venerdì 25 marzo 2011

Quando l'amore è libertà da conquistare (Io e il mio amore - Paolo Benvegnù)

Fosse nato in altri tempi, Lui avrebbe potuto definirsi un "conquistatore".
E di mondo ne aveva conquistato.

Quando era molto giovane aveva lasciato la sua casa con le relative comodità. Era partito all'avventura con una laurea importante in mano, ma non l'aveva mai sfruttata in maniera tradizionale: il lavoro se lo era letteralmente inventato. Di città in città. Di esperienza in esperienza.
Questo aveva comportato anni di sacrifici, di cambiamenti, di precarietà. E di fatto la precarietà era diventata uno stile di vita. 
Anzi, un amato stile di vita. 
Una sorta di "libertà": sì, perché nella precarietà, tutto era sempre possibile.

Col tempo però ne aveva fatta di strada ed era molto stimato. 
Era diverso da quelli che gli stavano accanto: Lui era vero. E per questo era richiesto. Era affidabile. Era onesto.

La passione lo aveva guidato sempre. Era la sua bussola.

E adesso alla soglia della mezza età, ancora amava muoversi sulle ali della passione e amava sentirsi precario. 
La precarietà era la sua migliore amica, era il modo più facile per non dover mai pensare di aver raggiunto la mezza età.
Perché là dove tutto è ancora indefinito, tutto è ancora "giovane". 
Così, sebbene fosse la primavera della sua mezza età, a Lui sembrava primavera e basta.

Aveva tre case, ma sognava di averne una in ogni città dove si trovava a soggiornare. 
Aveva avuto donne importanti a cui era stato legato con fedeltà, ma non aveva mai smesso di desiderare le altre. E infatti, prima o poi, le sue storie finivano mentre altre ne iniziavano.
Non era bello, ma aveva un fascino pericoloso.
Anche in amore era un "conquistatore": dava l'impressione di essere affidabile, solido, concreto ed era questo che attraeva le ragazze già dai tempi del liceo. In realtà sapeva come scappare al momento opportuno. Ma non per cattiveria, per "salvarsi".

E adesso le ragazze che attraeva erano su per giù coetanee deluse dalla vita, che cercavano una sistemazione. E le relazioni si erano complicate al punto da non averne più così tanta voglia...
Lui, pieno di progetti, di sogni e di avventura, si meravigliava di non trovare donne con cui instaurare storie "facili", senza complicazioni e conseguenze (anche se poi a pensarci bene, in tutti quegli anni non le aveva mica trovate così tante...valle a capire le femmine!)

Innamorato dei suoi ormoni primaverili, ogni volta si innamorava di qualcosa. 
Non necessariamente di quella Lei "tutta intera" che passava di lì: di una le piacevano gli occhi, di un'altra la spiritualità, di un'altra le gambe, di un'altra la leggerezza e così via.

Ma queste erano, "di passaggio" e Lui lo diceva. 
Perché era sincero e perché da bravo romanticone, sognava ogni volta l'amore perfetto. 
Anche all'epoca delle esplorazioni più spregiudicate, non si avvicinava alle donne con fare da Don Giovanni.
Non era mai stato un Don Giovanni: il suo stile da "conquistatore" faceva piuttosto leva sulla timidezza, sulla sensibilità, sulla dolcezza. 

Timido e serio. Educato e dolce. Passionale e emozionante.
Di base sanamente egoista.
Non disdegnava e non aveva mai disdegnato di piacere, di misurare quanto poteva piacere e infine cogliere il piacere.

Dopo relazioni effimere, relazioni tormentate, relazioni un po' felici e presto naufragate nella noia, relazioni immaginate, relazioni idealizzate e mai vissute, si ritrovava serenamente solo.
Lì, all'inizio della primavera della vecchiaia, da solo. 
Ancora convinto di potersi costruire l'amore perfetto.
Quello che per definizione non esiste.
Ma siccome si era costruito tutto, era tenacemente convinto di potersi costruire anche quello. 

Aveva costruito case, lavoro, soldi, affetti, amici, non aveva costruito la sua Lei.
Quella Lei perfetta che ancora aspettava ma che, sotto sotto, ogni tanto aveva il dubbio di volere davvero.
Non aveva avuto figli e a questo ci pensava. Alla fine aver figli sarebbe stato un modo di sopravvivere alla morte e dare soddisfazione ai suoi che avrebbero potuto finalmente pensarlo "sistemato".

E questo era il suo "nodo".
C'erano stati rapporti nella sua vita che potevano essere coronati da figli, ma di fatto non aveva voluto. C'erano state donne importanti dalle quali non si era mai del tutto staccato pur decidendo di non viverci insieme. C'erano state donne perfette che poi non aveva voluto.
Però non aveva perduto nessuna delle sue donne importanti. Alla fine era rimasto una sorta di "super amicone" di tutte così, per una sorta di "voler bene" universale e per sentirsi in pace con la sua coscienza, eternamente indecisa tra il vorrei, non vorrei, ma se vuoi. 

Insomma, anche negli affari di cuore, dopo tanta irrequietezza e trasgressione adesso era decisamente più calmo, comunque tormentato tra l'indomita naturale passione che lo faceva sentire un ventenne e la necessità borghese di essere "maturo", "posato".

Si chiedeva talvolta il perché. Ma non perdeva troppo tempo a pensare... era un ventenne...

Poi fu un fatto apparentemente banale a farlo riflettere.
Una sera, a cena, ascoltava i pianti di un caro amico tradito e abbandonato dalla moglie che oltretutto, tentava di metter di mezzo la loro figlia.
Lo guardava non darsi pace. Lo vedeva stare malissimo. Non sapeva cosa dirgli. 

Lui poi, che figli e moglie non ne aveva mai avuti! 
Già perchè? 
Forse non c'entrava niente la sua libertà, il suo volersi non assumere responsabilità così importanti.
Gli balenò un pensiero in testa.
Non sarà stato il fatto che lui, pur andandosene da casa, facendo esperienze di ogni genere, vivendo e amando la sua vita, non era mai riuscito ad esser figlio?
E se in questo suo eterno volere e non volere, esserci e scappare, la vera posta in gioco fosse stata la sua identità mai del tutto abbracciata, accolta, accettata e riconosciuta?
Aveva ancora bisogno di un padre e una madre, pur non avendone "nel quotidiano" mai avuto bisogno?

Al pensiero provò imbarazzo, vergogna: Lui così caparbio e indipendente e libero voleva ancora essere figlio. Aveva proprio bisogno di esser creato e riconoscente per questo con fatti concreti ai suoi genitori. E chissà se loro avrebbero potuto, capito, immaginato...

Si versò del vino. Bevve mentre l'amico raccontava della moglie, del suo amante e della figlia...ma per un po' non sentì nulla. 
Solo un forte senso di inadeguatezza e di colpa.

Anche Lui aveva una Lei che lo teneva in scacco: la sua colpa.
Lui non era stato figlio abbastanza.
Ma non era colpevole verso la sua famiglia dalla quale anzi, era adorato. 
Era colpevole verso sé stesso. E tutto quel suo prendere amore senza troppo dare, senza sporcarsi le mani, era la punizione che si infliggeva da anni.
Di fatto anche questa era precarietà e serviva, non a fuggire al tempo che passa, ma dalla responsabilità di darsi a qualcuno. 

Prendeva dalle sue donne, poi si dileguava, poi si colpevolizzava. E con la dolcezza del rimpianto, di un sottile rimorso le teneva comunque vicine. Le "proteggeva".
Così come aveva fatto rispetto ai suoi genitori. 
Non riconosceva fino in fondo i suoi rapporti con le donne, perchè non aveva riconosciuto del tutto il suo rapporto di figlio. E ora che Lui era nella primavera della sua mezza età e i suoi si avviavano verso l'inverno aveva paura. 
Perché la sua paura era di perdere per sempre se stesso con loro.

Ci sarebbe stato di che riflettere su quel cordone ombelicale ormai secco, consunto, inutile.

Meglio bere un altro bicchiere di vino e consolare l'amico pensando: "meno male non ho moglie nè figli...guarda come ci si riduce".
Scacciò la tristezza e il nero di quei pensieri. 

In cuor suo aveva capito che l'essersi conquistato ogni libertà, gli aveva permesso di costruirsi un alibi perfetto per la sua prigione.
Lui, infatti, che era libero di ogni libertà, non si concedeva la libertà di amare. 

E sarebbe stata forse quella la Lei perfetta da trovare e conquistare al più presto, magari prima che arrivasse l'inverno.



Nessun commento:

Posta un commento