mercoledì 16 novembre 2011

Proposte 1 / Quando la fotografia è vita che si muove. Le immagini sinestetiche di Francesco Ianniello.

dalla mostra "Diario do Brasil" di Francesco Ianniello 

Cos’è la vita? Dove abita la vita? Come si manifesta la vita? Dove si vede, dove si tocca, dove si sente la vita? 
Non ci sono riusciti eserciti di filosofi, poeti, psicanalisti, santoni, figuriamoci se posso rispondere io.
Impossibile dire. Perché la vita è “materia” che si muove e muta di continuo.
Se si guarda appena all’altro ieri si comprende che, per quanto questi tempi di globalizzazione, omologazione, banalizzazione tentino in maniera feroce e violenta di standardizzare anche l’esperienza di un essere che transita per un attimo di eternità su questa terra, stabilendo qual è lo stile con cui uno è condannato a vivere, la vita se ne frega delle menate degli imbroglioni e degli affabulatori. Fa la sua via.
Spietata e bellissima la vita è più forte. Incede maestosa su questo fiume di pelle e si manifesta come e quando vuole trasformandoci in altro.
Fa paura come tutto ciò che è terribile e meraviglioso e ormai non tutti gli uomini sono capaci di starci dentro, coglierne il senso, il transitare, la bellezza, il dolore. Credo questo sia rimasto privilegio degli animali: più presenti dell’uomo, privi di sovrastrutture, naturalmente istintuali.

Ecco perché un occhio come quello di Francesco Ianniello, fotografo per “vocazione necessaria”, diventa un faro per non smarrire la strada, la strada che l’uomo deve seguire per non avere paura di essere vivo.
Giovane, con un’attrezzatura (spiega a me che non sono così ferrata in materia) molto semplice, contrario ai fotoritocchi e alle magie dei computer che tolgono le rughe anche a un volto centenario, Francesco guarda il mondo, ci si cala dentro e qualsiasi cosa fotografi, da un personaggio a un paesaggio, da un bambino a una chiesa, ha la rara capacità di fotografare la vita. La vita in divenire, che si muove.

Non la racconta, non te la sbatte in faccia in maniera eclatante, fa di più: te la disvela, te la mostra poco a poco, te la rende concreta. Le sue immagini sono vere e proprie esperienze sinestetiche puoi annusarle, gustarne il sapore, ascoltarne la musica, puoi sentirne il peso o la leggerezza, il calore o il freddo. 

Colori, geometrie, prospettive, movimenti, tutto crea armonia e ti conquista. Ma non c’è solo questo, non c’è solo perfezione, bravura, capacità tecnica; c’è altro. E devi fermarti. E devi capire. 

Devi capire cos’è che ti si muove dentro e che non puoi semplicemente liquidare come “emozione”. Perché a distanza di giorni è un qualcosa che resta, e chiede, e interroga, e fa pensare.
Tu guardi una foto e non dici “bella questa”, “meglio l’altra”.

Tu guardi una foto e viaggi. Ma non sei solo dentro un’immagine, dentro un ritratto, un paesaggio.
Sei dentro la vita. E te ne accorgi solo dopo, da un dettaglio che a prima vista può apparire trascurabile ma che in realtà è la chiave che ti fa sentire il sangue pulsare nelle vene.

Negli scatti di Ianniello infatti trovi un particolare, anche minimo, che mette in risalto qualcosa che è “fuori dal coro”: è quello l’utero del movimento, dell’onda emotiva.
Eccola lì la vita; e non c’è una foto di Francesco Ianniello che stia ferma, che riesca a evitare che la vita vi entri dentro e ne scombini i contorni.

Un bambino gioca appeso ad un albero: ti immagini un mondo onirico fatto di gioia. E’ caldo, lui sorride, si diverte. E’ tutto armonico, perfetto. Poi ti accorgi che è scalzo; pensi che è libero come ogni bambino dovrebbe essere. Provi felicità. Poi scorgi a terra le sue scarpe. Sono lì che lo aspettano. Perché si capisce che la sua vita non è solo quel gioco, ma va oltre e continua in quelle scarpe. In questa sospensione tra cielo e terra c’è tutto il film di quello che verrà. E tu che guardi cambi il tuo stato d’animo. E senti che la vita, non è più madre ma è matrigna.

Durante una manifestazione popolare religiosa, alcune donne seguono un carro devozionale. Sotto la testa coperta da uno di quei veli neri che solo nell’Ottocento si portavano in chiesa, una signora indossa occhiali da sole di ultima generazione. Il contrasto ti racconta più di mille parole come il nostro delirio di onnipotenza ci faccia immaginare talvolta di essere eterni: sono più di cento anni che quei veli non si portano più e vedere gli occhiali accostati a quel pizzo nero è quasi dissacrante. Potente. Un richiamo ad essere ciò che siamo e metterci dentro i piedi, prendersi la responsabilità, sporcarsi le mani. Perché il nostro tempo non è poi infinito.

Una bimba appare eterea, bellissima, vestita di bianco, uno sguardo intenso curioso e una corona di fiori bianchi intorno alla testa. Ti pare quasi un angelo dipinto da un pittore del Quattrocento. Poi capisci che non è un angelo perché la mano con cui aggiusta i lunghi capelli mossi dal vento mostra le sue piccole unghie laccate di rosso fuoco, un rosso che a quel punto ti fa leggere in un altro modo l’intensità dei suoi occhi che ora diventano più maliziosi che curiosi. E ti arriva una pugnalata al cuore. Perché immagini cosa possa esserle tolto.

Come in un tango le fotografie di Francesco Ianniello dicono di passione e dolore, di amore e ferocia, di giustizia e ingiustizia, di speranza e tristezza, di vita e morte. Sempre in bilico, sempre alla ricerca, sempre irrequieti. Perché forse è proprio vero che chi si ferma è perduto. O comunque chi si contenta, chi si adagia, chi si dimentica che il cuore batte anche se non lo si sente sempre e ogni battito è prezioso, regalato.

La fotografia è arte che cerca di immortalare l’attimo migliore per raccontare un’emozione. Per Francesco Ianniello dicevamo è altro: si tratta di una sorta di “vocazione necessaria”. Non ne può fare a meno, ma soprattutto non può fare a meno di cogliere nei suoi scatti la vita che si muove come musica su uno spartito.

Ogni scatto è film, è una sorta di richiamo al qui e ora, è un invito che va colto.

Francesco Ianniello non ha bisogno di un’apparecchiatura digitale di ultima generazione: bastano i suoi occhi e la sua sensibilità. Il suo saper stare nel flusso della vita con un istinto che - per fortuna - ancora non vuole saperne di esser domato.

Così si spoglia e, senza pudore, ci regala la sua anima perché ciascuno di noi possa coglierne colori ed emozioni e per ricordarci che ogni attimo va rispettato, amato e soprattutto vissuto, fidandosi e affidandosi al tempo che ci è concesso.

Perché solo così possiamo essere un’unica persona fatta di carne e spirito. Perché solo così tutto ciò che è terribile, meraviglioso o semplicemente quotidiano, possa avere un senso pieno e vero.

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