venerdì 15 aprile 2011

***testa leggera e papaveri

Hai la vita pesante. Hai l'agenda pesante. Hai le gambe pesanti. Hai le mani pesanti. Hai il cuore pesante. Hai davanti persone pesanti (che non ti capiscono e che ti giudicano e ti etichettano).

Però hai la testa leggera.

Non vale la pena farsi trascinare dal vortice dei malumori, dei dissapori, dell'indifferenza, della disattenzione, della delusione, della rabbia, dei non-amori, delle silenziose violenze o dei silenzi violenti.
Stai più immobile che puoi e sorridi mentre il resto del mondo si agita. Tu non ne hai le forze (di agitarti) e  a tue spese hai pure provato che è un'operazione inutile.
Perchè tutto passa e va.
Sì: le cose passano e se ne vanno.
Le cose col tempo cambiano colore, a meno che non siano intense come il rosso di un papavero.

Ieri ho visto e fotografato un papavero, il primo della stagione, oggi quel papavero è un bel po' ammaccato perché la temperatura è di nuovo scesa ad 8 gradi ed è piovuta l'ira di dio.
Facile troppo facile sarebbe tacciarlo di fragilità, di vittimismo, di manie di persecuzione.
Mica è colpa sua. Quando viene giù mica la chiedi!
Non resta che aspettare che torni il sole ed esploda di nuovo la bellezza di un nuovo papavero.
Non resta che amare la primavera così altalenante nei suoi umori.
Altalenante proprio come te, proprio come le persone che ti passano accanto, più o meno distratte, assenti, lontane. Altalenante come le persone vive, quelle malinconiche anche quando vestono l'abito del pagliaccio, quelle insicure che senza volerlo ti vomitano addosso le loro paure, quelle eternamente combattute tra andare e tornare quando invece sarebbe facile e possibile sia andare che tornare.

Adoro i papaveri sopra ogni altro fiore.
Sono presuntuosa e affermo senza vergogna che mi somigliano: così impalpabili ed effimeri, così precari e volubili, così rossi che non puoi non notarli pur sapendo che non puoi averli, così fragili ma forti, così assolutamente insignificanti quando sono dentro al loro "guscio" verde ma così folgoranti e luminosi quando si aprono al mondo che ha occhi per vederli.
In perenne movimento pur restando fermi sul posto.
E c'è un modo per far proprio un papavero; l'ho studiato per anni e alla fine l'ho trovato.
Basta prenderlo così com'è, osservarlo mentre ondeggia nel vento, accettare senza giudizio il suo piegarsi aspettando con fiducia e pazienza che saprà rialzarsi, lasciare che i suoi petali rossi di pelle sottile possano volare in direzioni diverse come si muove la gonna di una donna che balla il tango. Come si muovono i pensieri, in disordine, in libertà.
E poi guardare oltre le apparenze della sua fragilità: lo stelo è appena un filo ma è robustissimo.
Difficile strapparlo via. Meglio convincerlo, non usargli violenza, carezzarlo, dargli tempo.
Sopporta il papavero, porta pesi che manco sappiamo immaginare. Secondo me pensa, ha un'anima, ha una sua intelligenza. E' vivo e ama fino al punto di consumersi completamente regalando bellezza anche a chi è distratto.

In compenso, non fosse per la ruggine che scende dalle guarnizioni, la pioggia ha lavato il "Ciao" che, dove ancora è di color nero, è di un nero che brilla.

Le cose passano e se ne vanno.

Le cose cambiano colore.
Le persone sono volubili e tu per prima.
Non sopporti più le disillusioni che invece fanno parte dell'esistere. Non sopporti le cose complicate e ti ci trovi in mezzo. Non sopporti. Ecco.
Volti che hai amato sbiadiscono.
Volti che ami ti feriscono.
Volti che non hai mai amato si rivelano all'improvviso interessanti.

Con il "Ciao" nero torni lì dove hai visto il primo papavero. E' un po' schiacciato, ma è ancora lì. Fedele.

La tua testa è ancora leggera.

Senti che hai perduto qualcosa di buono. Sai che qualcosa di nuovo troverai.
Senti che in questo andare la suola delle scarpe si è consumata.
Ti mancano le poche certezze che avevi, ma ti restano i piedi.
Se smette di piovere, si può procedere anche scalzi.
E andare, andare, andare attraversando campi pieni di papaveri, fino a raggiungere finalmente il mare.

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