martedì 12 marzo 2013

***David, "bibbo bibbone"


Riuscire a spettinanti, magari in Piazza del Campo, era come toccare la sacra sindone.
Aspettare i compleanni, le festività o una qualsiasi altra occasione (tutte circostanze alle quali peraltro noi non davamo alcun valore) per venire a darti un bacino, mi dava una soddisfazione infinita.

Erano quelle le mie personalissime "vendette" nei confronti di una tua riservatezza che ti sapeva rendere anche antipatico.
Tu proprio ci soffrivi: in generale detestavi la "confidenza" e quella "fisica" era per te proprio una tortura.
Ma da gentiluomo, con me "incassavi", ti inibivi, non dicevi. E in quel breve momento di tuo imbarazzo, ti prendevo in giro per 30/35 secondi (non di più) e alla fine un sorriso ci scappava sempre, magari dopo una delle tue battute laconiche che non davano possibilità di replica.

Come all'ultimo natale, quando ti dissi "su, fai il tuo fioretto annuale; vediamoci per un caffè e il bacino di auguri". L'appuntamento saltò e lo "recuperammo" dopo le feste quando ormai gli auguri di rito non si fanno più. Ti aspettavo per strada, fuori dal tuo ufficio e appena arrivasti, proprio lì per il Corso, ti appiccicai un paio di baci sulle guance molto soddisfatta della tua smorfia di disappunto: "Pensavi di averla scampata, ma questo era il caffè che dovevamo prendere prima di Natale, baci e auguri te li becchi anche adesso".
Pronto il tuo contropiede: "Tieni, forse te lo avevo già regalato, ma leggilo o comunque rileggilo. Magari anche solo il titolo. Mi pare sempre più necessario".
Nel pacchetto tirato fuori dalla tasca un piccolo libretto che si, mi avevi già regalato. Il titolo eloquente: Cavalcare la propria tigre.
"Dici che devo imparare a contenermi?"
"Prendiamo il caffè vai testina.."

Ecco, a quel punto erano ammesse anche domande private, intime.

Avevo impiegato un bel po' a trovare un modo per arrivare a un dialogo personale e non superficiale con te, quell'amico che spesso difendevo da chi lo considerava inavvicinabile, distante, algido, quasi anaffettivo: "Non lo conosci affatto, è una persona straordinaria".
Ed eri straordinario davvero. Poco ordinario in tutto, molto speciale in tutto.
Meraviglioso quando si parlava di noi e di chi ci stava a cuore, perché eri sempre molto puntuale nei consigli, nell'ascolto, nell'analisi. Io mi raccontavo a ruota libera perché sono fatta così, per te invece preparavo un'interrogazione come a scuola, perché di te parlavi a fatica. Ma io facevo domande dirette e tu mi dicevi dimostrando una fiducia che mi commuoveva.

Chiedevi a me come stavano i più cari amici comuni perché magari a loro -per pudore- non lo avresti mai chiesto.
"Che fa quell'altro David?". Questa una domanda che non mancava mai. Magari lo avevi incontrato il giorno prima, ma volevi il mio punto di vista.
E poi, se di lei nei miei discorsi non avevo detto niente, te ne uscivi con un: "Che fa la lingua?"
La "lingua" era quella mia bambina (ormai ragazza) a cui per fare uno scherzo una volta avevi strizzato in faccia all'improvviso una di quelle faccine di gomma che tirano fuori la lingua.
La volevi sorprendere ma lei con una freddezza che sembrava la tua, dall'altro dei suoi tre o quattro anni, non aveva fatto una piega commentando: "Ma questa è una lingua. Anche se tu strilli, mica fa paura".
E a te, che non avevi propriamente la vocazione a trattare coi bambini, lei stava simpatica.

Sin da quando vi incontrasti la prima volta.

Aveva forse due anni quando la trovasti accanto a me nel nostro ufficio in via Diacceto, scarabocchiava su un foglio e smise vedendoti entrare. Tu la ignorasti, come non esistesse. Lei, che era abituata ad incontrare solo adulti che le dicevano quanto fosse bella, ci rimase male. Ti piantò gli occhi addosso come a dire: "oh, ma mi vedi?".
E tu a quella richiesta di attenzione dopo un bel po' rispondesti: "Madonna quanto sei brutta! Che ci fai qui? Vai via".
I suoi occhi divennero enormi e pieni di lacrime; si girò verso di me ed esclamò: "Mamma, ma lui è bibbo bibbone". Scoppiasti a ridere. E da allora un soprannome lo avesti anche tu che eri solito darne a tutti. Per di più ti calzava da dio: bibbo bibbone, perché birbo è davvero il modo più affettuoso per indicare il tuo acume, che sapeva diventare sarcastico, corrosivo ma che nasceva sempre dall'affetto e dal rispetto.

Di qualità ne avevi tante: quelle professionali erano sotto gli occhi di tutti ed era impossibile non riconoscerle. Quelle umane forse riuscivi a nasconderle meglio per un tuo pudore innato, per una forma di timidezza che talvolta ti rendeva brusco.

Ma dietro questa maschera di riservatezza, tu c'eri sempre e comunque in tutta la tua bellezza.
Una bellezza fatta di curiosità per la vita, di attenzione, coerenza, lealtà, ironia, correttezza, disponibilità, tenerezza.
Tenerezza perché ho sempre trovato estremamente tenero il tuo modo di far crescere e di proteggere chi amavi e le persone a cui volevi bene.

Per me eri un cristallo: trasparente, duro ma anche fragile. E per questo ho sempre pensato che per difenderti, tu ti fossi imposto una disciplina rigorosa che pretendeva il massimo da te e da chi avesse a che fare con te.

Ma ti sapevo solare e avevo più volte conosciuto questo tuo lato giocoso.
E poi eri raffinatamente colto.



Più penso e più mi vengono alla mente momenti, episodi, parole e ancora i tuoi disegni, i tuoi dipinti.
Ti commuoveva la bellezza e si che ne sapevi. Un giorno parlando in auto durante una trasferta di lavoro, passammo tre ore a dire di arte: da Modigliani a Caproni, da Cesare Brandi a Montale e giù fino a Andy Warhol, Bob Dylan i manga giapponesi e i Radiohead. Discutevamo della genesi del processo artistico. E la cosa straordinaria era il vederti ragionare. Il tuo sapere era informatissimo e sottile ma mai saccente perché lasciava spazio al dubbio, alla domanda, alla ricerca.
Uscii dalla macchina che mi pareva di aver fatto un seminario all'università.

Sai David, in realtà Cavalcare la propria tigre l'avevo già letto la prima volta che me lo avevi regalato.
Parla di come riuscire a fare diventare possibili cose apparentemente impossibili usando immaginazione creatività, cercando nuovi punti di vista.
Una delle tue migliori risorse e qualità.

Quella che non hai voluto usare proprio quando forse ne avevi più bisogno.

Ho trascorso più di qualche minuto in quel vicolo maledetto. Ho risposto a tante telefonate dicendo che sì, eri proprio tu e poi a raccontare come eri: un professionista ineccepibile, un uomo perfetto nella tua umanità, un compagno di viaggio che la sola idea di non avere più accanto mi fa sentire perduta.

Ho passato il pomeriggio a guardare quella bandiera della Lupa che abbracciava una cassa di legno circondata da fiori. Ho guardato centinaia di occhi che increduli e addolorati venivano a salutarti. Ho carezzato i capelli di Filippo e ci siamo scambiati rabbia e dolore poi dolore e rabbia. Dentro, dappertutto un silenzioso senso di vuoto. Ho scritto un sms a un amico comune: "guardo tutto questo eppure non ci credo che sia vero". Sono stata tra la folla che ti salutava e sono rimasta lì in piedi con l'altro "socio" a guardare la terra che adesso ti accoglie. Ho abbracciato tua mamma. Poi sono stata a casa tua ed è stato anche più difficile.

Quando poi son rimasta sola, da sola ho fatto chilometri a piedi per sentire che ancora avevo le gambe e che mi muovevo e che respiravo e che facevo fatica. Volevo sentire qualcosa che non fosse solo dolore.
"Camminare fa bene - commenteresti tu - ora che hai fatto ginnastica, mettiti a lavorare vai..."

Macché; adesso a dirmi che tutto prosegue c'è giusto il mal di testa e l'incapacità di dormire.

"Se è una sua scelta bisogna rispettarla" mi ripete quella bambina che ti chiamava bibbo bibbone "e anche se non è giusto, spesso per la cattiveria del mondo pagano quelli migliori".

Si. Ha ragione lei.

Eri uno dei miei "due" migliori.
E ora tocca a noi essere all'altezza di ciò che ci hai regalato e affidato.
Mi pare di sentirti che rimbrotti spazientito: "Oh Soniaa... Madonna quante parole, macché sei sempre qui? Ma falla meno lunga. Oggi non hai proprio voglia di lavorare eh.."

No David, oggi penso solo a te.

A te che sei stato famiglia per me, insieme a quell'altro che porta il tuo nome.

Non riesco a fare altro. Penso a te.
E lotto con le domande che mi tormentano perché se ne stiano buone che di risposte non ce ne sono.
E cerco di immaginare a come poter ripartire con tenacia, compostezza e giocosa serietà.

Come vorresti tu, caro bibbo bibbone.


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