domenica 27 febbraio 2011

RIFLESSIONI/ 7 notizie

Capita che una domenica piovosa arriva una notizia.
Una bella notizia che proprio non ti aspettavi e non immaginavi.
Senti la felicità delle persone cui stai capitando un "meraviglioso imprevisto", senti che tutte le difficoltà e tutte le preoccupazioni che vivono di conseguenza, alla fine passano in secondo piano.

Ho un gran pregio: non sono mai invidiosa o gelosa della felicità altrui.
E quindi (nonostante la mia testa sia adesso piena di pessimi pensieri) faccio spazio e mi godo di riflesso un po' della loro gioia.

La vita sorprende sempre, nel bene e nel male. sia quando ti usa e ti getta, sia quando è generosa e prodiga.
La vita talvolta somiglia ai volti di certe persone che incontri e che sono volti belli, e che sono volti brutti.

La fregatura è scoprire che un bel volto alla fine è solo una maschera che nasconde brutture.
La bellezza è scoprire che poi chi immaginavi diavolo non era così brutto come lo si dipingeva.

Ci sta il pane e la sassata.
Per me è indubbiamente tempo di sassate.
Meno male qualcuno spezza il suo bel pane e me lo offre.
Ringrazio perchè sono davvero grata e sorrido per tanta dolcezza e naturalezza.

Quando l'amore somiglia a un pop corn (Wake me up when september ends - Green Day)

Si fermo a guardarla sbirciando dalla porta socchiusa.

In quella camera sembrava ci fosse letteralmente scoppiata una bomba: il letto era coperto da un mare di jeans tutti dello stesso modello e tutti della stessa taglia. Poco più in là felpe e magliette. Sembrava uno di quei banchi che animano il mercato dove vale la pena di perdere del bel po’ di tempo a scovare occasioni.

Di quei jeans tutti dello stesso modello e tutti della stessa taglia, variava lievemente il colore. Erano ammucchiati alla rinfusa. E ogni tanto “al volo” ce ne veniva buttato un altro paio. E l’armadio si svuotava.

Lei era agitata e si guardava allo specchio. Si guardava e squadrava un paio di jeans. Poi lo cambiava e ne metteva su un altro paio. Lo ripescava dal mucchio o frugava nell’armadio. E via così. Ormai da quasi due ore.

Era terribile e tenerissimo starla a guardare.

Quelli grigi erano troppo eleganti. Quelli neri troppo “da sera”. Quelli strappati troppo “sportivi”.

Quelli più blu la “ingrassavano” troppo. Quelli più azzurrini erano troppo “dritti”. Quelli sul viola erano troppo “aggressivi”… il resto “non era adatto” e alla fine non ne andava bene manco uno!

Soffiava, sbuffava, faceva smorfie. Scuoteva la testa.
Dalla porta le chiese, con insolita calma: “che accade?” (dio che domanda cretina!)
Lei sobbalzò, non si era accorta di essere osservata già da un po’. Lanciò un urletto isterico a cui fece seguire: “oh, mi hai fatto paura … macché non si bussa più? Anzi, aspetta, mica hai un paio di pantaloni tuoi da prestarmi? Devo uscire tra poco e non so cosa mettermi”.
A dire il vero tutta quella roba ammucchiata sul letto non deponeva a favore di quella richiesta, ma era un giorno importante per Lei.

“Uffa, mi devo ancora pettinare e se non scelgo i pantaloni non so cosa mettere sopra…e poi tra poco inizia il film. Oddio”

Già..oddio!
Oddio se era agitata! Però erano quasi le 17…che diamine! Era appena giusto avesse un po’ di fretta.
Lui la stava aspettando.

Lui.
Lui ci aveva messo molto meno a prepararsi.

Si era limitato a farsi uno shampoo e mettere il balsamo. Poi, dopo la doccia un po’ di deodorante. Jeans puliti e felpa pulita. Giacca a vento. Scarpe da ginnastica.

Ma era comunque un evento: infatti nutriva una certa innata diffidenza verso le abluzioni. Però dopo lo shampoo e il balsamo i suoi capelli ricci e biondi e soffici e voluminosi erano uno spettacolo.

Oddio …. Le chiavi, il cellulare, il borsello, i soldi e poi si, il cellulare, si, dopo ti chiamo, si, stai tranquilla, torno per le otto, si, ti chiamo, si ciaooo.

Lui la vide arrivare trafelata. Era lì da un po’ ma non lo disse. Sorrise e le disse ciao. Lei le guance rosse per l’emozione, la fretta e poi di nuovo l’emozione disse “scusa, ma ho avuto un contrattempo”.

Il contrattempo erano stati i jeans, e dopo tanto battagliare aveva scelto i più normali, quelli color jeans. Poi una felpa, un cappottino, la sciarpa rosa fucsia con sopra i teschietti neri che stava benissimo con lo smalto nero, i capelli lunghi, biondi lasciati liberi e le scarpe da ginnastica.
Erano bellissimi da guardare mentre si incamminavano verso il cinema.

Lui aveva preso a parlare e Lei rideva forte mentre ascoltava Lui.
Tutti e due con le mani in tasca.

Parlavano di certo della scuola. Dei loro compagni e dei loro professori. Perché Lui e Lei erano nella stessa classe: frequentavano la seconda media.

Di fatto quello era il loro primo appuntamento, anzi il primo appuntamento della loro vita anche se no, non si dice così.
Guai!!! E’ roba pomposa, gommosa, da vecchi. Si dice soltanto che avevano deciso di andare al cinema.
E infatti arrivarono al cinema. Fecero il biglietto e scelsero il posto in sala. Lui fece strada. Seduti accanto guardarono il film. Poi lo commentarono. Lo trovarono carino, perché quel pomeriggio era tutto carino. Pop corn compresi.
Già: pop corn così carini, in bicchieroni di plastica così carini, mai più ne avrebbero trovati. Ci puoi scommettere!

Intanto si avvicinava l’ora di rientrare. Ci fu però il tempo per una breve passeggiata, approfittando del fatto che presto sarebbe stato natale e vicino c’era un mercatino di quelli che spuntano proprio in quel periodo.
Lei si soffermò davanti a un tipo che costruiva gioielli di plastica e mirò un anellino a forma di cioccolatino.

Lui glielo volle comprare, precisando che era il suo regalo per il prossimo natale. Un regalo conquistato dopo una trattativa lunghissima, che da due euro aveva strappato per un euro e venti. Anche perché un euro e venti era tutto quello che aveva in tasca dopo il cinema e i pop corn.
Un regalo che per Lei avrebbe avuto un valore inestimabile.
Lui si sentiva soddisfatto di quella spesa, perché lei lo ricambiava a suon di sorrisi. E infatti Lei avrebbe dovuto ringraziare madre natura di avere avuto in dono le orecchie perché quei tanti sorrisi le avrebbero potuto deformare il bel visino.

Arrivarono all’incrocio dove si sarebbero salutati.
“Sai, sei simpatica davvero tanto per essere una femmina” disse Lui.
“Anche te. Anzi, credo che sei il mio migliore amico maschio” rispose Lei.
Si scambiarono un bacino formale sulla guancia e fu come scalare una montagna! Poi un ciao frettoloso e ciascuno prese la strada di casa. Abitavano vicini.

Quando si chiuse la porta dietro le spalle Lei aveva il viso rosso. Mostrò dopo un attimo di titubanza il regalo di natale ricevuto in anticipo. Fu come togliersi il pensiero di quelle mille domande che altrimenti avrebbe subito.
“Com’era il film?”

“Carino” e non aggiunse altro se non che quella sera Lei non aveva fame.

“Perché non hai fame? Stai bene?” (dio che domanda cretina!)

“Si, si. Certo” e dette la colpa ai troppi pop corn.

“Metti a posto i jeans e il resto magari…”

Ma Lei non lo fece. Prima della fine della frase si era già chiusa nella sua stanza e aveva messo su “Wake me up when september ends” dei Green Day. Era un brano che stavano studiando a scuola, nella classe di musica, per il saggio di natale. Ma che diamine, in loop, alla decima volta consecutiva era già un tormentone vero!!!

Fu solo quando arrivò un sms che uscì di camera per correre guardare il telefonino lasciato nella tasca del cappotto.

Lesse. Poi un sorrisone. Poi un sospirone.
Pausa breve… poi: “posso usare il tuo telefono per rispondere che non ho credito?”
“Basta sia chiaro che sei tu a scrivere” (dio che frase cretina!)

Sarebbe stato chiaro.

La risposta ribadiva “Si, si, credo ke davvero sei il mio migliore amico maschio. Ciao. Grazie. Anke io tvb.”

La porta della sua stanza si richiuse e in quel silenzio con sottofondo di Green Day fu possibile tornare indietro nel tempo.

Quasi trent’anni prima. Allo stomaco una botta di ansia, nostalgia, freschezza, bellezza, meraviglia e attesa. Attesa di sapere com’è questa cosa che si chiama amore, innamoramento o boh…
Nella foto i Green Day facevano facce buffe: meno male c’erano loro a riportare i tuoi pensieri ad oggi e a ricordarti che no, non riguardava te. Non era più il tempo del tuo primo amore. Ma quanta tenerezza!
E così, passò ogni fame e nessuno quella sera fece cena. Neppure chi aveva messo a posto i jeans senza manco il conforto dei pop corn.

Ma era stato un pomeriggio importante per tutti.

…Wake me up when september ends…








sabato 26 febbraio 2011

RIFLESSIONI/6 Modigliani e la felicità

La felicità è un angelo dal volto severo, diceva Modigliani e scolpiva, e dipingeva le sue femmine che sì erano severe, talvolta tristi ma erano pur sempre femmine, anche quando erano bambine.
E una femmina è femmina. Anche se scolpita nella pietra.
Una femmina è femmina in ogni suo gesto, quando si arrabbia e quando sa essere dolce. Quando si dà e quando si nega. Quando regala e quando prende. Quando c'è per chiunque e quando usurpa.
Una femmina anche se triste o severa o muta è un angelo.
E forse è vero che è felicità, perchè è passione pura. E' verità. E' totalità.
Ci sono anche donne che non sono femmine, e quello è un altro pianeta.

Degli uomini non ne so niente.
So solo che in genere vengono travolti e sconvolti dalla femmina.
Poi per fortuna, ci sono quelli che, come Modigliani, provano ad osservarne l'anima e sanno - talvolta anche con dolore - restituirne un'immagine verosimile.
Ma sono intuizioni, bagliori, tentativi di parlare di qualcosa che, è come un angelo che non si è mai davvero visto, o come la luna che è in perenne mutazione.
La femmina è femmina. E resta un mistero.
Come la vita. Come la morte. Come la felicità
.






Amedeo Modigliani, Bambina con trecce, 1918

mercoledì 23 febbraio 2011

Post-it / 1 bigliettini

Ti trovi tra le mani un bigliettino scritto con la penna. Niente computer, parole blu su carta bianca. Poche significative parole. Piene di emozionii importanti.
Salta fuori dai fogli confusi della scrivania in un pomeriggio in cui il lavoro è proprio in salita.
Lo carezzi, come se tu carezzassi mani amiche. Le stesse che lo hanno scritto. Le stesse che ti hanno sorretta e poi lasciata andare.
Avevi creduto che quelle mani sarebbero restate lì a sorreggerti sempre, e invece sono scomparse insieme alle parole di chi te lo diceva.
Adesso non c'è manco più il tempo di una telefonata, lo spazio di un pensiero, il modo di un incontro.
Certo, tutto cambia e tutto diventa - prima o poi - relativo.
Prendi atto che non a tutti riesce di difendere le cose che proclama essere importanti.
Sorridi e fingi che va tutto bene così.
Ma come si fa a sorridere davanti a tanta sciatteria e altrettanta disperata solitudine?
E' un biglietto bianco bagnato di inchiostro blu, ma tenerlo tra e mani è come stringere fuoco

martedì 22 febbraio 2011

FuoriModaFuoriTempo / 2

Viaggio orgogliosa con un "Ciao", e quando passo per la strada sfrecciando anche a 60 km/h (in discesa e col vento a favore) mi guardano e sorridono.
Qualche ragazzino grida, qualcuno mi chiede di fare le foto con quel mio amato motorino, che poi è l'unica cosa che possiedo di mio.
Antiquariato insomma...
Altri beni non ne ho, e forse non è più mio manco quello dal momento che mi derubarono della sua carta di circolazione a San Pietroburgo.
Forse c'è chi pensa che la mia sia "fricchettonaggine", ma invece il "Ciao" è l'unico motorino che so guidare. Gli scooter non so tirarli sul cavalletto.
Ora devo iniziare a cercarne uno un po' meno usato...perchè quando piove da qualche dado esce ruggine.
Come nella vita: ti affezioni a qualcosa e te la tieni così com'è magagne comprese. Ruggine compresa. Polvere compresa. Dolorini compresi.
Poi però arriva il momento in cui devi cercare qualcosa di nuovo! Ecchediamine! Tutti te lo dicono perchè ti vogliono bene, ovvio, e ti dicono che tu stai rischiando.
E quindi dai, rischia nel cambiare, perchè questo salto nel vuoto è meno rischioso del rischio che stai correndo a restare lì dove sei, con i pensieri che hai.
In effetti, se mi fermano i vigili urbani e non ho i documenti del potente mezzo in regola, chissà cosa può accadere...
La domanda è: devo tenermi il "Ciao" fuorilegge e rischiare una multa salata, il ritiro della patente, e non so immaginare che altro, oppure devo rischiare di cadere da uno scooter di nuova generazione ma essere in perfetta regola?
Perchè sono sempre fuori moda e soprattutto fuori tempo e non so manco decidere?

lunedì 21 febbraio 2011

RIFLESSIONI/5 friends with benefits e altre amenità

Riflessione di genere. E molto generalista.
Può un uomo essere concepito secondo il modello con cui venivano fatte un tempo le donne?
Provo a spiegarmi meglio.
Può un uomo pensare -al secondo appuntamento- come potrebbe essere regalare un anello di fidanzamento alla sua nuova compagna?
Può un uomo innamorarsi fino al punto di perdere la sua genetica disinvoltura nel trattare le relazioni e di conseguenza rischiare anche di soffrire?
Può un uomo avere paura di essere "sedotto e abbandonato"?
Me lo chiedo perché i cosiddetti "friends with benefits" è una roba che parrebbe inventata dai maschi moderni per semplificarsi la vita.
Eccerto: un tempo l'uomo sposato che aveva l'amante e magari lo raccontava agli amici era uno "ganzo", l'amante in questione era una "poco di buono" che di certo doveva guadagnarci qualcosa nel recitare questa parte scomoda, la moglie invece era la povera donna sedotta e abbandonata per colpa della donnaccia.
Il poveretto si ritrovava nel mezzo a due donne insoddisfatte e per la miseria, non avrei voluto stare nelle sue scarpe.
Prigioniero con due catene. meglio assolutamente "friends with benefits".

Ed ecco che le cose sono cambiate, almeno nella forma.
Ma nella sostanza?

Sempre più spesso, nella vita vera scopri storie di femmine che si distaccano dai vecchi stereotipi e fanno sesso così, per il piacere di farlo.
Nessuno forse urla più:  "se non ti sposi sei una poco di buono", ma di certo sono in tanti a pensare che se sei femmina e fai sesso con qualcuno, senza impegno, solo perché ti piace di farlo sei una "pochissimo di buono". Tralasciando i risentimenti più o meno umani e naturali delle povere signore tradite dai loro maschietti, gli anatemi e le lettere scarlatte tatuate dalle signorine che non se le fila nessuno perchè acide e inamabili, gli interessi messi a dura prova di quelle donnucole che invece il "benefit" se lo fanno pagare profumatamente e son stronze,  i primi a inorridire per la paura son proprio quei maschi cacciatori e predatori che un tempo devastavano cuori e anime del genere femminile.
Alla faccia dei "friends with benefits". 

O vediamo se ci tocca di scoprire che alla fine la "donna ideale" che ogni maschio descrive, ovvero quella che te la dà volentieri e non ti rompe, sia una gran balla che i signori uomini si raccontano...
La donna che fa sesso con un uomo senza implicazioni, godendosela serenamente, può far paura.
Significa che ha accettato, superato e addirittura se ne frega di tutte le eventuali etichette che potranno metterle addosso. A partire dal'uomo con cui ha a che fare magari per quella sera soltanto. 
E allora l'uomo che se la trova davanti va a cercare la didascalia: "se è così è perchè finge, lei è per forza un po' innamorata di me".
Eh, magari no, magari a lei è piaciuto solo il dopobarba e non aveva niente di meglio da fare...

La domanda è: sono pronti i maschi ad accettare che le donne sono i nuovi uomini?

E poi giriamo la frittata.

L'uomo che si innamora e diventa romantico e si fa mille scrupoli e ha mille paure, lo sa che di fatto è la nuova donna?
Lo sa che la donna che le sta davanti lo trova credibilissimo e lo vede addirittura goffo quando tenta di rifugiarsi nei vecchi modelli del macho/dongiovanni per nascondere il sentimento?

Già, il sentimento...
Io son persuasa che i sentimenti così come la morte, son democratici. Colpiscono dove capita. 
Però se dalla morte non si scappa perché non c'è bugia che possa nasconderla, dai sentimenti si può far in modo di scappare.
Come? Mettendosi corazze, mantenendo il potere sull'altro, cercando di evitare il coinvolgimento a costo di fare una fatica bestiale.

Signori, sappiatelo, alcune donne hanno acquisito la vostra "disinvoltura", e sanno distinguere quando è sesso o quando è amore. Sanno indossare corazze anti/sentimento, ma poi, se ne vale a pena, sanno ancora rischiare quando si innamorano.

Voi? Sapete rischiare?

Perchè il peccato originale che ha dato vita a questi assurdi clichè a mio avviso è solo uno: l'innamoramento.
Avere il coraggio di innamorarsi e attraversarne le conseguenze fino in fondo.
L'innamoramento è una sorta di "malattia", prima o poi finisce, e c'è sempre qualcuno (uno dei due) che ci resta più sotto dell'altro.
E allora delle due l'una: o lo risolviamo con i clichè o ce lo viviamo e sia quel che sia.

Esattamente come la vita, di cui bisogna essere soprattutto innamorati, anche quando ci delude e non ci piace. Senza paura di dirlo.

domenica 20 febbraio 2011

FuoriModaFuoriTempo / 1

Ho ascoltato tutta la sera musica cinese e racconti di viaggi nel tempo e nello spazio. Niente Sanremo. Adesso in tv niente Sanremo anzi,la coda di eat parade. E' la stessa puntata andata in onda la settimana scorsa. Il meteo annuncia nuova pioggia. Eppure da due giorni c'era il sole. Mi sale un brivido: mica avrò sognato? Cioe': martedì prossimo comincia Sanremo e io sono una settimana avanti? Se e' così avvisatemi. Prendo un sonnifero e mi sveglio domenica prossima.

venerdì 18 febbraio 2011

Quando l'amore sembra "dovere" (Kashmir - Led Zeppelin)

Lei si avvicinò. Si mise seduta sulle sue ginocchia. A cavalcioni. Un attimo dopo lo stava baciando. Lui la lasciò fare. E si lasciò scegliere. E sembrò da subito una cosa vera.
Era il tempo delle feste a casa fra amici, con i genitori che fanno finta di non esserci.
Era la stagione in cui tutto sembra possibile, o meglio, a portata di mano.
Lei era un tipo dolcemente autoritario. Aveva sogni e tutti misurabili. A Lei bastava.
Lui ancora non lo sapeva cosa fosse. Di certo si sforzava di stare dentro “la misura” perché, soprattutto in provincia, è necessario esser misurati. Amava il rock, suonava da autodidatta le chitarre (“le” nel senso di tutte), amava scrivere, amava la fotografia, sognava di viaggiare ed era convinto che i viaggi fossero quelli che si prenotano, si organizzano e ci portano in posti esotici. Questo era ciò che sapeva. A Lui bastava. Per intanto.
Poi si sposarono, fecero casa.
Lui smise di sognare di diventare un artista e si mise la giacca per lavorare.
Le chitarre diventarono definitivamente un hobby e tramontò il suo sogno di essere rockstar. Le fotografie diventarono un modo per raccontare i viaggi che facevano. Gli scritti finirono nei cassetti.
Lei non voleva essere un artista.
Era tempo in cui si doveva essere seri e diventare grandi.
Ma la storia, che sembrerebbe finire qui, doveva appena iniziare.
Come in Kashmir, dei Led Zeppelin, proprio lì dove la musica sembra sfumare e invece poi ricomincia.
Ci volle poco e Lui, che non si era mai concesso con coraggio alle sue passioni, fu investito dalla passione. Si invaghì di una ragazza delle sue parti fino al punto di farla “scappare” di casa ma poi decise che a casa era meglio farcela tornare.
Lui non avrebbe mai potuto lasciare Lei. Giurò a se stesso che no, non avrebbe permesso alla sua passione di portarlo altrove. Lui doveva tornare a casa.
Fu il suo primo viaggio senza prenotazioni e senza organizzazione e fu disastroso ed emozionante.
Poi arrivarono i loro figli.
Lui iniziò a viaggiare per lavoro: capì allora che piaceva alle donne e che le donne gli piacevano molto.
Fu un susseguirsi di viaggi: tra capelli biondi, tra capelli mori, tra occhi chiari e occhi scuri.
La vita diventò una sfida da giocare e vincere giorno per giorno.
Lei non sospettava neppure. Lei ormai era solo una madre ed era convinta che Lui non potesse piacere a nessuno, perché Lui era un brav'uomo ma bello... proprio no.
In questo andare, incontrò per caso in una giovane donna incapace di amare e priva di equilibrio. Fu la sfida che più di tutte lo conquistò. E fu la sfida che Lui perse, perché Lui ci perse la testa. E gli sembrava di sognare.
Fu quando la giovane donna pensò di potergli dare un figlio che Lui si svegliò di colpo e si ricordò che era già padre e aveva una casa e aveva Lei.
Già, Lei, la sua prima passione diventata ormai noiosa abitudine.
Lei che d'altronde non lo amava più e lo guardava come si guarda qualcosa che sta lì.
Lei che coltivava le sue passioni “misurabili” e il suo giardino a “misura” mentre Lui non si dava pace e non trovava pace e bruciava di passione.
Ma Lui doveva tornare a casa.
Pur morendo di dolore, lasciò la giovane donna al suo destino. Ma ci vollero anni, mesi e giorni. E pagine scritte, e foto scattate, e musica.
Fu il suo secondo viaggio senza organizzazione e senza prenotazioni e fu terribilmente disastroso e terribilmente emozionante.
Combattuto tra la necessità di restare con Lei e il la nostalgia della giovane donna e di quella storia senza equilibrio, inciampò in un paio di occhi “color del mar dei sargassi”.
Non seppe mai perché, ma a quegli occhi Lui regalò molte parole. Non fu soltanto la voglia di una carezza dopo tanta sofferenza. A lei raccontò cose di cui non era mai riuscito a dire prima. E la donna con gli occhi “color del mar dei sargassi” lo sapeva confortare, ascoltare e anche consigliare.
Lei però aveva pelle di carta e su quella pelle fece scrivere le sue poesie.
Lui scrisse, lesse, si poi la buttò come si butta un foglio di carta su cui si è versato inutile inchiostro.
Lui disse che quegli occhi erano il massimo che un uomo possa desiderare, ma non il meglio, perché poi Lui doveva tornare a casa.
Fu il suo terzo viaggio senza organizzazione e senza prenotazioni. Fu un viaggio verso se stesso. Terribile, solo terribile.
Giurò che sarebbe stato l'ultimo.
Giurò che avrebbe viaggiato solo per lavoro.
Giurò che avrebbe scritto tanto, ma mai mai mai più d'amore.
Giurò che non avrebbe più guardato un paio d'occhi.
Se non quelli di Lei che ormai sapeva di non amare più.
Se non quelli di Lei che non lo amava più.
Erano passati gli anni.
Lei era diventata un tipo autoritario. Aveva molti meno sogni e tutti ancora misurabili.
Lui ancora non lo sapeva cosa fosse. Di certo si sforzava di stare dentro “la misura” perché, soprattutto in provincia, è necessario esser misurati.
Aveva scoperto che pur essendo drogato di passione non poteva fare a meno della droga della tranquilla abitudine. Aveva scoperto che si può esser drogati di senso del dovere. E che si può amare quello più di una donna. E sempre di amore si tratta.
Aveva soprattutto scoperto che Lui doveva tornare a casa.
Sapeva che Lui doveva tornare sempre a casa.
Per intanto. Almeno fino al prossimo viaggio.
 

RIFLESSIONI/4 l'indifferenza

Si dice che l'indifferenza può uccidere. Non lo so, dipende da quanto uno è egoista e sa badare ai fattacci suoi. Però l'indifferenza vestita di falsa cortesia è letale. Uccide ogni buon proposito, ogni entusiasmo, ogni passione. E tu resti lì con un dubbio: quello che è davanti a te se ne rende conto o no?
Meglio non avere risposte.

mercoledì 16 febbraio 2011

RIFLESSIONI/3 questione di "peso"

Dice la mia amica: “tu sei tanta roba, pesati prima di venderti”.
Ci penso e facendo appello a tutta la mia autostima le dò ragione! Non sarò Belen, ma il tango lo ballo parecchio meglio di lei, perché lei è gnocca ma io ho dentro il fuoco della passione!

martedì 15 febbraio 2011

Quando l’amore è imparare ad amarsi (Sally - Vasco Rossi)

Lei era una donna bella, simpatica e intelligente. “Una rarità” come le diceva la sua amica. Lei ne sorrideva pensando che l’amica la guardasse e la giudicasse con gli occhi del cuore. Di certo era arrivata a 40 anni abbastanza in forma, era sì simpatica ed era anche intelligente.
Aveva un lavoro che si era costruita, aveva tanti interessi, aveva tanti amici.
Era intelligente sì, tranne quando si trattava di analizzare certi suoi “comportamenti”.

Aveva fatto tanti errori, ma chi non ne fa.

Era morta e rinata mille volte, aveva cambiato pelle come i serpenti, per crescere, per migliorarsi. Ma non si era mai sentita fiera come avrebbe dovuto per averci messo tutta questa forza e tutta questa fatica.

Nonostante il lavoro, gli amici, gli interessi la sua vita era incompleta. Di fatto Lei non aveva trovato (e forse neppure cercato davvero) se stessa.
Aveva vissuto per compiacere gli altri. Perché la “riconoscessero”, perché la “guardassero” e l’”amassero”per ciò che Lei era davvero. Ma non si era mai riconosciuta da sola.
Per colmare il suo bisogno profondo di amore lo aveva cercato negli altri, ignara che l’amore lo si può trovare solo nell’accettazione di ciò che si è, senza giudizio.
Ogni volta si era innamorata, ogni volta ci aveva creduto, ogni volta aveva pensato che fosse la volta buona. Ma poi buona per fare cosa?
Per questo aveva avuto solo relazioni sbagliate, sempre con uomini che alla fine si “somigliavano” e che avevano qualcosa in comune. Forse trovava in loro una sorda e disperata solitudine che somigliava alla sua.
Per insicurezza o bisogno si era infognata in una convivenza sterile, inutile, fredda dalla quale era complicato venire via.

E allora continuava a sbattere come una farfalla nel paralume in uomini che non potevano o non volevano darle niente di più che qualche ora di tempo. Con affetto magari, nei casi migliori con amicizia, ma sempre a debita distanza.

E Lei continuava a non sentirsi “nulla” per nessuno. Così era sempre più sola, così era sempre più sfiduciata e delusa.

Quando poi arrivava un uomo nuovo che la cercava perché bella, intelligente e simpatica, riprendeva a fantasticare, a psicanalizzare, a farsi film e - per sopravvivere - aspettava il prossimo incontro, il prossimo sms, il prossimo bigliettino. Perché in quel momento sentiva il cuore battere due, tre volte e sapeva di esser viva. Ancora viva.
Ma poi finiva lì. E Lei si lamentava dell’egoismo di Lui, si lamentava della poca attenzione di Lui, si lamentava che Lui non era così disponibile come invece lo era sempre Lei.
Però continuava a giustificarlo pensando “è impegnato”, “ha la sua vita”, “è giovane”, “è stressato”.
Per ciascuno degli uomini incontrati c’era una giustificazione. Una giustificazione di ciò che non riusciva a trovare in Lui, una giustificazione per ciò che Lui non le dava.

Un giorno, dopo l’ennesima delusione, parlando con la sua amica si fermò a riflettere.
Perché una donna bella, intelligente e simpatica doveva soffrire così, e per chi?

Riflettendo scoprì che in realtà non voleva affatto il Lui di turno, voleva solo non sentirsi morta, voleva solo sperare che non fosse tutto lì, voleva un’ora d’aria per ricaricare le pile e continuare a credere che la vita poteva ancora sorprenderla. Cercava brividi, passione, fame di vita. Soffriva per sé stessa, non per chi le passava accanto.

Quel giorno capì che un’ora d’aria è un’ora d’aria, ma che respirare è altra cosa.

Capì che ci voleva coraggio. Capì che sì, poteva andare bene anche un’ora d’aria ma senza aspettarsi altro, in attesa di riuscire a volare davvero.

Già, volare davvero. Lei l’aveva mai fatto?
No –pensò – però la vita non era ancora tutta persa.

Quel giorno si guardò a lungo. Vide che era bella, intelligente e simpatica e che aveva bisogno solo di un paio d’ali.

Frugò in quel suo cuore enorme pieno di amore, di paura, di amore, di speranza, di amore, di delusione, di amore e amore e amore e vide che le ali c’erano. Erano lì.

Con quel suo cuore, chiese scusa e ringraziò tutti quelli che aveva incontrato. Loro non avevano bisogno di Lei e Lei non aveva bisogno di loro.

Chiese scusa soprattutto a sé stessa. Si perdonò per essersi maltrattata.

Da allora aveva un nuovo obiettivo: imparare a volare.

Non sarebbe stato facile, era pronta anche a fallire, ma sapeva di essere ancora viva proprio per questo: imparare a volare.



lunedì 14 febbraio 2011

Quando l’amore nasce nudo e non può rivestirsi (Sempre e per sempre - Francesco De Gregori)

Si erano incontrati per lavoro. Era già successo ma quella volta erano soli. Riunione veloce al mattino. Appuntamento in un grande centro commerciale facile da raggiungere.
Un caffè e via.

Lui sembrava seccato, andava di fretta, era venerdì mattina. Fine luglio. Voglia di vacanze altro che lavoro!
Lui di Lei non ricordava niente se non di averle notato già nei precedenti incontri le scarpe, sempre con tacchi alti.
Lei di lui ricordava gli occhi. Sembrava uno buono costretto a recitare la parte del duro per motivi professionali. Ma era buono per forza. Uno con quello sguardo lì …

Si spicciarono, perché l’aria era irrespirabile, lui diceva di dover recuperare un ventilatore, lei doveva farsi un bel po’ di strada in macchina e con quel caldo.

Ma l’aria era irrespirabile per altri motivi.
Lei non capiva perché, però si sentiva come di troppo.

Lui pagò il cornetto e il caffè anche per Lei. Era quasi ora di pranzo. Da gentiluomo l’accompagnò fino alla macchina. Un saluto formale e via.
Prima di salire in macchina, Lei ebbe modo di guardare la forma dei suoi tacchi nell’asfalto ammorbidito dal sole. Poi alzò lo sguardo: Lui di spalle andava dritto per la sua strada. Camminava in un modo strano era buffo. Già, buffo!

Lei notò la sua camicia bianca con un bel buco dietro. Sorrise.
“Però, strano tipo – pensò Lei – non vedeva l’ora di liberarsi da questa incombenza … mah”
Partì.

Poco dopo una telefonata. Era Lui.
“Sei già molto lontana? Non ho pensato che potevo invitarti a pranzo”.
Sì, Lei era già lontana ma si stupì di quella chiamata.
Allora cos’era quell’aria irrespirabile, perché tanto fastidio e tanta insofferenza da parte di Lui?

A quella seguirono altre telefonate quel giorno per tenere compagnia a Lei che viaggiava.
Si raccontarono, si ammorbidirono.
“Non mi sono sbagliata – pensò – Lui oggi era insofferente ma non a causa della riunione, forse avrà avuto motivi suoi … con quegli occhi lì è per forza una bella persona”.

Poi avvenne qualcosa di inatteso, inedito, sorprendente.
Lei aprì il computer e trovò una mail di Lui che diceva “quello che leggerai potrà compromettere per sempre i nostri rapporti, ma mi va di dirtelo”.

Lui confidava di averla desiderata sin dal suo arrivo. Descriveva i dettagli di lei e ogni pensiero che gli era balenato in testa in quei pochi minuti e dentro quel caffè.
E non era affatto formale, ma molto schietto e diretto, parole osé comprese.

Una donna avrebbe potuto offendersi già al secondo rigo della mail, ma Lei lesse tutto, sorrise e capì che quell’anima era simile alla sua.
Capì cosa aveva reso irrespirabile l’aria a parte il caldo.

E lì a Lei successe una cosa mai accaduta prima: non si arrabbiò e anzi, sentì la voglia di abbracciarlo e accoglierlo per sempre, ma non per le cose che scriveva.
Per la sincerità e la spudoratezza con cui le diceva. Per la libertà assoluta e totalmente “gratis” con cui le diceva. Per quella maniera di esserci così naturale con la sua anima nuda.
Accettare quella mail fu come accettare un regalo: Lei disse sì all’essere profondo di Lui, alla sua anima più intima e torbida.

E quel sì fu per sempre.

Si sarebbero rivisti in situazioni formali, avrebbero recitato la parte degli amici e colleghi di lavoro.
Si sarebbero confrontati con altri e con situazioni più o meno complicate.
Ma fra loro la lingua da usare sarebbe stata sempre quella molto meno convenzionale della prima mail perché da quel giorno Lui viveva e avrebbe vissuto nel cuore di Lei per sempre.
Di fatto c’erano sempre due livelli di dialogo: quello formale con i tacchi alti di Lei e le camicie bianche di Lui e quello privato che essendo partito nudo non avrebbe mai potuto trovare abiti con cui rivestirsi.

Al di là dei loro destini e delle loro vite Lei scelse che non avrebbe mai accettato nessun altro linguaggio da Lui se non quello della totale sincerità, della libertà delle parole, e dei gesti, e della carne e della sua anima nuda regalata gratis in un caldo giorno d’estate.

E restò per sempre così, anche quando si persero in un bicchier d’acqua.





RIFLESSIONI/2 sguardi

Se hai gli occhi aperti, attraverso gli altri vedi te stesso. Vedi dove sei e dove non vuoi essere.
Vedi cosa sei e cosa non vuoi essere. Vedi inferni attraenti e pericolosi. Talvolta ti ci perdi ed è il delirio.
Poi, se hai la fortuna di rimettere a posto le cose, capisci che ciascuno ha il suo destino, la sua solitudine, la sua disperazione, il suo dolore.
Magari ti dispiace ma capisci che tu devi solo pensare al tuo destino, alla tua solitudine, al tuo dolore.
E la forza ce l'hai.

Quando l'amore sembra destino (Il trio per archi e pianoforte di Schnittke)

Dal palchetto centrale del primo ordine li vedo bene. Siedono in platea, tra il pubblico.
E io non riesco a non guardarli.
Guardo la nuvola bionda dei riccioli di Lei appoggiata, anzi, abbandonata morbida sulla spalla di Lui che le siede a destra.
Lui di capelli ne ha molti meno. Si inizia a vedere un po' di “piazza” come si dice da queste parti, eppure hanno la stessa età. Erano compagni di liceo.
Il trio per archi e pianoforte di Schnittke sembra perfetto per la loro storia di amore.
Una storia che si muove a tempo di rock e di musica da camera, che condivide la passione per l'arte.
Una storia “minima” ma anche straordinaria.
Comunque unica, come tutte le storie d'amore.
Lei è bella come quando, non ancora conseguita la maturità, divenne madre del suo primo figlio. Una madre bambina. Lui la guarda come la guardava allora, ed è seduto lì al suo fianco come a scuola le sedeva accanto di banco.
Ma non è Lui il padre dei figli di Lei. Lei a quel tempo non lo “filava” neanche. Lo trovava “bruttino”.
Si innamorò infatti di un ragazzo più semplice, con cui condivideva meno interessi, ma con cui fece famiglia. E non perché rimase incinta. No: Lei lo amava davvero. Tant'è che dopo più di dieci anni nacque la loro seconda creatura.
Nonostante la fatica di esser madre Lei aveva continuato a studiare e si era laureata come Lui ma molti anni dopo. E poi specializzata. E nonostante le gravidanze il suo corpo era sempre ed è sempre bellissimo.
Lui nonostante il marito, i figli, gli anni che passavano, non aveva mai smesso di starle accanto.
Come un amico. Ma accanto. Senza chiedere niente. Ma accanto.
Lui collezionava fidanzate più o meno “durature” sin tempi del liceo, e aveva iniziato a suonare rock in una band della città.
Ma nonostante quelle ragazze e le convivenze, ci viene da pensare che in cuor suo non aveva mai rinunciato a Lei.
Si capiva da come la guardava, da come le offriva il caffè, da come le rivolgeva la parola anche anni dopo, quando dai banchi di scuola si ritrovarono accanto attorno a un tavolo di lavoro.
Fu lì che Lei, una bella mattina, dette notizia della sua seconda gravidanza. E Lei era felice, mentre Lui moriva dentro, ma era felice per Lei. E continuava a aprirle la portiera della macchina ad accompagnarla a casa, ad aiutarla nel lavoro perchè non si stancasse troppo durante quei nove mesi.
Riusciva anche a farsi piacere il marito: davvero un brav'uomo sì, sebbene un uomo senza nessuna evidentissima qualità straordinaria che però -capperi- era riuscito a far sua tanta meraviglia.

Le note di Schnittke continuano ad accompagnare i ricordi. I miei ricordi.
Quelli di una morte e di una palingenesi.
E ricordo il marito, tesissimo e triste, che mi diceva che Lei aveva deciso di separarsi e che era disperato.
E mi ricordo di Lei che mi diceva di essersi resa conto di non amarlo più, il marito, dopo vent'anni quasi.
E mi ricordo che Lei che diceva tra parole e lacrime di aver scoperto che sì, avevamo tutti ragione.
Che sì, Lui era ancora innamorato di Lei.
Che sì, Lei per la prima volta in quasi trent'anni si rendeva conto di amarlo, sì di amare Lui proprio Lui, quello che era solo un amico.
Un amico speciale pieno di attenzioni che ra rimasto sempre lì perchè Lui, pur innamorato da sempre e sofferente per non esser ricambiato, era pronto a tutto pur di vederla sorridere.
E certo, adesso che Lei ci pensava bene, si rendeva conto che Lui aveva provato a mettersi l'animo in pace tante volte, ma... ma mai aveva smesso di guardarla come la guardava.
E come ancora la guarda.

E poi ricordo che il marito aveva fatto una nuova famiglia e trovato pace, che Lei e Lui avevano deciso di vivere insieme e finalmente per tutti c'è serenità.

Nel buio del teatro la testa bionda di Lei ogni tanto si muove e si aggiusta sulla spalla di Lui, come a riposarsi e a trovar finalmente pace dopo tanta fatica. Lì è la sua casa. Di Lei.
Lui ad ogni movimento di Lei si volta appena a guardarla e la luce del palcoscenico riflette sui suoi occhiali. Lì è la sua casa. Di Lui.

Silenzio dopo l'ultima nota.
Pausa. Applausi.
Guardo nel buio loro due ancora per un attimo, che poi la luce si accende e porta via i ricordi.
Come sono belli!
Allora è vero che -qualchevolta- questa cosa chiamata amore può essere una favola a lieto fine?
Boh, io non lo so. Davvero. Non lo so.

Visto da questo palchetto centrale del primo ordine, l'amore di Lui e Lei sembra viaggio, attesa, coraggio, pazienza.
Sembra destino. Ecco.
Destino.
Il concerto è finito. Fuori fa freddo. Saluto e sorrido.
Col sorriso me ne vado verso la notte -che adesso sembra meno fredda- di un freddissimo venerdì di dicembre.

venerdì 11 febbraio 2011

RIFLESSIONI/1 meglio soli o...?

Mi chiedo se è meglio soli o male accompagnati. Mi chiedo che differenza ci possa essere tra la pessima compagnia di qualcuno che non ti ascolta, non ti rispetta, non ti vede per ciò che sei e te stesso che non ti ascolti, non ti rispetti, non ti vedi per quel che sei.
Ovviamente scelgo me. Ma ringrazio di cuore chi mi restituisce in maniera pesante e sgarbata l'immagine che evidentemente offro di me. Così, come fossi scaraventata con violenza davanti allo specchio, posso guardarmi, vedere cosa sono, cosa c'è di vero e semmai cambiare rotta.
A quel punto scelgo che è meglio sola così da spedire ciascuno dove merita e da chi merita (secondo me eh, non secondo dio) di andare.

martedì 8 febbraio 2011

Quando l'amore è anti tecnologico (L’inferno sono gli altri - Virginiana Miller)

Lei di informatica ci capiva davvero poco. Però si era sempre arrangiata e qualche piccolo risutato lo aveva ottenuto.
Ci capiva poco anche con le diavolerie dei telefonini, però anche lì si era dovuta adeguare.
Più che della virtualià si interessava dell'anima. E in genere scopriva mondi misteriosi e tutti diversi fra loro.
Spesso veniva delusa, spesso veniva sorpresa. Ma era un viaggio fantastico, sempre fantastico.
Ecco perchè non rinunciava al contatto umano.
"Il mondo virtuale azzera tempi e distanze -pensava- è una gran comodità, ma se devi capire qualcosa di qualcuno devi guardarlo negli occhi e a lungo".
Così, spesso si invischiava in situazioni complicate, indefinite, poco chiare perchè la sua lentezza nell'esplorare l'animo altrui e poi parlarne, mescolarlo al proprio non andava di pari passo alla velocità dei tempi moderni.
Forse doveva semplicemente sentirsi "vecchia" o comunque "fuori moda".
Di certo era "fuori tempo".
Lei era sempre "fuori tempo".
Amava la musica e sapeva ballare, ma il tempo della vita non lo aveva capito.
E infatti era stata seria e posata nell'età in cui è lecito "scalmanarsi", poi si era sciolta e offerta alla vita quando ormai certe responsabilità avrebbero richiesto maggiore "giudizio".
Era "fuori tempo" per ogni orologio: nel mangiare, nel dormire, negli appuntamenti, nel borsello, e anche con le stagioni (e infatti aveva cappotti da estate).
Però si arrangiava sempre, metteva in moto la sua macchina e alla fine riusciva a farcela.
C'era una cosa però che le riusciva di rimediare male: Lei era soprattutto fuori tempo nei rapporti che richiedevano un certo tipo di investimento.
E infatti era sola.
Ecco, lì in genere si sbagliava proprio. Cercava l'anima del prossimo come si cerca una pepita d'oro, un diamante, e talvolta pensava di averla trovata. Ma era sempre il tempo a fregarla: non ce n'era mai abbastanza per capire davvero. Così collezionava delusioni e regalava delusioni. Perchè capitava anche che questo andare di fretta non le concedesse di scoprire il bello dove il bello magari c'era.
Alla fine s'era fatta un'idea tutta sua e magari sbagliata: tra quello che le persone pensavano di essere e quello che erano c'era una bella differenza. Tra quello che si riusciva a dire e i fatti c'era una bella differenza.
Ascoltava una canzone: "E ognuno è nel suo spazio e ognuno ha qualcosa da dire/che un po’ ti sto a sentire thank you for adding me"...pensava che sì, ognuno è nel suo spazio e peggio, nel suo egoismo e nella sua paura. E giù add, che tanto non costa niente esser carini in modo virtuale...
Perchè poi  in questo parlare veloce, raccontare e raccontarsi veloce, ci sta di perdere il senso di se stessi e finire a parlare di altro.
Ci sta di essere disorientati, frastornati, confusi.
E così lavorando al computer, chattando coi colleghi, vivendo di sms aveva provato sulla pelle che "hai 2500 amici ma nessuno è lì con te per prendere un caffè".
Soprattutto quando di un caffè davvero ne aveva bisogno e su quei 2 forse 3 amici ci contava davvero. Allora chiedeva e la risposta era "non ho tempo, mi dispiace".
Non c'era proprio niente da fare Lei era fuori tempo, Lei era ancora a favore delle "bocche lingue versi suoni così umani troppo umani". Roba da millennio scorso...
Però Lei amava l'umanità, e i sentimenti, e il calore, e l'accoglienza e tutto si sarebbe potuto dire di Lei tranne di essere "anti-umana".
Roba da far rizzare peli e capelli: per la miseria se era vecchia e fuori moda!


Gelaterie sconsacrate

Mi dicono "apri un blog", e mi dicono "è facile"... in realtà sembra tutto complicato.
Le idee le avrei chiare, mi mancano le competenze tecnologiche, ma non dispero...
Intanto una spiegazione e un ringraziamento necessari.
Gelaterie sconsacrate è un album pubblicato dai Virginiana Miller nel 1997. Già dal titolo l'ho sempre trovato rivoluzionario, potente, geniale. Nell'album c'è un brano Altrove (dimensione che amo) che recita "sono le epoche brusche delle maree da sentire coi piedi /sotto un cielo questo che vedi con gli occhi dei sandali blu".
Ecco che non c'era niente di più perfetto che saccheggiare (previa autorizzazione) i versi di questa canzone per dare un senso generale a questo (se riesco) blog.
Ringrazio perciò Simone Lenzi il cantante dei Virginiana e autore dei testi, per avermi concesso di farne uso.
Guardare il cielo con gli occhi dei sandali blu è vedere il mondo da una prospettiva personale e intima. Affidare le parole a uno spazio pubblico è poi metterle a disposizione dell'intimità altrui: ciascuno potrà "guardarle" dagli occhi dei propri sandali...