mercoledì 30 marzo 2011

RIFLESSIONI 13/ animali (in gabbia)

Siamo animali e neppure così evoluti come talvolta ci piace di credere.
Agiamo secondo convenzioni ma di fondo restiamo animali. 
Anzi, più neghiamo la nostra parte animale, più questa riemerge prepotente da ogni poro.

Reprimere istinti, voglie, desideri per buona educazione nuoce gravemente alla salute.
Ma viviamo in una "civiltà evoluta" e nessuno lo insegna, anzi. 
Guai a fare i "cattivi". E giù regole.

E allora vedi l'umanità che abita questa "civiltà del presunto benessere" non tanto concentrata nel capire chi è e dove va, ma soprattutto impegnata a compensare la repressione con vizi, abusi, trasgressioni. 
Ma anche peggio: impazzire fino a compiere atti delittuosi e orrendi. 

Intendiamoci: io non credo affatto che sia tutto lecito. 
Dei limiti ci sono e devono esserci. 
Il limite sacro è il rispetto dell'altro e dell'esistenza tutta.
Ma il limite della decenza, del decoro e quale sia il modo del rispetto lo stabiliscono la natura e la natura delle cose. 
Non le nostre buone, presuntuose, e sempre più in-civilissime maniere.
Non i nostri pensieri del "farò bene, farò male, farò niente così non prendo impegni".
Basterebbe osservare, poi ascoltare la nostra voglia di essere e semplicemente essere, perchè sono convinta che sotto le regole, le repressioni, la rabbia, le frustrazioni, il moralismo c'è in tutti un seme più o meno sviluppato di bellezza, un granello di eternità, un soffio di meraviglia, un istintivo amore verso la propria sopravvivenza e lo stare bene. 

Alla fine, direbbe Ilaria: "tutto in natura tende all'armonia", se non ci fossimo noi con le nostre teste malpensanti che, dal microcosmo della nostra anima al macrocosmo dell'anima mundi, stiamo lì a fare e disfare, architetti di mirabilanti inutili avventure messe in atto giusto per buttare un po' di tempo prezioso e creare caos.

Già, ma come si fa ad ascoltare la nostra voglia di essere che oggi è così domani magari cambia? Dove si impara visto che ovunque ci insegnano il contrario?
Io non ho sicurezze, non so scegliere manco come voglio mangiare la pizza, figuriamoci se sono rigorosa e coerente nell'agire. 
Mai stata.
Però son quasi persuasa che bisogna partire dall'istinto. Dalla pancia. 
A costo di fare o dire cose nel momento più sbagliato per noi e gli altri. Nella verità, abbandonando l'uso insopportabile di strategie e seguendo l'odore, il tatto, il gusto.
Almeno nel relazionarsi al prossimo, bello o brutto che sia.

E questo, scritto da una signora che ha ancora addosso un aderente tubino nero (semplice ma elegante) e un bel tacco 12, suona quantomeno stonato.
Ma è stato proprio stasera, quando mi "addobbavo" così, che mi sono sentita scomoda. Un animale in gabbia. 
Però la serata aveva un preciso dresscode e tale addobbo era richiesto (ma quante puttanate ci si inventano eh).

Verso la fine della serata infinita, davanti allo specchio grande dell'antibagno del super locale tres chic che mi ospita, mi vedo in una gabbia. 
Certo è una gabbia che può fare la sua figura (alla fine me la son scelta e l'ho pagata), ma sotto il vestito, i collant, e dentro le scarpe tutto urla vendetta. Stasera mi sento "scomoda".

Mentre son lì da uno dei piccoli bagnetti riservato alle signore, arrivano rumori inequivocabili. C'è per forza un maschio.
Mi dileguo come un gatto senza battere il tacco sul pavimento. Non vorrei mai disturbare e non son fatti miei se quei due (? o più, che ne so) si riscoprono animali proprio lì. 
Anzi, è un sollievo.
Mi chiedo: "ma questi vestiti li hanno inventati per le femmine che sotto sotto desiderano farseli strappare via dai maschi?".
Mah, sarebbe uno spreco di denaro e poi anche adamo ed eva erano nudi.
Però ci "travestiamo" e recitiamo la parte che più ci piace. O la parte che gli altri si aspettano che noi recitiamo.
Chissà quella donna ansimante come si era "addobbata". 

Ancora un po' di chiacchiere e guardando mi è inevitabile capire anche chi erano quei due. Clandestini ovvio. Lui è fuori a fumare (ha tutti i vizi, per la miseria) lei è tornata al tavolo e parla con l'amica di vacanze con il rossetto appena messo su.
Li guardo e penso che li preferivo animali. In quel bagno. Veri e ansimanti e chissenefrega del resto del mondo.
Ah, lei ha un abito elegante di stoffa leggera. Una fantasia a fiori delicati. E sembra felice. Mi sta simpatica. 

Abiti di scena, per la rapresentazione di stasera.
Ogni tanto immagino la Vergine Maria con addosso jeans attillati e stivali alla coscia. Oppure Budda con un bel chiodo in pelle nera e consunta.
Forse ci potremmo abituare a questo look, ci siamo abituati a considerare costituzionale il bunga-bunga.
E allora ogni abito di scena va bene.
Dall'intellettuale trasandato alla signora che veste solo alta moda. Dal ragazzino "alternativo" al giovinotto rampante in doppio petto.
Abiti di scena per fantasmi.
Anche io adesso sono un fantasma con un aderente tubino nero che ha una particolarità molto ricercata: una manica in tulle trasparente e l'altro braccio nudo.
La parte che sta meglio (nonostante il freddo) è senza dubbio il braccio nudo, pallido da far paura ma nudo.

E' stata una giornata lunga. 
Respiro e slaccio la scarpa.  
Per oggi la recita è finita.
Tra poco sarò sotto la doccia e poi dentro a un largo pigiama. 

Per essere davvero quella che adesso sento di essere, dovrei vestire solo di acqua. Pettinarmi di acqua. Truccarmi di acqua.
La mia parte animale dice che avrei bisogno di meno forza di gravità, e assoluta libertà di movimento.
Ma non mi sento un pesce, piuttosto mi sento un alga. 

Che questi miei pensieri siano già il frutto della pioggia giapponese radioattiva che mi è caduta in testa?

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