domenica 21 dicembre 2014

Visitando la mostra di Rosalba Parrini “Giochi, Battaglie, Storie”... ealtro

Visitando la mostra di Rosalba Parrini “Giochi, Battaglie, Storie”
(e altro)

Le stanze con tanti quadri e tante fotografie appese alle pareti ma soprattutto una, quella all’ultimo piano, una sorta di laboratorio con una luce particolarissima. Lì ancora quadri, libri, disegni, un paio di occhiali assolutamente speciali e finalmente la lettura di “Andrea”, una poesia che lei aveva scritto anni prima e sulla quale tanto avevamo scherzato.
Poi cena in giardino con un’insalata a base di patate lesse, würstel e maionese: un piatto che avrò provato a rifare mille volte (pur odiando i würstel) senza mai riuscirci.
Ma lì era tutto buono. Tutto bello.
E ancora i sorrisi delle sue meravigliose bimbe e le parole di quel marito innamorato pazzo che già allora fotografava tutto, ogni attimo di quella vita familiare quasi a voler fermare per sempre la felicità.
Perché se qualcuno mi chiedesse cosa ho trovato a casa della professoressa Rosalba Parrini quando, con i miei compagni di classe l’andammo a trovare, io direi proprio così: lì ho trovato qualcosa che potrei definire “felicità”.

Eppure quella era una felicità che “scalpitava”. E già nei miei ricordi di allora, la mano di Rosalba Parrini che, disegnava, scarabocchiava, scriveva, tracciava linee era alla ricerca di un qualcosa di più.

E anche oggi è così: vedo Rosalba e incontro una donna felice, osservo le sue opere e incontro l’anima di un artista continuamente alla ricerca di un qualcosa di più, che superi anche la stessa –chiamiamola così- “felicità”.

“Giochi, Battaglie, Storie” è la mostra che i Magazzini del Sale di Palazzo Pubblico a Siena ospiteranno fino al prossimo 7 gennaio 2015. Una mostra che arriva dopo che Rosalba ha dipinto il Drappellone dello scorso luglio 2014.

E finalmente. Ci voleva proprio il Palio per offrire alla Parrini, lo spazio per una personale. Quasi lei avesse dovuto pagare il pegno per aver da sempre amato la sua Siena. Sì, perché se solo Rosalba fosse capitata in una galleria di una città dove l’arte contemporanea non viene vissuta come un qualcosa da sopportare, probabilmente sarebbe stata consacrata già da un pezzo tra i maestri di questo tempo.
Di più: se non fosse stato per suo marito Giancarlo, questi suoi lavori sarebbero rimasti probabilmente nascosti. Già, Rosalba ha un difetto: è umile ed è anche timida.
Una ragazzina.
Era così anche quando la conobbi.

Per noi studenti era “la Parrini” e non è un caso se, nonostante la sua severità, ci stava simpatica. Ma simpatica solo fuori dalla scuola, perché quando vestiva i panni di professoressa ci costringeva ad imprese importanti (tipo armeggiare con un disegno geometrico un intero pomeriggio). O almeno questo accadeva a me, che ero negata per il disegno. E nonostante questo, è proprio colpa della Parrini se invece di fare la farmacista mi sono laureata in storia dell’arte.
A distanza di anni però, riesco a capire cosa volesse quella professoressa così pignola e precisa. Ci invitava a sfidare quei fogli bianchi per scoprire la nostra forza interiore, per stimolarci a superare un limite, per crescere, anche se a noi talvolta non importava niente. Ma la curiosità doveva venire prima di tutto, anche a costo di esser rigorosi e severi.
Un invito che diventava vero, ed era quindi ineludibile, perché era rivolto a noi studenti e al contempo a quella ragazza che era - ed è - in lei.

Ecco allora che questa mostra “Giochi, Battaglie, Storie” è una sintesi molto significativa di quello che è il percorso artistico di Rosalba Parrini, un percorso scelto e mai abbandonato: da quando era studentessa a Siena, poi al Magistero d’Arte di Firenze quindi all’Accademia Albertina di Torino, fino ai giorni che l’hanno vista insegnante.
Rosalba Parrini ha sempre portato con se la sua cifra più particolare, quella che poi ha insegnato anche a chi come me ha avuto la fortuna di incontrarla, ovvero la voglia di mettersi in gioco, la voglia di cercare e superare le sfide.
Non a caso ci invita a scoprire Giochi, Battaglie, Storie, tre capitoli fondamentali di un unico libro che potremmo chiamare “vita”.

Giochi
Giocare, scomporre, scoprire la realtà da molteplici punti di vista.
I dipinti di questa sezione sono caratterizzati dal movimento. Rosalba traccia coordinate geometriche ma poi ne scompone la perfezione. Butta all’aria la falsa necessità di procedere secondo solide regole matematiche e trasforma la prospettiva in pura poesia. Le linee si muovono su fondo nero e diventano parole sinuose, suoni armonici. C’è una sorta di sinestesia in quei volumi che raccontano ciò che è, da più prospettive. Addirittura i pannelli creati con contrasti in rosso si possono montare e di nuovo rimontare in molteplici modi. Le tavole diventano oggetto con cui giocare. E poi la serie “Vieni colore” dove è il cromatismo ad essere protagonista. Teste colorate di cavallo che si intersecano offrendo la possibilità di perdersi in un viaggio onirico e pieno di fantasia.

Battaglie
E’ la figura del cavallo il grande protagonista della serie dei dipinti che Rosalba Parrini racchiude nella sezione “Battaglie”.
Inutile stare a precisare che cosa sia il cavallo per un senese. Ma il cavallo è anche ancestrale simbolo “del tutto”, immagine per eccellenza dell’anima che va saputa dominare e guidare. E per l’artista e per le sue battaglie, può essere tante cose. E’ “strumento” per superare la prova, è bellezza mitologica, è speranza ed è possibilità di una libertà da conquistare sotto un cielo illuminato da una luna rossa.
Il cavallo diviene talvolta una cosa sola col cavaliere al punto che se ne distinguono appena le forme. Parla, gioca come fosse l’umano. Diventa “tutte le cose”, perché tutte le cose si scompongono nella battaglia, le linee di confine diventano meno definite e, se si combatte con passione ed ardore, si può conoscere il caos. Ed ecco che tornano le geometrie colorate e più astratte con cui Rosalba ama guardare le cose, con totale apertura, senza offrire un unico punto di vista. E ancora una volta il colore è fondamentale: sono infatti i cromatismi che ci suggeriscono se si tratta di battaglie vinte o perse. E si resta lì a pensare, a immaginare, a immedesimarsi.

Storie
Poi ci sono le storie. E in questa sezione Rosalba Parrini racchiude il percorso che ha l’ha portata alla pittura del Drappellone del 2 luglio 2014.
Sono davvero storie. Ciascuna è un unicum, per ciascuna è possibile fare mille riferimenti. Di fatto il Drappellone è una sintesi di storie. Ci sono le geometrie, i cavalli, le linee -ancora- sinuose, il rigore prospettico e il cromatismo brillante che racconta Siena, c’è Rosalba e la sua vita di senese, gran parte della sua ricerca. Ma nei dipinti di questa sezione c’è molto di più. Ci sono frammenti di intimità, ci sono luoghi di ombra, momenti più misteriosi e bui, ci sono taccuini di viaggio e parole sussurrate. C’è quello che è stato e che ormai è diventato storia ma c’è ancora la voglia di curiosare, cercare nuovi racconti, magari seguendo il volo in ascesa di un bandierino come fosse un aquilone o la criniera rossa e spettinata dal vento di un cavallo che ancora scalpita e troppe ancora ne avrà da giocare, combattere e raccontare.

mi lascio andare
e provo ad essere felice

(da Misteriosamente il mare - Rosalba Parrini,  Il mio silenzio mosso)





sabato 20 settembre 2014

Epifanie / 33

Un gesto banale. 
Ti accorgi che il calendario è rimasto ad agosto. Strappi la pagina e pensi che quella di settembre resterà su poco. 

Qualche anno fa, forse più o forse meno, hai fatto lo stesso gesto e lo stesso pensiero.
Ricordi precisamente quel momento.

Era molto diverso lo stato d'animo. 
Allora eri felice. Ti sembrò che fosse uno scempio strappare la pagina di quel calendario, uno schiaffo a tanta felicità. Sarebbe stato bello - dicesti fra te e te - fermare questo tempo.
Ma il tempo non si ferma.

Oggi non vedi l'ora di riprendere per mano quei pensieri.
E ogni volta pensi e speri che la pagina successiva del tuo lunario sia più generosa.
Di una cosa sola sei certa. 
Per certi attimi di quella felicità ha avuto senso anche soffrire.

non ti sento, non ti sento, da troppo tempo non ti sento
e ti ho tenuto lontano dalla gente
quanti giorni passati senza un gesto d'amore
con i falsi sorrisi e le vuote parole
(Lucio Dalla)




domenica 17 agosto 2014

La corsa, Il Palio e l'anima (in questo caso la mia)

(La bella foto è dell'amico Riccardo Pallassini)
Avvertenza: chi non è senese potrebbe non capire una parola di quello che vado a scrivere. Ma questa pagina riguarda davvero qualcosa di molto personale. Che ha a che fare con l’anima. La mia.

Oggi a Siena è il 17 agosto, ovvero il giorno che segue il Palio dell’Assunta. Dopo quattro giorni di tensione, attesa e speranze, ieri sera la corsa dei cavalli che si è disputata in Piazza del Campo ha consacrato regina la Contrada della Civetta.

Ovviamente in città sono settimane che si parla di cavalli, fantini e strategie paliesche, secondo un rituale che si ripete da sempre. E oggi si sprecano i commenti, i “se” e i “ma” di cui son piene le fosse di quelli che sapevano tutto da prima, da sempre, da mai.

I media rendono omaggio alla Civetta mentre esperti ed espertoni sfornano pagelle più o meno ad minchiam per fantini e Contrade; insomma, dai salotti televisivi ai bar, ovunque si parla di Palio e - manco a dirlo - ovunque c’è chi è pronto a giurare che “io lo avevo detto”.

Il Palio inteso come corsa lo ha vinto la Civetta. Senza se e senza ma. E, per onor del vero, io sono tra quelli che no, non l’avevo detto.

Qui però vorrei parlare di un altro aspetto del Palio. Quello che dà significato a quei tre giri a perdifiato e che non finisce mai di stupirmi. Quello che dà senso alle emozioni vere e non alle baracconate da circo medrano.
Quello che dà prospettiva e speranza al futuro di una città che sa rigenerarsi da sempre, grazie a una Festa che è più di una Festa. E’ celebrazione collettiva di un rito. Enigma. Continuo conoscersi e ri-conoscersi in un qualcosa che è più grande del sé.

Torno ad ieri.

Sono tanti anni che ho l’onore e il privilegio di vestire la comparsa della mia Contrada, la Chiocciola, un gruppo di uomini che viene chiamato ad indossare vesti che trovano le loro origini nell’antichità e che in ogni dettaglio restituiscono simbolicamente un valore, un gesto, un messaggio.
(La comparsa si veste nelle primissime ore del pomeriggio del giorno del Palio. E infatti alle 13,15 puntuale mi sono presentata in Contrada)
Nella comparsa, tra i figuranti in “maggiore evidenza” (lo scrivo per gli amici che non sono senesi e che sono arrivati a leggere fin qui) ci sono gli alfieri (i due ragazzi che “giocano” con la bandiera proponendo un antico linguaggio militare) e il tamburino (dotato dello strumento che scandisce il passo con cui si annuncia l’arrivo della Contrada).

E da qui, amici non senesi, forse non ci capirete più niente.

Per Alessandro e Andrea (vent'anni, poco più forse) ieri era uno di quei giorni che resterà indimenticabile a prescindere. Per loro sarebbe stata la prima esperienza da “alfieri di piazza”. Come tutti quelli a cui la Contrada affida questo compito, si erano allenati per mesi così da onorarlo al meglio. Avevano preparato anche una sbandierata difficile. Immaginabile la loro tensione.

Arrivo e incrocio lo sguardo di Alessandro. I suoi occhi parlano più del suo pallore. E’ addirittura più pallido di me. Sorrido. “Iniziamo dalla calzamaglia vai”.
Da lì è stato un susseguirsi di dettagli. 
La camicia di Ale stringeva al collo. L’abbiamo cambiata. E così l’ha cambiata anche Andrea. Poi ad entrambi è venuto il dubbio che quella camicia (che comunque arrivava fino al polpaccio), potesse uscire dalla calzamaglia. Rassicurati i ragazzi che questo evento sarebbe stato impossibile, ecco un nuovo dilemma: con che si tiene su la calzamaglia in cotone, bretelle o cintura? Per me non ci sono dubbi: cintura. I due “novizi” si fidano e mi danno ascolto. Andrea intanto si sistema le scarpe. 
Sembrerebbe un’amena chiacchierata su vestimenti, ma in sostanza si tratta di placare un po’ l’ansia, di trasmettersi reciprocamente la giusta fiducia.

Andrea e Alessandro provano qualche movimento e finalmente arriva il momento di indossare la parte in velluto della montura, ovvero quella che fa dell’alfiere, l’alfiere di piazza.

Alessandro trema, senza accorgersene credo. Parla veloce, sottovoce e non lo capisco. Mi chiede anche di essere complice di un suo piccolo segreto. Qualcosa che riguarda uno scherzo con Andrea: non lo so ma accetto, mi basta di vederlo un po’ sereno. Mi ringrazia. Non saprò mai di cosa. Ma va benissimo così. Ormai l’emozione non è più così impalpabile. Faccio fatica a chiudere i bottoni del suo corpetto. E sento il suo cuore battere forte.

Andrea invece è “ineffabile” ha lo sguardo che sfugge; chiede “va bene questo?”, “va bene quest’altro?” e mostra bottoni, dettagli della camicia, piccole pieghe delle calze, ma osserva altrove. Si, va tutto bene. Poi gli faccio scivolare le braccia nella parte superiore della montura ma mi è difficile intrecciare il cordoncino che tiene insieme il retro: non riesce a stare fermo, “balletta”.

Frattanto Fausto, il tamburino, guarda e aspetta paziente il suo turno con calzamaglia e camicia già addosso… Per lui non è la prima volta. Forse per questo sembra più tranquillo lo guardo, sorride e mi fa: “Ma da me quando ci vieni?”. “Ora, ora. Abbi pazienza”.

Lascio i due alfieri alle donne che devono sistemargli le parrucche, agli abbracci dei familiari, degli amici, alle parole degli ultimi momenti, alle battute per sdrammatizzare, alle fotografie.

Poi vado da Fausto. Lì c’è anche Nicola che mi aiuta. E mentre gli mostra come mettere la cintura che sosterrà il tamburo, io gli faccio indossare la montura.

In quel momento arriva Paola. Paola di Bano. Bano che se n’è andato poche ore prima, Bano che ha lasciato la chiesa dove tra qualche minuto andremo con la comparsa e il popolo a benedire il cavallo. Bano che ha insegnato a tutti quei ragazzi a suonare il tamburo. Bano. 
L’abbraccio.
“Mi hanno detto i ragazzi di venire, ci sono sempre venuta”. E lo dice, con imbarazzo, come chi sembra volersi giustificare.
La guardo e sono io che adesso ho bisogno di coraggio per ricacciare le lacrime in fondo agli occhi. Le affido i lacci che devono chiudere la montura di Fausto e le dico: “dai, finisci tu. Sei arrivata proprio al momento giusto, è il tamburino no?”

La vita vince sempre sulla morte.

Pochi minuti ancora, ed è tutto pronto. I ragazzi sono bellissimi ed emozionatissimi. Li bacio. “Sonia, grazie di tutto”. “Oh. Grazie Sonina. Grazie, grazie davvero”. “Grazie di tutto”. Ed è un continuo.
A quel punto la tenerezza mi sale agli occhi. Quei ragazzini così giovani e così sinceri, sono tanto belli nella loro emozione che in quel momento riesci a cogliere l’essenza più vera di questa città.

Ora come lo potresti spiegare a uno che pensa che il Palio sia una corsa di cavalli, il tumulto di emozioni che attraversano e scombinano cuori e teste in giornate come queste?

Come glielo racconti a uno che ti chiede cos'è la Contrada il pallore di Alessandro, o lo sguardo di Andrea nell'affrontare un’emozione tanto grande per la prima volta?

Come lo racconti che Paola di Bano proprio ieri, ha vestito il tamburino di piazza della Chiocciola e Fausto, quel tamburo, lo ha suonato mettendoci dentro mille e mille voci di chiocciolini?

Se c’è una cosa che davvero mi fa rabbia è che non riesco proprio a trovare parole adatte a restituire certe emozioni, certi significati profondi.

Perché questa cosa qui è come l’amore. Non si spiega né si racconta. Si vive. E si è grati perché la si può vivere.

E bisognerebbe anche essere molto bravi a difenderla.
Talvolta (forse anche più che talvolta) anche da noi stessi.




giovedì 3 luglio 2014

Arianna, 2 luglio 2014

La mia corsa, dopo la corsa.
Quella facile e veloce tra vicoli e volti che conosco da una vita per venire da te. 
Quella difficile e tutta in salita per superare “a caldo” la delusione per quel mio sogno – per ora – in sospeso. 

E poi tra tanta gente che non capiva perché fossi lì, finalmente il tuo urlo più vero, di pancia, pieno di lacrime di gioia.
Un urlo che ricorderò per sempre perché, in qualche modo, mi restituisce il tuo primo vagito, quello che non potei sentire perché per farti nascere mi addormentarono.
Mi sei corsa incontro gridando “Mamma, non ci credo”, ed è stato come sentirti venire di nuovo al mondo.

Prima ho visto i tuoi occhi blu, enormi, spalancati come a voler guardare ogni cosa che stava accadendo per realizzare che sì, è tutto vero.
Poi ti ho sentita tra le mie braccia. Bellissima e piccina, piccina.
Tremavi, piangevi, delicata come un foglio di carta velina e ti ho scoperto di nuovo piccolissima anche se ormai sei alta come me. 

Conosco quel tremore e quelle lacrime.
Amore mio, la gioia quando è tanto grande e inattesa può essere devastante.
E credimi, ogni cuore, anche il più anziano, si trova inesperto e impreparato davanti a tanta potente felicità.
Ma quello che ancora non ti pare possibile, diverrà forse uno dei ricordi più belli della tua esistenza. Una cosa da raccontare mille e mille volte e ogni volta ritrovarsi addosso un brivido di pura emozione.

Si chiama Palio questa roba qui, ed è un gioco che diventa vita vera.
Si piange di gioia e di delusione. Si cade e ci si rialza, ci si abbraccia per felicità o per disperazione o per tutte e due. Sempre siamo lì per la bellezza.

Chi ci guarda da fuori in genere non riesce a capire. E talvolta non ci riesce neppure chi ci conosce da vicino.
E’ una magia la nostra, piena di sentimenti contrastanti e veri che si rinnovano attraversando il filo fugace e implacabile delle stagioni.

“Mamma, non ci credo. Non ci sto capendo niente, ma non voglio perdermi neppure un attimo” 
Ci crederai, avrai tutto chiaro e sarà tutto vero.
Intanto amore mio, hai ragione, non perderti neppure un attimo.

Io non mi sono perduta la tua gioia immensa, il tuo stupore e la tua meraviglia, la tua bellezza. 
Non ho dubbi che l’aver corso per venirti ad abbracciare, è stata la cosa più saggia che potevo fare. 
Ora guardo la tua bandiera che sventola alla finestra di casa nostra e penso che in attesa che il mio sogno diventi realtà, adesso è tempo pieno per il tuo. 
Vivi ogni attimo al meglio e fai in modo che tu possa poi ricordare.
La storia talvolta viene illuminata da lampi luminosi di pura felicità: la tua di oggi è una storia piena di luce e bellissima. Come te.

Mamma


mercoledì 23 aprile 2014

La mia amica (qualcosa di personale)

Un’amica di quelle che porto sempre nel cuore mi ha suonato il campanello.
Non sono mai a casa a quell’ora. Oggi invece c’ero.
“Passavo di qui…”

Lei è una ragazza speciale, pochi fronzoli e molta concretezza.
Mi raccontai la sua ultima avventura: “non volevo farlo al telefono…”
E’ una brutta avventura che, detta così con pochi fronzoli e molta schiettezza, lascia poco spazio all’immaginazione.
La guardo e l’ammiro.
L’ascolto e l’ammiro.
Gli occhi le scappano altrove. In pena.
Ci sono momenti in cui la vedo smarrita nel suo coraggio.
Ma non è il coraggio ad essere in discussione. Di coraggio lei ne ha da vendere.
Il suo smarrimento deriva piuttosto dall’attesa: “dicono che è necessario aspettare per capire cosa si potrebbe o non si potrebbe fare…”

Aspettare, non si può fare altro.

E allora penso che il tempo è un gioco perverso.

Era appena ieri ed eravamo sedute nei banchi di scuola, quando sognavamo tutto il bel tempo che sarebbe venuto. Di aspettare non se ne parlava proprio.
Avevamo fretta, come hanno fretta tutti quelli che hanno vent’anni.
E sognavamo tanto, sognavamo a colori.
Forse non abbiamo sognato abbastanza forte?
Volevamo tempo per fare, non per aspettare. E anche se la scuola è finita, oggi siamo quelle di allora.
E poi: questo tempo deve insegnarci solo ad aspettare?

Guardo la mia amica e sento nel mio stomaco la sua impazienza.
Vorrei dire cose sensate ma non ha senso niente di quello che sento, penso, vedo, immagino.
Così resto seduta, ascolto e mi pare di vedere un film.

Ho la certezza che è un film proprio brutto ma con un lieto fine.

Lo sappia il dio di ogni tempo che noi non aspettiamo neppure quando “non ci resta da far altro che aspettare”.
Noi siamo quelle che anche nel bel mezzo della tempesta continuiamo, ostinate e contrarie, a navigare a vista. Tra lacrime e sorrisi, imprecazioni e preghiere. A denti stretti. Almeno fino al sereno.
E presto sarà sereno. Per forza e per amore.
Perché noi siamo quelle che abbiamo sempre sognato forte.
Nonostante tutto.

lunedì 31 marzo 2014

Quando l'amore è nella luce del tramonto (La vie en rose - Edith Piaf)

Lei aspettava con ansia che l'ora legale allungasse le giornate.
Perché le ricordavano una spiaggia speciale, dove il sole aspettava sempre un po' di più a tramontare. Sì, aspettava.
Aspettava esattamente il momento in cui l'aereo, dopo aver sfiorato il mare, atterrava.
Lei scendeva a terra, recuperava il suo piccolo bagaglio, arrivava alla macchina, annusava una rosa rossa e profumata che la aspettava puntuale sul cruscotto. 
A quel punto sorrideva e girava lo sguardo verso il mare. 
Qualsiasi ora fosse, il cielo era colorato di rosa. Per pochi meravigliosi attimi, poi avrebbe ceduto il passo al blu intenso della notte.
Allora la macchina partiva verso la città e la musica faceva strada a una breve ma non piccola felicità.

Una breve ma affatto piccola felicità.








sabato 29 marzo 2014

Epifanie / 32

Ci sono persone che oltre ogni apparenza e bella finzione, nascondono inferni terribili e ospitano nelle loro anime demoni feroci.
Se solo ti affacci su quei baratri e fai correre veloce lo sguardo subito dietro i loro abiti griffati e i loro gioielli vistosi, ti sentì fortunato.
Sei fortunato, si.
Avrai mille imperfezioni e centomila difetti. Avrai mille problemi e centomila guai.
Ma tu non hai l'inferno dentro.
Tu sei semplicemente tu.
Ed è un gran sollievo.
Allora respiri, stacchi la mente e senti il tuo cuore danzare leggero.

Fa freddo, ma ormai senti la primavera.
E sei molto fortunato.




venerdì 7 febbraio 2014

Dichiarazioni d'amore / 3

Su un quaderno lui aveva scritto questa frase: "Se il qualcosa ti sembra poco perché vuoi tutto, dopo ti accorgi che il niente è molto meno".
Ma l'amore vuole tutto.
E lui si ritrovò con niente.

domenica 2 febbraio 2014

Poi viene la notte / 19

Poi viene la notte in cui tutto ti aspetti tranne che una telefonata.
E invece qualcuno si ricorda di te. Chiama e ti chiede che fine hai fatto. Dice che desidera farti sapere che ti pensa.

L'uomo, con il suo fare pacato, ti chiede se balli ancora il tango. 
Ma in realtà non è una domanda. E infatti senza darti possibilità di rispondere ti dice: "Mi querida amica. Non smettere. La tua passione sta lì ed è tanta vita. Tu hai bisogno di vivere, adesso più che mai. Coraje mi tanguera. Pasìon y coraje!"
Poi canticchia l'attacco di uno dei suoi tanghi più amati. E aggiunge... "¿recuerdas?"

Si. Ricordo. 
Tornerò a mettere il vestito rosso e ballerò. Promesso.


martedì 28 gennaio 2014

RIFLESSIONI 56 / una donna

Una donna può scriversi le tue parole sulla pelle per farti capire che quello che conta non è il tuo ego ma la tua anima. Una donna può riempire un quaderno di aggettivi per raccontare con inchiostri colorati parte dell'universo che vede dentro di te. Una donna può bere dal tuo bicchiere perchè la condivisone per lei è fatta di raffinata intimità e non di volgare carne. Una donna può regalarti silenzi per darti modo di dire tante parole inutili, con le quali concederti di descrivere come l'uomo che vorresti essere. Una donna può mostrarti la sua forza sopportando il tuo dolore, la tua cattiveria, la tua superficialità. Una donna può aspettarti millenni per farti vedere che il tempo non ha nulla a che vedere con il sentimento. Una donna può darti mille occasioni per crescere con lei e spera sempre che avvenga anche il contrario. Una donna può farsi debole per vedere se l'uomo che ha davanti può essere un po' forte, o almeno capace di assumersi responsabilità: la responsabilità di un gesto, di un passo, di un sogno.
Una donna può parlare molto, in genere lo fa quando non c'è più nulla da dire.
Ma soprattutto una donna non è un uomo. Quando ama è totale. 
E ama per sempre. 
Anche quando poi arriva a detestare.

venerdì 24 gennaio 2014

***abusi

C'è una sottile differenza tra il favore che ti viene richiesto perché evidentemente c'è stima e amicizia e quello che ti viene richiesto furbescamente, perché si vuole risparmiare, non pagare un servizio, adoperare la tua professionalità "aggratisse" o, peggio ancora, far valere la propria posizione di potere su di te, che di potere non ne hai un piffero.
Bene.

Nel primo caso il favore viene fatto con amore e totalmente con entusiasmo.
Nel secondo caso no.

Quindi sappiate, o cari sfruttatori, che anche se magari uno sorride e fa finta di niente, alla fine la sua black list la compila....
Perché se c'è una cosa che forse non vi è chiara è che qui non siamo scemi.
Il vostro modo di chiedere si chiama abusare, e l'abusare è mancare di rispetto, e il mancare di rispetto rende - come dire - poco ben disposti.
Così, per precisare.


mercoledì 8 gennaio 2014

Dichiarazioni d'amore / 2

Un lapis sottile appena leggibile sulla prima pagina di un volume per una città

1/10/2007
Ricorda le passeggiate qui
avevamo dentro lacrime e sorrisi
e pensieri che non riuscivamo a scacciare
Ma tu mi accompagnavi oltre.

...

Chissà se lei ci avrà mai ripensato.


martedì 7 gennaio 2014

Dichiarazioni d'amore / 1

Ti amo, lo sai che ti amo, sono anni che ti aspetto, che insisto, che ti voglio.

Ti amo, ma solo di nascosto, lo sai sono in crisi con mia moglie ma comunque tengo famiglia, solo nella pausa pranzo al telefono oppure il venerdì sera (qualche volta), non ho tempo, ho altri mille interessi, non so proprio cosa dirti infatti sto zitto, devi capirmi, ho un sacco di problemi... Eppure conosci la mia vita, non sono libero... E infatti ti amo, ma solo se mia moglie non se ne accorge...

Vedi, mi fai arrabbiare perché non vuoi capire che ti penso incessantemente, ti sogno la notte, ti amo e ti amerò sempre.

Ma tu non aspettarmi, odio sapere che mi aspetti.

...

E infatti lei non lo aspettò

lunedì 6 gennaio 2014

RIFLESSIONI 55 / 2014 nonostante tutto trami...

Ci sono giorni in cui prevale l'ottimismo, nonostante tutto trami per il suo contrario.
L'epifania del 2014 vuole essere all'insegna dell'ottimismo. Intanto finisce la lungagnata delle feste per forza. E questa è una buona notizia. 
Da domani si spegneranno lucine e gioia artificiale e torneremo alla luce naturale, quella delle giornate che iniziano ad allungarsi. Ci vedremo meglio. Vedremo tutto in una prospettiva più reale. E se la realtà non sarà perfetta, cercheremo di cambiarla.
Alla fine il nuovo anno serve anche a questo, a immaginare nuovi inizi. 
Sempre nuovi inizi, nonostante tutto trami per il suo contrario.
Buon 6 gennaio. E buon 2014.