giovedì 19 aprile 2012

Quando l'amore e' parole buttate (Parigi (O Cara) - Roberto Vecchioni)

Lei aveva giurato a se stessa che per Lui non avrebbe scritto più una sola parola.
No, non per Lui.
Troppe ne aveva usate e alcune, le ultime, erano state feroci e se ne era vergognata.
Ecco perché non ne voleva usare più. Non era da Lei esser feroce in maniera convinta.
Lei non era affatto feroce. Neppure quando si arrabbiava. Quella volta però si era passato il segno.
E il bello era che Lui non aveva capito neppure perché. E allora le parole a cosa servivano?

Prima di allora c'erano stati fiumi di parole che Lei aveva cercato ovunque, inventato talvolta e scritto per Lui. Anche con la stilografica. Di tanti colori diversi.
Alcune erano normali, banali, altre infinitamente ricercate, altre ancora facili. Spesso scontate, altre volte stanche e vuote. E talvolta nervose, stizzite. Fantasiose e appassionate.
Ma mai (almeno così pensava) inutili.
Dovevano servire quelle parole a costruire un mondo. Un mondo che per Lei non esisteva da nessun'altra parte e che Lei chiamava famiglia. Un mondo dove Lei potesse essere proprio come era.

Poi all'improvviso si era accorta che quelle parole non erano mai state prese sul serio. Non erano servite a parlare di Lei, non erano servite a niente.

Lei era lì, e questa era la definizione che più la rappresentava.

Era una fra mille, niente di unico. E le parole speciali che Lei aveva cercato ovunque per farsi capire da Lui, erano d'improvviso o forse da sempre cadute nel vuoto.

Era come se d'improvviso avesse capito che il suo dire, la sua fatica di dire, fosse stata percepita come il rumore di una frequenza troppo bassa di una radio sempre accesa. Fastidioso sempre, accettabile nei momenti in cui ci si sente soli.
Una roba tipo: "Tutto bello, bellissimo... beh? Quando passiamo al sesso?"

Lo aveva capito un bel giorno di sole mentre era al telefono.
Erano bastate tre frasi. Dette da Lui con assoluta innocenza e altrettanto assoluto candore.
Ma lì Lei lo aveva capito.
Aveva capito che Lui non poteva o non voleva capire: Lui aveva una famiglia vera, bella, solida.
Lui cercava Lui. Si era perduto chissà quando in una matassa intricata e tutta sua. Lui era Lui e non ce ne poteva esser per nessuno.
Lei era lì per puro caso e non c'entrava niente con i suoi geni, con i suoi spazi, con i suoi cazzi.

E mille volte, in mille occasioni, in mille modi diversi questo era stato ribadito. Magari in modo indiretto ma inequivocabile. Off limits!

E allora vaffainculo e basta parole.
Ora Lei non aveva niente da dire e niente tra le mani.
Da un angolo del suo cuore guardava la vita scorrere come in un film. Di nuovo da sola.
E di perder tempo a cercar parole non ne voleva più sapere.

Ma il telefono squilla quando meno te l'aspetti.
O meglio, il telefono squilla di continuo, ma quelle son telefonate di routine.
E in un complicato giorno di nuvole e sole squillò anche il telefono di Lei. Ma non fu uno squillo di routine, squillò quando meno se l'aspettava.
Seguirono poche parole. Le parvero a tratti piene, seppure impacciate. A tratti vere. A tratti alla ricerca di qualcosa.

Ci pensò e poi ci pensò ancora un po'. Infranse il suo giuramento e qualche ora dopo tornò a scrivere a Lui. Poche parole via telefono. Appena un sms.
Non seguì risposta. Altre priorità, niente da dire, qualcosa di meglio da fare: non importa.

E furono parole di nuovo buttate via. E di nuovo si sentì buttata via Lei.

Tra le mani una canzone perfetta che recitava tra l'altro: "E se muoio anche io non avrò più nessuno".
Già. Era orfana, senza fratelli, sorelle, zii e cugini o simili. Nessun parente, un pezzo di carne appena.
Ma era ancora viva. Aveva Lei.
E allora a chi altri parlare? Meglio il silenzio e vaffanculo!


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