ogni giorno mi capita di fare qualcosa che non avevo previsto.
Poi a quest'ora, se sono sola, mi accorgo che un giorno è passato.
Un altro.
E se fino a qualche tempo fa questo pensiero non mi faceva proprio nessun effetto e anzi, iniziavo a pensare a cosa avrei dovuto fare domani, adesso invece mi fermo a riflettere e mi chiedo se le ore di oggi hanno avuto un qualche senso.
Se le ho dedicate a ciò che merita tempo. Se ho pensato o parlato con chi - per adesso - ho la fortuna di avere vicino a me. Se ho fatto qualcosa per sentirmi un po' più forte e, magari, migliore.
Perché poi basta una giornata che fuori fa 40 gradi e che ti costringe a stare in una stanza fresca dove tieni le scarpe a cambiare i tuoi pensieri.
Oggi ad esempio ho trovato un paio di scarpe che misi per la prima volta il 27 luglio 2007.  
C'era una festa. E ricordo anche come ero vestita.
Mi avrebbero portato su strade che non dimenticherò mai. Sono stata felice. Ma è stato un attimo. Poi, come accade per tutto, anche quell'attimo è passato. 
Adesso sono lì, nella loro scatola, fra altre scatole. Fra altre scarpe con cui ho fatto tante altre strade, più allegre o più tristi. Malinconiche e spensierate.
E tante altre ce ne saranno.
In salita, in discesa, con le curve. Faticose.

Io una cosa la so: non ho nessuna idea di dove sto andando. 
Intanto fotografo i panorami. Anche quando le foto non meriterebbero di essere scattate.
Anche quando fanno male.
Ma è il mio viaggio. E voglio compierlo fino alla fine.
Poi magari ogni tanto ne scriverò anche...