mercoledì 21 settembre 2011

Confessioni di un'anima centenaria

Ci fu un tempo in cui non sapevo di avere ancora tutto e sorridevo perché sapevo sorridere.
E amavo ogni cosa senza saper amare.

Poi, conobbi l'umanità. Conobbi il peggio del mio essere di carne.
E in nome dell'amore vidi consumarsi i più atroci delitti.
Terribili, indicibili, mostruosi, quelli contro l'umanità.
Brutti quelli contro di me. Su di me, addosso a me, dentro me.
Nel tempo.

Prima qualcuno rubò la mia innocenza e imparai a dire bugie.
Poi un altro mi strappò via il sorriso: la prima volta fu per poco ma scoprii le lacrime e sentii che avevano il sapore del sale.
Ci fu anche chi si prese la mia fiducia e la tradì: mi accorsi di quanto rumore fa il dolore sordo.
Mi innamoravo ancora di tutto e puntualmente venivo delusa: imparai così a "diventare grande" e vidi che era molto faticoso. Rischiai di morire per la fatica.
Ma non mi scoraggiai.

Poi ci fu chi si cibò della mia verginità, chi banchettò con brandelli della mia anima, chi approfittò di me e della mia bontà. Ci fu chi abusò del mio bisogno di affetto. Ci fu chi tentò di strappare e infangare i miei ricordi più belli promettendo un "per sempre" che non è facoltà di nessuno poter promettere. Ci fu chi comprò con astute bugie le mia anima sempre più timorosa. Ci fu chi mi deturpò il ventre e chi mi graffiò il cuore. Ci fu chi mi mancò di rispetto e chi mi ebbe sempre ma non mi guardò mai. Ci fu chi mi ferì a morte con le parole e chi mi uccise di indifferenza. Rischiai di morire per il freddo.
Ma non mi detti per vinta.

Mi sentii vuota, inutile, stolta. Usurpata. Derubata. Incapace, talvolta.
Conobbi la paura, la solitudine, il silenzio che non ti è amico, l'abbandono.
Conobbi i sentimenti di rabbia, di insicurezza. Conobbi la povertà. Rischiai di diventare cattiva. Di vivere esaltando i miei difetti. I peggiori dei miei vizi. Rischiai di morire per il bisogno.
Ma non mi rassegnai.

Fui sempre salva: lontana dall'odio, lontana dal rancore.
Nessuno infatti era riuscito a spegnere quella piccola luce che rischiarava la mia strada.
Quella che ogni volta mi riportava a quando senza saperlo avevo ancora tutto e amavo ogni cosa senza saper amare.
E allora anche senza carne, con il cuore a brandelli, con le cicatrici e le ferite sanguinanti mi rialzavo e mi rimettevo in viaggio.
Dimenticavo il male per un po' e piano piano mi tornava fame. Una fame buona, quella che mi faceva venire la voglia di innamorarmi di tutto a rischio di farmi ancora male.

Sapevo di non essere più innocente, sapevo di non essere più pura, sapevo che non tutto era meraviglioso e pulito, ma ero un'anima luminosa e forte e bellissima ancora capace di amare.
Amare soprattutto la vita.
Ed è per questo amore che dopo cento anni sono ancora qui.
E ancora so vedere la bellezza e l'armonia.
Ed è per questo amore che dopo cento anni sono qui e provo ad imparare.
A vivere soprattutto.
A vivere, nonostante tutto.
Perché di fare questo eterno viaggio, ne vale sempre la pena.

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